IL CAPO DELLA MAFIA RUSSA E’ PEGGIO DEI SUOI PUPAZZI: #SALVINI, #CONTE E #TRUMP: NON NE AZZECCA UNA!

A TASSO SPEDITO VERSO IL BURRONE – DOPO IL CROLLO DEL RUBLO, LA BANCA CENTRALE RUSSA ALZA IL TASSO AL 12% PER “LIMITARE I RISCHI PER LA STABILITÀ DEI PREZZI” – UN AUMENTO DI 3,5 PUNTI CHE MOSTRA TUTTA LA FRAGILITA’ DELL’ECONOMIA RUSSA, SCHIACCIATA DAI COSTI DELLA GUERRA – E A SURGUT, IN SIBERIA, QUALCUNO HA HACKERATO LA SCRITTA ELETTRONICA SU UN PALAZZO DI UFFICI: “PUTIN È UNA TESTA DI CAZZO E UN LADRO. 100 RUBLI PER UN DOLLARO” – IL MALCONTENTO POPOLARE PER L’AUMENTO DEI TASSI RISCHIA DI TRAVOLGERE “MAD VLAD” – VIDEO

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L’ITALIETTA NEO NAZISTA E’ CONSIDERATA OVUNQUE – GIUSTAMENTE – QUARTO MONDO.

Exit strategy. Come uscire dalla spirale del dibattito tra contrapposte idiozie nell’Italia del monopopulismo perfetto

Francesco Cundari

L’egemonia populista nel discorso pubblico si mostra anzitutto in questo: che si discute solo di scemenze. Forse allora, invece di concentrarci sulla fesseria del giorno o della settimana, è più utile provare a domandarsi perché questo accada, e perché in Italia il fenomeno abbia assunto tali proporzioni.

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Come avrete notato se avete sfogliato un giornale nelle ultime due settimane – o nelle ultime due legislature – l’egemonia populista nel discorso pubblico si mostra anzitutto in questo: che si discute solo di scemenze. Forse allora, invece di concentrarci sulla scemenza del giorno o della settimana, invece di spendere tempo ed energie nello spiegare perché l’ultima scelta di politica economica è economicamente assurda, l’ultima proposta di tutela della salute o dell’ambiente è scientificamente insensata, l’ultima polemica storiografica è storicamente infondata, è più utile provare a domandarsi perché questo accada, e perché in Italia tale fenomeno, pur comune a molte democrazie occidentali, sembri avere una pervasività maggiore che in ogni altra parte del mondo (o quasi), e cosa si potrebbe fare per arginarlo.

La prima ragione dell’egemonia populista, o per meglio dire la sua prima manifestazione, è che tutti gli schieramenti adottano argomenti demagogici e irrazionali – in una parola: populisti – trasformando così il dibattito pubblico in una gara a chi la spara più grossa. Uno scontro surreale tra quelli che vogliono abolire la povertà per decreto e quelli che vogliono abolire le tasse per legge, tutti uniti nel voler abolire i tassi d’interesse per finta. La seconda ragione è che, sfortunatamente, anche quei pochi intenzionati a discutere seriamente di problemi reali sono costretti a occuparsi di questa roba. Lavoro peraltro pressoché inutile, eppure al tempo stesso indispensabile e meritorio, perché, com’è noto, per smontare una bufala serve molto più tempo di quello che serve per inventarla e diffonderla.

Per buttare là che il Covid è poco più di un raffreddore, volendo fare un esempio a caso, basta infatti un minuto (e ci si guadagnano fior di ospitate in tv e almeno una rubrica fissa su un quotidiano nazionale); mentre per dimostrare inconfutabilmente il contrario occorrono studi approfonditi di medicina (e in premio si ricevono tonnellate di insulti e sberleffi dalle trasmissioni e dai quotidiani della parentesi precedente).

Per inventare o rilanciare cospirazioni della Nato contro la Russia, tanto per fare un altro esempio a caso, ci vogliono dieci secondi, mentre per andarsi a ritrovare tutte le fonti citate e dimostrare come siano state manipolate ad arte occorre almeno una giornata di lavoro. Col bel risultato che alla fine di quella giornata, in ogni caso, l’intero dibattito avrà ruotato sempre e solo attorno a un cumulo di fesserie, per confermarle o per smentirle.

