La fine annunciata di Berlusconi

Quella crepa nel potere assoluto

di CURZIO MALTESE

NEL PESTAGGIO mediatico organizzato contro Gianfranco Fini il principale argomento degli zelanti cortigiani del Cavaliere è costituito dai rapporti di forza. Berlusconi ha tutto il potere, il governo, i soldi, il consenso. Fini ha soltanto una cinquantina di fedelissimi. Quindi, nella logica servile, il premier ha ragione e lo sfidante torto, l’uno ha già vinto e l’altro è “disperato”. Ma i rapporti di forza non sono tutto, nella vita e perfino in politica. La partita è appena cominciata. E Fini può vincerla. Perché ha dalla sua, oltre alla piccola truppa, qualcosa che nella politica italiana s’è ormai perso: un progetto. Un grande progetto. Quello di creare anche in Italia una destra normale, europea, repubblicana, chiamatela come vi pare, ma insomma più simile ai conservatori inglesi o francesi o tedeschi di quanto non sia il partito ad personam escogitato sul predellino da Berlusconi.

È un progetto che ha una sua forza intrinseca, storica, che va oltre i numeri da riunione carbonara. Già oggi Berlusconi sarà costretto ad accettare una prima normalizzazione del Pdl. La costituzione di una componente interna di dissenso. Qualcosa che nelle sue aziende e nei suoi partiti, equivalenti per lui, non pensava di dover mai sopportare. Una minoranza interna con la quale il governo dovrà fare i conti ogni giorno, per mille giorni, da qui alla fine della legislatura. Una faccenda seria sul piano pratico e uno sfregio tremendo, su quello simbolico, al monumento equestre che il Cavaliere pensava di essersi ormai costruito. Si spiega la reazione rabbiosa del premier, la terribile metafora della metastasi. Ma il cancro della seconda repubblica, per rimanere all’ossessione oncologica del premier, avanza per altri motivi. E l’iniziativa di Fini li illustra tutti.

Il Pdl è un partito invecchiato, come il suo leader, e privo di progetti. La politica è delegata alla Lega. Le strombazzate riforme sono una panzana. Berlusconi quasi lo ammette e, dopo la vittoria, è tornato come sempre a occuparsi di giustizia e televisioni. Non esiste nel partitone di maggioranza relativa, sempre più relativa, uno straccio d’idea, a parte Silvio for President. Su tasse, immigrazione, temi etici, tutto il Pdl, da Berlusconi in giù, si limita a far l’eco agli slogan di Bossi. Quasi non avesse più una visione della società e del Paese. Fini invece ne ha una ed è assai diversa da quella della Lega. Se si tratta di discutere a destra di pillola abortiva o di federalismo fiscale, conta per i media l’opinione di un leghista o di un finiano. Il berlusconismo è presente nel dibattito politico soltanto grazie ai famosi rapporti di forza, al dominio del capo sulle televisioni e ogni volta che il premier avanza una proposta di legge sugli affari suoi, in particolare giudiziari. Per il resto, l’afasia è totale.

Questa assenza di politica nel Pdl, cui per fortuna di Berlusconi corrisponde un vuoto parallelo nel Pd, ha prodotto in soli due anni una colossale emorragia di consensi. In parte e in poche regioni del Nord intercettati dalla Lega. Per il resto, si tratta di un enorme mercato di voti in libertà. Il primo partito italiano, con otto milioni di aderenti, è diventato quello dei delusi da Pdl e Pd. Ed è a questo che Fini guarda in prospettiva.
Oggi Fini può accontentarsi di far scendere Berlusconi dal cavallo e costringerlo a trattare come un leader normale, abbandonando per sempre l’idea di coronare la propria resistibile ascesa con il plebiscito presidenziale. Ma in futuro i rapporti di forza possono cambiare. Il futuro in politica arriva all’improvviso, quando meno te l’aspetti. Fu così quando Berlusconi comparve all’orizzonte della politica e sarà così quando scomparirà. Visto che almeno al futuro il Cavaliere non ha davvero più nulla da dire.

Berlusconi malore montecatini[3]

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