Berlusconi e i soliti annunci-bufala. L’ultima truffa del piano crescita

L’ultima truffa del piano crescita

di TITO BOERI

IL governo oggi si accorgerà finalmente che bisogna fare qualcosa per la crescita in Italia.

Se ne accorgerà Mille e otto giorni dopo il suo insediamento, con gli italiani che hanno nel frattempo perso in media 1000 euro di reddito a testa e con un milione tra disoccupati e cassintegrati a zero ore in più. Non è mai troppo tardi per tornare a crescere. E si possono fare tante riforme utili per lo sviluppo del Paese a costo zero, senza dover necessariamente impegnare nuove risorse, dopo che il debito pubblico ha superato il 120 per cento del prodotto interno lordo. Ma bisogna volerlo fare. Soprattutto quando non ci sono risorse da mettere sul piatto, occorre investire molto capitale politico nel

costruire alleanze trasversali in grado di vincere l’agguerritissima resistenza al cambiamento. Ad altre attività sono state destinate sin qui le energie e le risorse personali del nostro presidente del Consiglio. Abbiamo così dovuto accontentarci degli annunci, reiterati grazie all’occupazione dello spazio televisivo.

Quattro i piani casa annunciati dal giugno 2008. Sin qui sono stati di carta. Non ci risulta infatti che sia stata posata la prima pietra per la costruzione di una qualche nuova casa. La riforma fiscale doveva essere la “riforma del secolo” ed era data come approvata entro il 2010. Avrebbe dovuto alleggerire il carico fiscale sul lavoro e sui fattori produttivi spostandolo sulle rendite, anche a parità di gettito. Non solo la riforma non c’è stata, ma con il decreto sul federalismo

comunale che il Governo ha cercato di varare la scorsa settimana nonostante il voto della bicamerale si aumenta il prelievo sulle imprese e sui lavoratori autonomi riducendo ulteriormente le tasse sugli immobili. Il neo presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che ha votato la fiducia a Berlusconi dopo la sua nomina sancendo che la sua è un’autorità dipendente, ribadisce che non si aumenterà il prelievo sulle rendite finanziarie. Chi guadagna comprando e vendendo azioni (in genere persone con redditi elevati) continuerà ad essere tassato ad un’aliquota pari alla metà di quella di chi ha solo un reddito da lavoro ai minimi della scala retributiva. Insomma l’unica riforma fiscale all’orizzonte è più tasse su chi lavora, meno sulle rendite.

Quella della pubblica amministrazione sembrava l’unica vera riforma economica di questo esecutivo. Avrebbe potuto ridurre molte inefficienze che gravano su famiglie e imprese. Ma la riforma Brunetta è stata cancellata ancor prima di entrare in vigore. Dapprima la manovra ha posto tetti alla crescita delle retribuzioni nel pubblico impiego in modo del tutto indiscriminato, in barba ai premi al merito introdotti dalla riforma Brunetta, poi le autorità di valutazione non sono state messe in condizione di operare, costringendo alle dimissioni i valutatori. Infine, l’accordo appena concluso con Cisl e Uil nega la possibilità stessa che si possano retribuire in modo diverso dirigenti e impiegati: non ci saranno né penalizzazioni, né incrementi retributivi per i più bravi. Siamo tornati all’egualitarismo retributivo più piatto. Avremo così, alla luce degli insulti destinati in questo periodo ai dipendenti pubblici, un’amministrazione non solo non motivata, ma addirittura demotivata. Anche chi trovava stimoli pensando alla propria funzione sociale, rischia di ritenere inutile ogni suo sforzo per migliorare la qualità del servizio offerto ai cittadini.

L’emblema del disinteresse dell’esecutivo riguardo alla crescita economica è nell’abolizione di fatto del ministero dello Sviluppo economico, prima lasciato vacante e poi affidato a chi, da viceministro, ha agito come lobbista di Mediaset a Bruxelles cercando di impedire l’ingresso di Sky nel digitale terrestre e poi, da ministro, si occupa di scrivere esposti all’Agcom contro i conduttori televisivi rei di criticare Silvio Berlusconi. La Lega aveva chiesto di spostare qualche ministro a Milano. Non sapevamo che la sede prescelta per Paolo Romani fosse Cologno Monzese.

L’elenco potrebbe continuare. Il fatto è che nei Paesi che non hanno smesso di crescere i governi di centro-destra si concentrano almeno sulle liberalizzazioni dei mercati. Sin qui il popolo delle libertà ha solo proceduto scientificamente a smantellare le libertà introdotte dal governo di centro-sinistra precedente. Depotenziate in tutti i modi le autorità di regolazione dei mercati, quelle che combattono i monopoli, norme che riducono la concorrenza nel settore farmaceutico, delle assicurazioni, del gas, infilate con tuta mimetica in disegni di legge che si occupano di tutt’altro, come denunciato ampiamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e dei Mercati. Quest’ultima era già stata messo non in condizione di sanzionare dal decreto Alitalia che ripristina il monopolio sulla tratta Milano-Roma. Testimone degli intenti liberalizzatori del governo è il disegno di legge sulla professione forense: reintroduce le tariffe minime, “inderogabili e vincolanti”, vieta ai giovani avvocati di competere sul prezzo con chi è già ben avviato, offrendo e facendo pubblicità a prestazioni a costi più bassi. Questo significa costi legali più alti per cittadini e imprese.

Alla luce di tutto questo le proposte di modifica dell’art 41 della Costituzione sulla libertà d’impresa, un articolo che non ha sin qui impedito ad alcuna impresa di nascere in Italia, sembrano avere l’unico intento di prendere tempo gettando la palla in tribuna.

Ci accontenteremmo allora che oggi il governo tornasse lì dove aveva ricevuto il testimone, ritirando il disegno di legge sulla riforma dell’ordine forense come già chiesto da Mario Monti sul Corriere della Sera domenica, imponendo anche agli altri ordini professionali di procedere negli adempimenti previsti dalle lenzuolate di Bersani. Ci basterebbe che istituisse finalmente l’autorità indipendente di regolazione dei trasporti e, in particolare, del settore ferroviario, dove più urgente appare l’applicazione di regole trasparenti, certe e non discriminatorie a fronte dell’ingresso di nuovi operatori. Vorremmo che avviasse per davvero la liberalizzazione delle Poste senza affidare a Poste Italiane il compito improprio di sportello della Banca del Sud, riducendo la concorrenza anche nel settore bancario. Vorremmo che premiasse i Comuni che procedono alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, sanzionando quelli che vi oppongono resistenza. Qualora, come probabile, questo desiderio non venisse esaudito, sarebbe bello vedere questi intendimenti raccolti dalle forze all’opposizione. Sarebbe una dimostrazione tangibile del fatto che oggi in Italia c’è davvero un’alternativa, qualcuno che bada al sodo e non solo agli annunci.

(09 febbraio 2011)

comode

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