Se questi sono però problemi che caratterizzano tutte le democrazie occidentali alle prese con l’ondata populista, resta da capire perché in Italia il fenomeno abbia assunto una tale pervasività, tanto da eccedere il concetto stesso di «bipopulismo». Abusando dello stesso gioco di parole, bisognerebbe parlare ormai di monopopulismo perfetto.

Alla radice c’è senza dubbio un’antica tradizione nazionale che è stata chiamata populismo dall’alto, sovversivismo delle classi dirigenti, antipolitica delle élite (o più sbrigativamente, ma senza andar troppo lontano dal vero, fascismo). A questo proposito, del resto, non si ricorderà mai abbastanza come la campagna contro «la casta», primo seme da cui è germogliato il grillismo, sia nata sulle pagine del Corriere della sera, mica del Fatto quotidiano (semmai si potrebbe dire che il Fatto quotidiano è nato, poco dopo, dal successo di una simile campagna, che in qualche modo gli ha aperto la strada e offerto un modello). E risalendo ancora più indietro nel tempo si potrebbe ricordare come sulle pagine del Corriere della sera, del resto, sia nata anche la più violenta campagna antigiolittiana.

Se però oggi non si sa più dove girarsi e con chi interloquire, anche solo per dissentire, in un dibattito che rispetti minimi standard di aderenza alla verità dei fatti e al principio di non contraddizione, lo si deve anche a una certa tecnica, per non dire un malvezzo, di cui quegli stessi grandi giornali che avrebbero dovuto rappresentare l’élite liberale hanno spesso abusato. Mi riferisco al vecchio trucco di scegliere ogni volta il più fesso, il più grottesco, il più improbabile tra i rappresentanti del campo avverso, per intervistarlo, invitarlo e intronarlo come la massima autorità di quello stesso campo, in modo da inchiodare sistematicamente i propri avversari (e l’intero dibattito) alle sue idiozie.

Si è così nel tempo affermato un meccanismo di selezione perversa, alimentato a sua volta dal bipolarismo di coalizione, che ha regalato un potere marginale spropositato a micropartiti (di centro o di estrema) e ai loro pittoreschi padri-padroncini.

Oltre a un sistema elettorale proporzionale, che però nessuno vuole (perché i grandi partiti ogni volta s’illudono di trarre vantaggio dal meccanismo maggioritario, mentre i piccoli ne hanno la certezza), un parziale rimedio potrebbe essere dunque un cambiamento, per dir così, nel costume del giornalismo e del mondo della comunicazione in generale. Specialmente nel confronto con gli avversari e con le scelte che non si condividono, smetterla di scegliersi sempre l’interlocutore più scemo e più pittoresco (per la tv c’è anche una ragione legata agli indici di ascolto, per i giornali è spesso semplicemente un modo di farsela facile) e provare a fare come fanno i giocatori di scacchi, quando elaborano le loro combinazioni dando per scontato che l’avversario faccia sempre la mossa più intelligente, anziché la più fessa.

Per le sorti della democrazia potrebbe essere comunque troppo tardi, ma almeno renderemmo l’agonia meno deprimente.

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MALEDETTI VOTI DI SCAMBIO MAFIOSI!!!

LA SARDEGNA VA A FUOCO (COME OGNI ANNO). IDEM LA SICILIA E LA CALABRIA. LE GUARDIE FORESTALI, ASSUNTE IN CAMBIO DI VOTI, SI DIVIDONO IN TRE CATEGORIE;

a) I pochi che lavorano; b) quelli che se ne fottono, vanno a fare legna da vendere, a caccia o a funghi o si dedicano alla raccolta degli asparagi selvatici che vendono a caro prezzo; c) quelli che prendono le mazzette per appiccare gli incendi e non ci sono mai quando si tratta di spegnerli.

Scrivo questo su informazioni dirette di alcuni di loro.

Qualche numero:

SICILIA: OLTRE 22MILA ADDETTI PER MENO DI 26 MILA KMQ.

CALABRIA: circa 10.500 agenti per 6.500 kmq

SARDEGNA: 12 MILA UNITA’ PER 20 MILA KMQ.

DUNQUE ABBIAMO, IN SOLE TRE REGIONI, OLTRE 33MILA AGENTI PER SOLI 240 KMQ.

