Kaled salvato dalle porcate del regime razzista di burlesquoni e maroni

Nuova vita a Roma per il 15enne delle Kerkennah. «Ma qui non sanno fare il cuscus»

Il sogno di Kaled diventa realtà
Una giornalista gli apre le porte di casa

Cronista inviata a Lampedusa incontra il giovane migrante per lavoro. Poi ne chiede l’affidamento

Nuova vita a Roma per il 15enne delle Kerkennah. «Ma qui non sanno fare il cuscus»

Il sogno di Kaled diventa realtà
Una giornalista gli apre le porte di casa

Cronista inviata a Lampedusa incontra il giovane migrante per lavoro. Poi ne chiede l’affidamento

dal nostro inviato  FELICE CAVALLARO

Karim con il mediatore culturale Tareke
Karim con il mediatore culturale Tareke

LAMPEDUSA – Come succede per i fiorellini di montagna che sbucano fra i sassi, anche nel disastro Lampedusa matura una favola che ha per protagonista un ragazzino di 15 anni, la faccia di un bambino, ma determinato come fu la notte del 2 marzo scorso quando si nascose sotto teloni e bidoni di un barcone in partenza dalla Tunisia saltando fuori da quella sua tana solo cinque ore dopo la partenza. Divenne la mascotte degli altri 30 migranti a bordo e, all’approdo a Lampedusa, dei volontari di «Save the children», del Centro accoglienza, un po’ di tutta l’isola, toccata dalla sua storia raccontata per la prima volta dal Corriere.it. Appena letto quel pezzo, una inviata di una testata televisiva corse al Centro per intervistare il piccolo in fuga dalle Kerkennah. E scattò una scintilla che va ben oltre il ruolo professionale di una giornalista adesso senza nome per la cronaca, colpita da quegli occhioni furbi, dal ciuffo ribelle del piccolo Kaled, allora chiamato Karim per evitarne il riconoscimento. O forse l’inviata fu conquistata dalla raffica di domande semplici, poste, dopo quella traversata a rischio vita, nell’unica lingua parlata nell’arcipelago di fronte a Sfax e Gabes, l’arabo, e decodificata dall’interprete: «Quanto ci vuole per imparare l’italiano?», «Dove mi porteranno, in Italia?», «Mi fate restare?». «Posso lavorare? So pescare».

L’AFFIDAMENTO – Fu più di un’intervista e da quel momento la giornalista, madre di due figli che

lavorano a Milano e Londra, una bella casa a Roma, promise a se stessa che avrebbe provato a seguire Kaled nei suoi spostamenti per chiedere infine l’affidamento. Come è accaduto ieri, dopo un mese trascorso inseguendo il piccolo negli spostamenti imposti dal tribunale dei minori di Agrigento. Prima verso la Sicilia in nave, poi fino alla casa famiglia di Licata dove la cronista rimase sconvolta: «Un gruppo di minori abbandonati a se stessi in un contesto disperato, tutti a fumare, la passeggiata per il videopoker, l’ozio e l’abbrutimento come una costante quotidiana… Dovevo strapparlo da quell’inferno popolato da scippatori e spacciatori…». E’ stata determinata anche lei con il questore di Agrigento Girolamo Di Fazio e il vice Ferdinando Guarino, con il prefetto Francesca Ferrandino e il vice Nicola Diomede, tutti pronti a fare da trait d’union con il giudice tutelare che infine ha accelerato la pratica di affidamento complimentandosi: «Non era mai accaduto qui. E sarebbe bellissimo se nelle famiglie italiane scattasse la stessa sua sensibilità…». E’ quanto sostengono a «Save the children» conteggiando i quasi 250 minori che a Lampedusa bivaccano sul pavimento di una sorta di museo del mare con due gabinetti.

CUSCUS VIA SKYPE – Da questo inferno Kaled si è sottratto telefonando però ogni giorno al padre, come fa da quando è in Italia, come fece appena arrivato al Centro: «Papà, se te lo dicevo, non mi facevi partire. No, non c’è pericolo. No, che non ho pagato. E dove li prendevo i soldi? Mi sono nascosto…». Con lui ha parlato più volte la giornalista ottenendo l’assenso all’affidamento, con l’obiettivo di far studiare il piccolo a Roma, di sottrarlo per il momento anche a una situazione familiare mutata visto che il padre ha una nuova moglie. Ma anche questi sono aspetti che l’inviata preferirebbe tenere riservati, come chiede per il suo nome. Gelosa di uno stupendo rapporto che sta unendo una agiata dimora romana alla casetta di Kaled. Anche via Skype, come è accaduto ieri sera quando il piccolo ha chiamato il padre: «Dammi la ricetta del cuscus perché qui non lo sanno fare».

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