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Stajano: la peste torna a Milano. «È una città incattivita ed egoista»
di Cesare Buquicchio

A spasso per Milano. Girando qua e la «come un sonnambulo, quasi non la conoscessi». È così che Corrado Stajano, giornalista e scrittore, autore del celebre ritratto del milanese «eroe borghese» Giorgio Ambrosoli, racconta la città che ha amato e che vorrebbe ancora amare. Ma Milano si è trasformata ne «La città degli untori» (Garzanti Editore – 256 pagine – Euro 16.60). «E’ una città mezza morta che fa venire in mente i bubboni della peste mascherati con orpelli dorati».

La città lucente di acque magnificata da Bonvesin da la Riva non c’è più. E’ rimasta contagiata dalle torture compiute dei fascisti sui loro prigionieri, a beneficio della coppia Valenti-Ferida. Segnata da altre violenze: da Piazza Fontana agli anni del terrorismo e dei servizi segreti infedeli.

Macchiata dalla decadenza della borghesia, parallela alla drammatica e quasi repentina fine della classe operaia, dal tramonto del cattolicesimo democratico e da una nuova peste: la corruzione.

«E’ trascorso tanto tempo – racconta Stajano – da quando, dopo mezzogiorno, si vedevano passare affiancati, in via Fiori Chiari, Craxi, Ligresti e Berlusconi, il potere politico e quello dei soldi d’avventura, che andavano a far colazione in una delle tante trattorie, spesso di loro proprietà, del quartiere di Breda». Era la «Milano da bere» spazzata via dalle inchieste di Mani Pulite.

Ma «la città, da allora, si è come indurita – riflette ancora Stajano – non ha saputo discutere le cause vicine e lontane di una corruzione che ha macchiato tutti i partiti politici e tutti gli strati sociali. Non ha saputo darsi una ragione, fare i conti con sé stessa, cercar di capire, trovare i modi per ricominciare in modo pulito tirando fuori idee e proposte di riscatto. (…) Il grande vuoto nato allora doveva essere colmato con gli strumenti della politica e della cultura che sono invece mancati. Se si pensa alla classe dirigente nata e fiorita a Milano: Bossi, Berlusconi, la Pivetti, Albertini, la Moratti. Con un’opposizione che fa di tutto per assomigliargli in una pratica politica omologata».

Nella Milano raccontata da Stajano a partire dalle sue strade, dai suoi marciapiedi, nasce il fascismo, qui gli ideali storici del socialismo si barattano per cupidigia, qui trovano terreno grasso il prevaricante populismo berlusconiano e l’assordante grettezza leghista. Allora la peste, nella sua realtà storica (quella raccontata dal Manzoni nei Promessi sposi) e nella sua valenza simbolica di morbo morale, che avvelena la vita delle persone e delle cose, diventa la chiave di lettura che attraverso stratificazioni storiche e metamorfosi di costume può cogliere una lunga durata di vergogna e sofferenza.

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