SAPETE QUANTI RANGERS FORESTALI HA TUTTO IL CANADA PER OLTRE 400MILA KMQ? 4.200 AGENTI.

Qui i giornalettari li chiamano #piromani, ma in italiano si chiamano ASSASSINI!

CHE NE PENSATE?

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LA GRANDE EVASIONE DEI SOLI NOTI, COMPLICI I GOVERNICCHI MAFIOSI DI DESTRA.

Ci sono trecentomila contribuenti che devono al Fisco oltre 500 mila euro a testa: 795 miliardi di tasse che l’Agenzia delle Entrate non riesce a recuperare

Carlo Bonini (coordinamento editoriale), Giuseppe Colombo, Giuliano Foschini.

Che l’Italia sia una Repubblica fondata sull’evasione fiscale emerge, abbastanza chiaramente, leggendo le dichiarazioni dei redditi dei 41 milioni di contribuenti italiani. Perché a impressionare non è tanto il volume degli affari dichiarato: 913 miliardi di reddito complessivo, al lordo degli imponibili in cedolare secca. Ma come quei guadagni sono divisi. E poi il numero dei grandi evasori, 300mila. Persone che con il loro comportamento contribuiscono a rendere le tasse più pesanti per chi le paga regolarmente.

Un Paese di poveri

Dei 913 miliardi dichiarati al Fisco, il 75 per cento arriva dal lavoro dipendente (490) e dalle pensioni (276), da chi cioè le tasse non le può evadere, mentre il 15 per cento appena dagli autonomi.

Ma c’è di più: non bisogna farsi ingannare dalle apparenze dei costi impazziti dell’estate (anche 100 euro per due lettini e un ombrellone in spiaggia), l’Italia a credere a quanto viene denunciato al Fisco è un Paese di poveri. Il 20 per cento degli italiani dichiara un reddito non superiore ai 6.700 euro. Un italiano su due non supera invece i 17.800 euro. Più di 50mila euro li guadagna invece appena il 6 per cento dei contribuenti, da considerarsi dunque a tutti gli effetti ricchi. Anche perché di questo 6 per cento (poco più di due milioni di persone) soltanto l’1,4 va oltre i 100mila, lo 0,5 sopra i 150 e soltanto in 41mila superano i 300mila euro.

Sono numeri che sembrano completamente scollati dal Paese reale che, è vero, ogni giorno deve fare i conti con le povertà e con le famiglie che non arrivano alla fine del mese, ma è altrettanto vero che – basta vedere i prezzi dei ristoranti e i numeri dei beni di lusso venduti – non è fatto solo per i ricchi con un reddito da 50mila euro lordo l’anno. Questo lo sanno bene anche all’Agenzia delle entrate e alla Guardia di Finanza che infatti hanno calcolato il “tax gap”, ovvero la differenza tra l’ammontare totale dell’imposta che si verserebbe in un sistema di perfetto adempimento degli obblighi fiscali e quello realmente incassato. In pratica: quanto manca alle dichiarazioni redditi degli italiani. Un numero che spiega perfettamente come, se tutti pagassero quanto devono, le imposte sarebbero meno della metà. Nel 2020, ultimo anno per cui le Entrate dispongono di dati concreti, “il tax gap ammonta a 67,5 miliardi”, a cui vanno aggiunti poco meno di 11 miliardi di contributi non pagati e altri 10 di imposte locali per un totale di 90 miliardi, meglio di 89,8 . Ma chi è che non paga?

L'Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate 

Secondo le stime dell’Agenzia, “alle persone fisiche titolari di partita Iva” si riferisce il tax gap dell’Irpef per circa 28,3 miliardi, “in diminuzione di 4 rispetto rispetto al 2015”. Nove miliardi sono da iscrivere invece all’Ires delle aziende, mentre 3,8 all’Irpef per i lavoratori dipendenti irregolari. Quindi, partite Iva. Aziende e finti autonomi, in realtà dipendenti. C’è speranza di recuperarli?

