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Birmania, libera il Nobel Aung San Suu Kyi. °°° Si pronuncia San Su CI. Non vorrei che la carfagna si montasse la testa…
Birmania, libera il Nobel Aung San Suu Kyi.
°°° Si pronuncia San Su CI e non SUCCHI. Non vorrei che la carfagna si montasse la testa…
QUANDO MANCA L’ATTORE PRINCIPALE…
Aung San Suu Kyi, regime contro
Birmania, condannato il premio Nobel
Aung San Suu Kyi: 18 mesi ai domiciliari
La dissidente Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, condannata a tre anni di reclusione. Condanna commutata dalla giunta militare al potere a 18 mesi di arresti domiciliari. Sette anni di lavori forzati per il misterioso americano che aveva raggiunto a nuoto l’abitazione di San Suu Kyi, provocandone l’arresto a pochi mesi dalla scadenza della precedente condanna. Ora, se ci dovessero essere le elezioni promesse dalla giunta militare, San Suu Kyi non potrebbe parteciparvi.
°°° Solamente in questa italietta, forse, potrebbe stare peggio…
HANNO IMPRIGIONATO UNA NUVOLA LIBERA
Appello
Aung San Suu Kyi,
non smettiamo di difenderla
È iniziato a Rangoon, a porte rigidamente serrate — esclusi dunque giornalisti, diplomatici stranieri e pubblico — il processo ad Aung San Suu Kyi, 63 anni, tredici dei quali (nell’arco di 19) passati agli arresti domiciliari. Arresti che, beffa estrema, dovevano concludersi alla fine della settimana prossima. L’icona della resistenza contro il regime dei generali birmani ne rischia ora altri cinque di carcere per avere accolto e rifocillato il mormone americano, John William Yettaw, che il 6 maggio aveva attraversato a nuoto un lago per raggiungerla nella sua abitazione.
E c’è da scommettere che quest’ultimo, a sua volta sotto processo in un giudizio separato, pur essendo in teoria il vero responsabile dell’accaduto, avrà una pena ben più mite, se l’avrà. Perché è americano ma, ancora di più, perché la spina nel fianco del regime è lei e l’occasione per incarcerarla di nuovo va, evidentemente, colta. Duecento oppositori del regime hanno manifestato ieri davanti al tribunale in favore di Aung San Suu Kyi—nome da scrivere per intero e non, come vuole il regime, abbreviato in Suu Kyi, per far dimenticare alla cittadinanza che è figlia di un eroe nazionale, il generale Aung San — ma si vorrebbe che si manifestasse per lei in tutto il mondo, uscendo da quella certa diffusa, rassegnata indifferenza con la quale è stata accolta la notizia del suo nuovo arresto.
Innumerevoli volte si è, in effetti, già scritto di lei e delle persecuzioni delle quali è stata vittima, al punto che l’opinione pubblica — fatta di noi tutti — pare ormai assuefatta e incapace di ribellarsi ancora, di protestare e di difenderla. Ed è probabile che proprio su questa assuefazione faccia conto, e ne approfitti, il regime dei generali per colpirla di nuovo, chissà, in modo definitivo, viste l’età e le non brillanti condizioni fisiche. Chiudere o socchiudere gli occhi, anche solo per stanchezza, su una giustizia così tragicamente ingiusta vorrebbe dire, si sa, condannare altri forse numerosi sconosciuti alle medesime iniquità. La nostra grande centenaria, Rita Levi Montalcini, ancora una volta ha dato prova di tenace vitalità chiedendo al governo birmano la liberazione di Aung San Suu Kyi. Nella speranza che la sua voce sia di esempio e traino per molte altre.
Isabella Bossi Fedrigotti