Buongiorno. Noi vi avevamo avvertiti: 1° problema spread e sfascio dei conti, 2° credibilitùa puttane. 3° fuga di cervelli-capitali e aziende.

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11 luglio 2018

L’onda populista che alimenta la fuga dei talenti

Per arginare la diaspora dei nostri talenti e far sì che il gap tra sogno e realtà possa colmarsi occorrono politiche serie e di lungo periodo

 La diaspora dei talenti italiani è un argomento che non interessa questo governo, impegnato a bloccare i flussi di migranti in Italia ma del tutto inerte su quello in uscita dei nostri neolaureati. Un ottimo articolo di Federico Fubini sul Corriere ci mette sotto gli occhi una questione cruciale, del tutto assente dalle politiche di Lega e M5S, come più volte abbiamo sottolineato.

A fronte delle circa 30 mila persone che ogni anno arrivano dal Nord Africa per cercare una vita migliore in Europa, dal nostro Paese si trasferisce un numero quattro volte superiore di giovani, anche loro in cerca di un futuro che risponda meglio alle aspettative. Eppure, di questo esercito silenzioso il governo non parla se non nei termini di un provvedimento come il decreto dignità che rischia di farci bruciare centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Quello che faremo dall’opposizione è sostenere con forza quelle proposte che ci consentano di non dissipare un patrimonio intellettuale che abbiamo contribuito tutti a formare. A fronte di quei 50 mila laureati che sono andati a realizzarsi altrove, ci sono stati investimenti pubblici per 8 miliardi e dalle famiglie di provenienza per altri 7. Risorse ben spese se i nostri ‘ emigrati intellettuali’ raggiungono posizioni di prestigio all’estero. Non un investimento vantaggioso se è quella la sola direzione, perché in Italia si percepiscono prospettive desolanti sia dal punto di vista della strategia politica, che non fa investimenti ma anzi ostacola lo sviluppo proponendo ulteriori freni alle assunzioni, che da quelli di un costume e una mentalità tali per cui il clientelismo ha la meglio sul merito, la burocrazia sulla produttività, il populismo sui diritti del lavoro, in una eterna gara al ribasso dove le prospettive di carriera e di uno stipendio che ti consenta di programmare la tua vita con tutto quello che ci deve stare dentro, dai figli a una casa, sono così lontane che meglio risulta andare lontano davvero, per avvicinarle.

Lo dico avendolo vissuto sulla mia pelle, avendo passato un anno e mezzo a Singapore a formarmi per cambiare il mio percorso professionale ed entrare nel mondo del digitale. Un luogo da cui sono tornato con convinzione perché voglio che in Italia sia il mio futuro.
Per arginare la diaspora dei nostri talenti e far sì che il gap tra sogno e realtà possa colmarsi occorrono politiche serie e di lungo periodo, lontane dall’onda populista che tutto travolge e che rischia di lasciarci in un Paese senza più giovani, a meno che non vogliano stare sul divano, dove li vuole chi millanta il reddito di cittadinanza (che non esiste). Occorrono soprattutto investimenti mirati: i nostri governi avevano iniziato con il Jobs Act e con il piano Industria 4.0 ed è su quella linea che dobbiamo continuare.

Come? Tanto per cominciare attuando politiche ancora più ambiziose di incentivi fiscali per il rientro di tutti coloro che vivono all’estero da più anni, perché se è vero che non si rientra a casa solo per soldi ma per le prospettive occupazionali, è certo che incentivi maggiori rispetto a quelli odierni possono fare la differenza per decine di migliaia di persone che sono in dubbio se continuare la propria vita fuori o se tornare ad investire su se stessi nel luogo migliore per vivere, come l’Italia deve e può essere.

In parallelo metteremo in atto proposte di legge per una maggiore attrazione di investimenti in start up e PMI innovative, perché tra le decine di migliaia di Italiani che sono scappati ci sono anche i giovani potenziali imprenditori che devono costruire le aziende del domani e che daranno lavoro ai loro coetanei e alle future generazioni.

Perdere lavoratori formati da noi è un peccato che diventa doppio se perdiamo anche potenziali creatori di lavoro per la nostra comunità. Abbiamo bisogno di immaginare un’Italia come punto di approdo di giovani da tutto il mondo, ma prima di tutto come punto di ritorno di tutti i giovani che abbiamo perso.

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