La lotta all’evasione

Nel 2022 il recupero dell’evasione fiscale ha avuto numeri da record: 20,2 miliardi, il dato più alto di sempre. Un elemento importante reso ancora più prezioso da un altro fattore: oltre alle maggiori entrate sono state assicurate “minori uscite”. Sono cioè stati concessi meno bonus rispetto a quelli richiesti. E questo grazie al lavoro di prevenzione della Guardia di Finanza, insieme con l’Agenzia delle entrate, che sono riusciti a bloccare 9,5 miliardi principalmente tra i crediti dovuti in relazione ai bonus edilizi. Il sistema è semplice e ormai noto: immobili inventati (clamoroso il caso delle particelle di stalle, in provincia di Foggia, trattate come fossero condomini da ristrutturare), vendite fasulle dei crediti, fino a farne perdere le tracce, fatture gonfiate sui costi vivi.

Il vero punto è però recuperare gli 89 miliardi di tasse che mancano. Come fare? “Le questioni che si aprono per rispondere a questa domanda”, risponde un ufficiale della Finanza che da anni si dedica proprio alla caccia agli evasori. Una caccia prolifica visto che con il suo gruppo è stato in grado di recuperare miliardi di euro tra i colossi della moda, i professionisti dei bonus e grandi aziende internazionali che avevano fittiziamente portato la loro contabilità all’estero. “Le questioni sono due: da un lato ci sono gli strumenti di intelligence finanziaria che noi utilizziamo, e che sono tutti di altissimo livello, anche grazie alla professionalità che abbiamo costruito in questi anni. Dall’altro, invece, c’è la capacità di intervenire e di punire. E su questo mi fermo, perché credo che siano altri a doverne discutere”. Il riferimento è, evidentemente, alle maxi sanatorie varate in questi tempi e che certo non mettono nell’angolo gli evasori. Anzi. Fatto sta, però, che la caccia continua. E lo si fa anche grazie agli strumenti più evoluti. Ultimo nell’ordine l’algoritmo dell’intelligenza finanziaria.

Si chiama Vera, acronimo di “Verifica di rapporti finanziari”, ed è in grado di incrociare tutti i dati a disposizione di Finanza e Agenzia delle entrate, in modo da evidenziare possibili anomalie. La mole di informazioni è enorme: conti correnti, estratti conti delle carte di credito, patrimonio mobiliare e immobiliare, ma anche attività sul web, piattaforme social, tutto quello che è nelle banche dati ministeriali, dall’automobile che guidavate durante un controllo stradale ai viaggi che il commercialista ha portato in detrazione come fossero trasferte di lavoro, ecco, tutto quello che lo Stato sa o può sapere viene utilizzato dall’algoritmo per evidenziare anomalie. Chiaramente seguendo tutta una serie di procedure concordate con il Garante della privacy che passa, in un primo momento, dal rendere anonimi i dati. Significa che l’algoritmo inizialmente si muove su dati anonimi e che i nomi arrivano sui terminali dei cacciatori di evasori (le liste vengono inviate alle direzioni regionali e provinciali per organizzare le attività di controllo) soltanto dopo aver superato una serie di step, quando l’alert è circostanziato. Inoltre un’arma così potente, ha spiegato la stessa Agenzia in una circolare interna, non potrà essere utilizzata sempre e comunque. “La priorità – si legge – è per le posizioni riguardanti fattispecie e comportamenti che risultano di particolare disvalore: le frodi, le false compensazioni, l’indebita fruizione di misure di sostegno, a partire da quelle prodotte dalla pandemia del Covid”.

Un agente della Guardia di Finanza
Un agente della Guardia di Finanza 

I 300mila evasori

Fin qui, quindi, la caccia a chi non paga. Ma, come spiegava l’ufficiale della Guardia di Finanza, tutto ciò che ruota attorno al tema evasione fiscale ha la faccia di un Giano bifronte. E, accanto agli evasori non trovati, c’è chi è stato scoperto e, ciononostante, continua a essere debitore con lo Stato. È la giungla delle cartelle non pagate, quelle che, grazie alle rottamazioni, per non parlare della possibilità di un condono, rischiano di non venire riscosse. Chi sono, infatti, i principali debitori dello Stato?

