La Boccassini li fa cagare tutti in mano, compreso un venduto del CSM. E Sallusti delira.

Perquisizioni in sede romana ‘Giornale’
Indagato consigliere Csm Brigandì

Carabinieri anche nell’abitazione della giornalista del quotidiano Anna Maria Greco. Il direttore Alessandro Sallusti: “Per l’ennesima volta la casta dei magistrati mostra il suo volto violento e illiberale”

Perquisizioni in sede romana 'Giornale' Indagato consigliere Csm Brigandì   Il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Bocassini

ROMA – Dopo la pubblicazione da parte de Il Giornale di un vecchio dossier, risalente agli anni ’80 e poi archiviato che riguardava l’ex pm di Milano Ilda Boccassini, oggi procuratore aggiunto, Matteo Brigandì, membro laico del Consiglio superiore, è stato accusato di abuso d’ufficio per aver passato al quotidiano 1 le carte riservate. Il consigliere laico della Lega al Csm, che rischia di essere sospeso dalla carica, è stato quindi iscritto nel registro degli indagati per il reato di abuso d’ufficio (art. 323 cp) dalla procura di Roma. I carabinieri hanno apposto i sigilli al suo ufficio al Csm.

Nell’ambito della stessa inchiesta in mattinata il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, che coordina l’indagine, ha ordinato una serie di perquisizioni nella redazione romana del quotidiano diretto da Alessandro Sallusti e nell’abitazione della giornalista Anna Maria Greco. L’indagine a carico di Brigandì è partita da una denuncia da parte dello stesso Consiglio superiore della magistratura dopo la rivelazione di Repubblica 2 del 28 gennaio, che sosteneva come il consigliere avesse preteso gli fosse consegnato, per documentarsi, il vecchio fascicolo della disciplinare su Ilda Boccassini.

Per

la redazione del quotidiano di via Negri si tratta di “Un nuovo tentativo di mettere il bavaglio alla libertà di informazione e al Giornale in particolare – si legge in una nota – dopo le perquisizioni di pochi mesi fa al direttore, Alessandro Sallusti, al vicedirettore, Nicola Porro, e alla redazione milanese del quotidiano per l’affaire Marcegaglia”. A disporre le perquisizioni nell’abitazione romana della giornalista Anna Maria Greco e nella sede del quotidiano sarebbe stata, secondo quanto ha inizialmente denunciato la direzione de Il Giornale, il pubblico ministero Silvia Sereni per la presunta violazione dell’articolo 323 del codice penale, quello relativo all’abuso d’ufficio.

All’origine ci sarebbe l’articolo sul procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini dal titolo “La doppia morale di Bocassini” in cui si ricordava come nel 1982 il magistrato fu “sorpresa in atteggiamenti amorosi” con un giornalista di Lotta Continua. “Davanti al Csm – riferiva l’articolo – si difese come paladina della privacy. E fu assolta. Ora fruga nelle feste di Arcore – si sottolineava – ma allora parlò di ‘tutela della sfera personale'”.

L’accusa più grave è però quella che ha portato a indagare per abuso d’ufficio il consigliere laico del Csm, Matteo Brigandì. E’ in relazione a quest’inchiesta che è stata eseguita la perquisizione nell’abitazione della cronista de Il Giornale. In base a quanto si è appreso a piazzale Clodio l’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Pierfilipo Laviani, è partita da una segnalazione ufficiale fatta dal Consiglio superiore della magistratura. Secondo l’accusa, come aveva rivelato Repubblica il 28 gennaio, Brigandì avrebbe passato documenti interni al Csm alla giornalista che ha poi redatto un articolo sul procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini. “Non ne so nulla, e quindi non ho niente da dire”, ha detto oggi il consigliere Brigandì (Lega Nord).

Giorni fa il consigliere aveva già smentito di aver dato a Il Giornale gli atti del procedimento disciplinare sul pm di Milano. “Ovviamente non sono stato io” aveva detto la scorsa settimana proprio dopo la denuncia di Repubblica 3. “Se qualcuno sostiene questa cosa ne risponderà nelle sedi legali possibili”, aveva detto Brigandì. “Ho chiesto al Csm una serie di documenti, compreso quel fascicolo, che ho letto per un quarto d’ora e poi ho restituito”, aveva precisato Brigandì, che poi aveva annunciato di aver scritto una lettera al vice presidente Michele Vietti per chiedergli di “far luce” sulla vicenda.

Secondo il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, queste perquisizioni dimostrano come “per l’ennesima volta la casta dei magistrati abbia mostrato il suo volto violento e illiberale”. Sallusti ha aggiunto che “la perquisizione nell’abitazione privata della collega Anna Maria Greco, autrice dell’articolo che conteneva sentenze pubbliche del Csm, non solo è un atto intimidatorio ma una vera e propria aggressione alla persona e alla libertà di stampa. Stupisce che soltanto le notizie non gradite ai magistrati inneschino una simile repressione quando i magistrati stessi diffondono a giornalisti amici e complici atti giudiziari coperti da segreto al solo scopo di infangare politici non graditi”.