In aiuto viene quanto illustrato dall’Agenzia delle entrate al Senato, durante l’audizione del 17 luglio in commissione Finanze, che si stava occupando della delega fiscale. Secondo i tecnici del fisco, infatti, nella pancia del Paese ci sono “alla data del 31 dicembre del 2022 circa 1.153 miliardi di euro”, dicasi mille miliardi di euro, più di quanto guadagnano tutti gli italiani in un anno, “composto da oltre 170 milioni di cartelle di pagamento che contengono circa 290 milioni di singoli crediti affidati, dagli enti creditori all’Agenzia delle entrate-Riscossione, per le attività di recupero nei confronti di quasi 23 milioni di soggetti debitori”. Sono crediti “vetusti, non riscossi e, di fatto, in buona parte non riscuotibili” e soprattutto sono crediti che sono in pancia non a piccoli cittadini ma a grandissimi evasori fiscali che, insieme a chi ogni giorno non paga le tasse, nei fatti costringono tutti gli italiani per bene a sopportare tasse troppo alte.

Sono 300mila, o per essere più precisi, 296mila e 400, e hanno un debito superiore a 500mila euro. “Tali debitori – hanno spiegato dalle Entrate – hanno un carico contabile residuo corrispondente al 69 per cento del totale del magazzino, pari a 795,57 miliardi”. Che significa? Che dei crediti che lo Stato vanta con gli evasori accertati, per due terzi sono da imputare a questi trecentomila. Chi sono? Istituti di credito, grandi aziende, magari società cartiere come accade per esempio nel mondo dei carburanti che hanno immesso tonnellate di benzina di contrabbando evadendo l’Iva. “Come si diceva – spiegano dalle Entrate – per la maggior parte si tratta di crediti vecchi e ormai difficilmente recuperabili”. Ma tutte le volte che vi parlano di una rottamazione, tutte quelle volte che sentite parlare di uno sconto fiscale per chi “è inseguito dall’Agenzia delle Entrate” – il copyright è del vicepremier Matteo Salvini – pensate a questi 300mila che posseggono 795miliardi non dati al Fisco. Che ora gli italiani per bene stanno pagando al posto loro.

Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini
Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini 

Il disimpegno del governo nella lotta all’evasione

Nei Palazzi del governo di destra si registra una certa insofferenza nei confronti della lotta all’evasione fiscale. Almeno nella forma praticata fino ad oggi e che ha portato l’Agenzia delle entrate a un recupero record di cui si diceva poco fa. Un risultato apprezzato, ma ritenuto comunque insufficiente. “Oggi abbiamo un tax gap che oscilla tra 75 e 100 miliardi ed è elevato, dobbiamo combatterlo con altre forme”, ha ripetuto più volte il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, il regista della riforma fiscale per conto della premier.

La premier Giorgia Meloni e il viceministro dell'Economia Maurizio Leo
La premier Giorgia Meloni e il viceministro dell’Economia Maurizio Leo 

Una dichiarazione di principio che ha trovato subito una sua applicazione, all’interno della delega fiscale, con l’introduzione del concordato preventivo biennale e l’ampliamento dell’adempimento collaborativo. Sono meccanismi che puntano a ribaltare la direzione dell’accertamento puntando sull’adesione volontaria del contribuente e quindi sulla possibilità di intervenire ex ante. Ma spostare troppo il baricentro, a danno dei controlli ex post, rappresenta un’operazione rischiosa perché può portare a un ridimensionamento dell’obiettivo finale, invece che a un incremento delle somme sottratte al grande bacino del “nero”. C’è chi non aderirà a questi meccanismi di collaborazione preventiva, continuando ad evadere. E chi lo farà potrà godere di vantaggi enormi, come la cancellazione delle sanzioni. Oltre al fatto che penserà di poterla fare sempre franca perché ci sarà sempre un modo per riparare all’omessa dichiarazione o alla dichiarazione infedele, reati snaturati perché il deterrente più incisivo, la punibilità, viene più che ammorbidito. 

Intanto il governo ha messo le mani avanti. Basta leggere un passaggio del documento di revisione del Pnrr. Pagina 36, riforma dell’amministrazione fiscale: “La riforma – si legge – prevede una serie di misure per incoraggiare l’adempimento degli obblighi fiscali e migliorare l’efficacia degli audit e dei controlli mirati”. Con un target ben definito: dimostrare che la propensione all’evasione delle imposte è inferiore, rispetto al valore registrato nel 2019, del 5% nel 2023 e del 15% l’anno successivo. In pratica bisogna far scendere il tax gap dal 18,5% al 15,8 per cento. Ma l’esecutivo scrive che l’obiettivo va rivisto perché le imprese hanno poca liquidità “a causa delle condizioni macroeconomiche” e fanno fatica a pagare le tasse con regolarità. Bandiera bianca. E 10-15 miliardi di tasse non recuperate.

La premier Giorgia Meloni
La premier Giorgia Meloni 

La delega fiscale. Così la destra allarga le maglie per favorire gli evasori

Giorgia Meloni lo chiama “Fisco amico”. Ma dietro l’etichetta benevola del patto preventivo tra il cittadino e le Entrate si nasconde il gran favore agli evasori. L’identikit dei beneficiari è chiaro, agganciato a storiche ragioni di consenso che oggi hanno la possibilità di dispiegare appieno la loro logica, proprio perché legittimate da un ampio riconoscimento elettorale. La traccia della destra sociale spinge a favorire le piccole partite Iva e gli autonomi, insomma il commerciante che preferisce il contante al Pos, oppresso, nella visione della destra, dal “pizzo di Stato” (copyright Meloni). Ma la mano viene tesa anche ai grandi evasori che nascondono i capitali all’estero e ai Paperoni che in Italia ci restano, occultando ugualmente i loro immensi patrimoni. Il trattamento di favore non è affidato a misure spot, come i condoni una tantum di berlusconiana memoria. Diventa, invece, strutturale. È la delega fiscale, la cornice della riforma delle tasse, a restituire il senso del tentativo. Scorciatoie e premi si annidano tra i 23 articoli del provvedimento. A iniziare dal concordato preventivo biennale, riservato proprio alle partite Iva e alle pmi: contribuente e Fisco seduti intorno a un tavolo per siglare un accordo su una base imponibile (le tasse da pagare) che viene congelata per due anni. Se nel frattempo, cioè in questi due anni, il reddito dovesse crescere, il contribuente otterrebbe un vantaggio enorme: pagare meno tasse. Un invito a nozze per i piccoli evasori, attratti dalla possibilità di strappare al Fisco un accordo conveniente.

Risalendo la piramide dei redditi fino alla cima, la delega allarga le maglie anche attraverso un ampliamento del perimetro dell’adempimento collaborativo, che oggi è riservato solo a 92 tra grandi imprese, banche, assicurazioni e società di Stato. La logica è sempre quella dell’intesa preventiva: la valutazione comune implica che il contribuente metta in luce le situazioni delicate, che possono generare rischi fiscali. E anche i controlli vengono fatti preventivamente. In cambio, il contribuente ottiene il dimezzamento delle sanzioni, in caso di comportamenti non corretti. Questo almeno fino a qualche giorno fa perché la delega, durante il passaggio parlamentare, ha alzato il tiro: le sanzioni, penali e amministrative, saranno cancellate. E potranno approfittarne anche i super ricchi, dato che l’adempimento collaborativo è stato esteso ai Paperoni che trasferiranno i loro grandi capitali in Italia e a quelli che risiedono all’estero ma che, per interposta persona o tramite trust, possiedono nel nostro Paese un patrimonio pari o superiore a 1 milione di euro.

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LA PICCINERIA DEL TRADITORE PAZZO E COLLUSO, #KOSSIGA, IL PEGGIOR PdR DI SEMPRE.

di Concetto Vecchio

Da Cossiga a FdI, ecco come nasce la falsa pista palestinese sulla strage di Bologna.

L’ex presidente della Repubblica nel 1982 negò la matrice fascista e fu osannato da Pino Rauti. Raisi prima, Mollicone poi hanno coltivato la tesi della mano straniera

03 AGOSTO 2023

ROMA – La notizia trapelò tre giorni dopo. La mattina del 15 marzo 1991, un venerdì, Francesco Cossiga era stato ascoltato dal Comitato parlamentare per il controllo dei servizi di sicurezza e a precisa domanda di Pinuccio Tatarella, il patriarca del Msi, aveva risposto: “La targa alla stazione di Bologna che definisce fascista la strage del 1980 va tolta”.

https://www.repubblica.it/politica/2023/08/03/news/bologna_strage_2_agosto_indagini_false_piste-409868686/?ref=RHLF-BG-I409875118-P8-S2-T1

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Berlusconi e il patrimonio stipato ad Arcore: 25mila opere.”