La giornalista Anna Maria Greco il 30 gennaio aveva scritto un altro articolo in cui si dava conto dei risarcimenti ai cittadini vittime di ingiusta detenzione o di errori giudiziari negli ultimi 10 anni e si sottolineava come nello stesso periodo le sanzioni per le toghe fossero state solo una decina: “il Csm – scriveva la giornalista – fa da scudo alla Casta”.

(01 febbraio 2011)

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Bossi: “Federalismo? Ormai è fatta. Adesso il decentramento dei ministeri”

Federalismo fatto?! Ma sei TU FATTO e strafatto! Avete scritto un compitino che non sta né in cielo né in terra! Così com’è, questa boiata non passerà MAI! Decentramento dei ministeri? Hai capito male… ci sarà il decentramento dei sedicenti ministri: tutti a cagare e di volata!

Bossi è l’emblema di questo regimetto: ladro, corrotto, vecchio, demente, scorreggione e stortignaccolo. Ma la cosa vale anche per mezzo regimetto. Il resto sono zoccole decerebrate e con la parannanza. A lavare cessi!

LA  VENDETTA  DEI  CITTADINI  ITALIANI

bip bip

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Nemmeno il buco del culo puzzolente e sanguinolento di berlusconi è volgare come la sua cosca

La Lega Nord contro Saviano
“Noi lottiamo, lui ha fatto i soldi”

Lo scrittore a Vanity Fair: “Sono anni che la ‘ndrangheta si infiltra al Nord, mi chiedo la Lega dov’era”. “Gomorra mi ha cambiato la vita”. Castelli: “Da noi fatti, non libretti. Abbiamo sempre combattuto la mafia, e nemmeno siamo diventati ricchi”

°°° Questo castelli è un altro analfabeta che nessun circo di paese avrebbe preso nemmeno per pulire il culo  al mulo feroce. Ma gli altri non sono migliori di lui.  Secondo me si è fatto cambiare nome, si chiama baracca. Seimila anni fa, in Sardegna, con questi attrezzi ci concimavamo i campi o li davamo in pasto ai maiali. Oggi, grazie al mafioso di Hardcore, sono tutti grassi, spocchiosi, e ricchi coi nostri soldi. Ma sta per finire la pacchia. Mi ripeto:

Castelli! Se avessi il culo come la tua faccia mi vergognerei di cagare!

SCHERZO  DI NATURA

castelli

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Angela Maraventano

Credo che si scriva così il nome di questa  senatrice  destronza di Lampedusa. E’ evidente che le è morta la maestra delle elementari al secondo mese della prima classe. Come d’altronde è avvenuto per tutti i legaioli.  E infatti, Angela (che nome sprecato!) è stata eletta con la lega… in Veneto, pare.  E’ ignorante quanto la

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Consigli per gli acquisti

Premier a cena coi giudici costituzionali, è polemica

Il 6 ottobre ci sarà l’udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano, ma intanto è già polemica dopo la notizia di una cena riservata del premier e del ministro Alfano a casa del giudice costituzionale Luigi Mazzella. Alla serata hanno partecipato un altro componente dell’Alta Corte Paolo Maria Napolitano, oltre a Gianni Letta e al presidente della commissione affari costituzionali Carlo Vizzini. La cena sarebbe avvenuta a maggio ma ne ha dato notizia ora l’Espresso: il giudice ha confermato dicendo che lui a casa invita chi vuole e ha negato che si sia parlato del Lodo Alfano. Continua a leggere

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Toc toc! Napolitano?!

La legge
del bavaglio

di GIUSEPPE D’AVANZO

L’agenda delle priorità di Silvio Berlusconi continua ad essere ad personam. Quindi, che la ricreazione continui, con buona pace di Emma Marcegaglia. Sostegno alle imprese e a chi perde il lavoro? Possono attendere. Per la bisogna sono sufficienti, al premier, un paio di bubbole nel tempio di cartapesta di Porta a porta (4 giugno): “Oggi non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto”.

Il Cavaliere diventa meno fantasioso quando si muove nel suo interesse. Teme le intercettazioni (non si sa mai, con quel che combina al telefono) e paventa le cronache come il diavolo l’acqua santa. Si muove con molta concretezza, in questi casi. Prima notizia post-elettorale, dunque: il governo impone la fiducia alla Camera e oggi sarà legge il disegno che diminuisce l’efficacia delle investigazioni, cancella il dovere della cronaca, distrugge il diritto del cittadino di essere informato. Con buona pace (anche qui) della sicurezza dei cittadini di un Paese che forma il 10 per cento del prodotto interno lordo nelle pieghe del crimine, le investigazioni ne usciranno assottigliate, impoverite.