VALGONO CENTINAIA DI MILIONI E SONO DELLA MARCHESINA CASATI-STAMPA, ESATTAMENTE COME LA VILLONA E I TERRENI. SE I FIGLI DEL GANGSTER NON FOSSERO DELINQUENTI COME IL PADRE, LE RESTITUIREBBERO TUTTO, CON TANTE SCUSE E ALMENO UN MILIARDO PER AVER GODUTO LA PROPRIETà AL POSTO SUO.

Da “AVVOCATI SENZA FRONTIERE”

Il dramma dei Marchesi Camillo e Anna Casati Stampa e la vera storia di Villa San Martino di Arcore raccontati a “Stelle nere”. Un’estorsione e un patrocinio infedele rimasti impuniti.

Nel tragico destino della coppia e dell’amante di lei, come ombre nella notte, appaiono, sinistre, le rapaci figure del giovane Avv. Previti e del suo patron Berlusconi.

Annamaria, ancora minorenne, eredita l’ingente patrimonio dei genitori, la cui gestione è affidata all’amico di famiglia, Avv. Giorgio Bergamasco, allora esponente del Partito liberale, che ne diventa il tutore. Tra i suoi collaboratori di studio, vi è il rampante Avv. Previti, il quale riesce a carpire la fiducia della giovane Annamaria, sebbene avesse dapprima assistito le sue controparti, i coniugi Fallarino, nella dura contesa ereditaria volta a mettere le mani sull’ingente patrimonio di famiglia.

La ragazza si ritrova un’eredità pari a due miliardi e 403 milioni di lire tra beni mobili, immobili e gioielli. Decide di lasciare alle sue spalle lo scandalo e l’Italia; approda, nel 1972 in Brasile affidando i suoi beni – senza limitazioni di mandato – al suo ex tutore, Bergamasco che, nelle more era diventato ministro del governo Andreotti.

Il giovane avv. Previti, nella qualità di vice tutore riceve l’incarico di vendere Villa San Martino «con espressa esclusione degli arredi, della pinacoteca, della biblioteca e delle circostanti proprietà terriere».

Ed è così che Villa Arcore cade nelle mani del faccendiere titolare della Edilnord e della Fininvest attraverso la mediazione di Previti.

La biblioteca ricca di diecimila volumi viene affidata a Marcello Dell’Utri.

Arredi e parco con scuderia sono affidati allo stalliere mafioso Vittorio Mangano.

Il valore del solo bene immobile era allora stimato circa 1 miliardo e 300 milioni di lire ma fu ceduto per soli 500 milioni di lire  virtualmente corrisposti in titoli azionari (di società all’epoca non quotate in borsa). L’ereditiera non riuscì mai a monetizzare i titoli azionari e fu costretta ad un accordo tramite lo stesso Previti con Berlusconi, che riacquistò i titoli per soli 250 milioni di vecchie lire per un immobile che all’inizio degli anni ottanta era idoneo a garantire un prestito di 7,3 miliardi di lire pari al suo valore di stima.

Le deduzioni sulla triste vicenda sono aristoteliche.

Nessuna ombra sembra più coprire questa triste storia, se non quella della giustizia che fatica a splendere.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-29817bbc-869f-4e8a-ac73-95b9f1e8dae7.html#p=0

http://www.unita.it/speciali/silviostory/l-146-acquisto-della-villa-a-arcore-un-giallo-da-agatha-christie-1.49917

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LE STRONZATE IMMANI E IL RANCORE DELLA NULLITA’ #DAGOSTINO, GIA’ CONDANNATO A RISARCIRE RENZI CON 100MILA EURO PER DIFFAMAZIONE AGGRAVATA.

DAGOREPORT – RENZI VUOLE STUPIRE TUTTI ALLE PROSSIME ELEZIONI COMUNALI DI FIRENZE: SOGNA DI CANDIDARE A SINDACO CESARA BUONAMICI – SFANCULATO DA CALENDA, MOLLATO DAI FEDELISSIMI (CON LUI SOLO BONIFAZI E MEZZA BOSCHI), CON ITALIA MORTA CHE NON SUPERERA’ MAI LA SOGLIA DI SBARRAMENTO DEL 4% PREVISTA DALLE EUROPEE, A MATTEONZO NON RIMANE CHE BUTTARSI SU FORZA ITALIA SPACCHETTATA SULLA QUESTIONE GIUSTIZIA, CERCANDO DI INFINOCCHIARE MARINA BERLUSCONI…

DAGOREPORT

Matteo Renzi ha un chiodo fisso: essere sempre al centro della scena. Eppure i suoi arzigogolati piani incespicano su imprevisti a ogni curva.

Il suo partitino, Italia Viva, vivacchia: nei sondaggi galleggia poco sopra il 2,5%. Gli elettori restano a distanza dalla truppetta renziana, avendo ormai imparato il leitmotiv di una vecchia pubblicità progresso: se li conosci, li eviti. Cosicché il consenso è rimasto pulviscolare nonostante giornaloni, tv e talk show dedichino molto spazio alle manovre del senatore semplice di Riad.

L’alleanza vagheggiata da Matteonzo con l’ego-espanso equipollente di Carlo Calenda è finita alle ortiche. I due galletti si sono beccati a ogni pié sospinto fin dal primo giorno del loro matrimonio d’interesse e hanno finito per sfancularsi.

Il “Churchill dei Parioli” accusa l’amico di Bin Salman di “scivolare verso destra”, di voler “fare un ragionamento con la maggioranza”. Insomma di essere altrove, rispetto al fantomatico Terzo Polo, la cui esistenza non è mai stata rilevata né dalla scienza né dai netturbini. E per Italia Viva la soglia di sbarramento del 4%, prevista alle elezioni europee, diventa una montagna impossibile da scalare senza il soccorso di Azione.

Intorno al trono di Renzi sono rimasti in pochi, anzi in due: Francesco Bonifazi e metà Elena Boschi (l’altra metà è impegnata a postare foto su Instagram e a limonare il fidanzato Giulio Berruti a ogni latitudine).

Gli altri, da Luigi Marattin a Elena Bonetti fino a Ettore Rosato, si sono rotti i cabasisi della satrapia politica di Renzi che fa e disfa senza coinvolgere nessuno. Come Dago-rivelato, quel che resta della delegazione di Italia Viva in Parlamento si sta guardando intorno: chi strizza l’occhio a Forza Italia, chi al Pd, chi alla Lega. Ognuno sogna un nuovo approdo.

E’ qui che l’animo manovriero e centripeto di Renzi viene fuori. Vuole ancora essere protagonista e l’occasione per l’ennesima mossa del cavallo è arrivata con la riforma della giustizia secondo Nordio. Sconfessata da Mantovano, mentre la Procura di Firenze ha ricicciato la mafiosità di Berlusconi con perquisizione in casa Dell’Utri, il novello garantismo di Giorgia Meloni ha subito fatto imbufalire Marina Berlusconi.

A quel punto Renzi si è infilato come un serpente in Forza Italia, spacchettata tra un Tajani ostaggio della Ducetta e la dentiera avvelenata di Licia Ronzulli. Sognando un’Opa sul partito vedovo di Silvio Berlusconi, Matteonzo ha avuto la brillante di idea di lanciare per la carica di sindaco di Firenze, prevista nella primavera del 2024, in quota Italia Viva, Cesara Buonamici. La giornalista di Mediaset, che è nata a Fiesole, provincia fiorentina, ha iniziato la sua carriera nell’emittente locale Tele Libera Firenze e scrivendo per il quotidiano La Città

Ha solide radici toscane e viene considerata in grande rampa di lancio, soprattutto dopo che è stata scelta come opinionista unica per la prossima edizione del “Grande Fratello”. La visibilità che ne riceverà, con annessa rinfrescata d’immagine in salsa pop, potrebbe agevolare la “somministrazione” agli elettori fiorentini, tradizionalmente de’ sinistra, di un volto “berlusconiano” come quello della Buonamici. Riuscirà il prode Matteonzo a convincere la tele-giornalista a cavalcare il procelloso mare della politica sulla bagnarola corsara di Italia Viva? Ah, saperlo… (NUOVA QUERELA IN ARRIVO?)

E, A PROPOSITO DELLO SPROPOSITO VOLUTO E RIBADITO A MANETTA DEL “senatore semplice di Riad” e “dell’amico di Bin Salman”, questi asini non hanno idea di quanti #amici abbia Bin Salman. Ad esempio, dai big mondiali alle scartine leccaculo come il loro amico #pochette l’inutile.

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