L’ascolto telefonico, ambientale, telematico da mezzo di ricerca della prova si trasforma in strumento di completamento e rafforzamento di una prova già acquisita. Un optional, per capirci. Un rosario di adempimenti, motivazioni, decisioni collegiali e nuovi carichi di lavoro diventeranno sabbia in un motore già arrugginito avvicinando la machina iustitiae al limite di saturazione che decreta l’impossibilità di celebrare il processo, un processo (appare sempre di più questo il cinico obiettivo “riformatore” del governo). Ancora. Soffocare in sessanta giorni il limite temporale degli ascolti (un’ulteriore stretta: si era parlato di tre mesi) “vanifica gli sforzi investigativi delle forze dell’ordine e degli uffici di procura”, come inutilmente ha avvertito il Consiglio superiore della magistratura.

Sistemata in questo modo l’attività d’indagine, il lavoro non poteva dirsi finito se anche l’informazione, il diritto/dovere di cronaca, non avesse pagato il suo prezzo. Con un tratto di penna la nuova legge estende il regime che oggi regola gli atti giudiziari coperti dal segreto anche agli atti non più coperti dal segreto “fino alla conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Prima di questo limite “sarà vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione e degli atti delle conversazioni telefoniche anche se non più coperti dal segreto”.

Si potrà dire che si indaga su una clinica privata abitata da medici ossessionati dal denaro che operano i pazienti anche se non è necessario. Non si potrà dire qual è quell’inferno dei vivi e quanti e quali pasticci hanno organizzato accordandosi al telefono. Lo si potrà fare soltanto a udienza preliminare conclusa (forse). Con i tempi attuali della giustizia italiana dopo quattro o sei anni. In alcuni patologici casi, dopo dieci.

Addio al giornalismo come servizio al lettore e all’opinione pubblica. Addio alle cronache che consentono di osservare da vicino come funzionano i poteri, lo Stato, i controlli, le autorità, la società. È vero, in alcuni casi l’ostinazione a raccontare le opacità del potere ha convinto il giornalismo ad andare oltre i confini del codice penale violando il segreto. È il suo mestiere, in fondo, perché la libertà di stampa è nata nell’interesse dei governati e non dei governanti e quindi non c’è nessuna ragione decorosa per non pubblicare documenti che raccontano alla pubblica opinione – ricordate un governatore della Banca d’Italia? – come un’autorità di vigilanza protegge (o non protegge) il risparmio e il mercato.

Naturalmente violare la legge, anche se in nome di un dovere professionale, significa accettarne le conseguenze. È proprio sulle conseguenze di violazioni (finora comunemente accettate) che la legge del governo lascia cadere un maglio sulla libertà di stampa. I cronisti che violeranno la consegna del silenzio saranno sospesi per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti (sarà questa la vera punizione) e subiranno una condanna penale da sei mesi a tre anni di carcere (che potrà trasformarsi in sanzione pecuniaria, però). Ma non è questo che conta davvero, mi pare. Che volete che sia una multa, se si è fatto un lavoro decente?

La trovata del governo che cambia radicalmente le regole del gioco è un’altra. È la punizione economica inflitta all’editore che, per ogni “omesso controllo”, potrà subire una sanzione pecuniaria (incarognita nell’ultimo testo) da 64.500 a 465mila euro. Come dire che a chi non tiene la bocca cucita su quel che sa – e che i lettori dovrebbero sapere – costerà milioni di euro all’anno la violazione della “consegna del silenzio”, cifre ragguardevoli e, in molti casi, insostenibili per un settore che non è in buona salute.

L’innovazione legislativa – l’abbiamo già scritto – sposta in modo subdolo e decisivo la linea del conflitto. Era esterna e impegnava alla luce del sole la redazione, l’autorità giudiziaria, i lettori. Diventa interna e vede a confronto, in una stanza chiusa, le redazioni e le proprietà editoriali. La trovata trasferisce il conflitto nel giornale. L’editore ha ora un suo interesse autonomo a far sì che il giornale non pubblichi più quelle cronache. Si portano così le proprietà a intervenire direttamente nei contenuti del lavoro redazionale. Le si sollecita, volente o nolente, a occuparsi della materia informativa vera e propria, sindacando gli atti dei giornalisti. Il governo, nel progetto inviato al Parlamento, pretende addirittura che l’editore debba adottare “misure idonee a favorire lo svolgimento dell’attività giornalistica nel rispetto della legge e a scoprire ed a eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. È evidente che solo attraverso un controllo continuativo e molto interno dell’attività giornalistica è possibile “scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. Di fatto, l’editore viene invitato a entrare nel lavoro giornalistico e a esprimere un sindacato a propria tutela.

Ecco dunque i frutti intossicati della legge che oggi sarà approvata, senza alcuna discussione, a Montecitorio: la magistratura avrà meno strumenti per proteggere il Paese dal crimine e gli individui dall’insicurezza quotidiana; si castigano i giornalisti che non tengono il becco chiuso anche se sanno come vanno le cose; si punisce l’editore spingendolo a mettere le mani nella fattura del giornale. E quel che conta di più, voi – cari lettori – non conoscerete più (se non a babbo morto) le storie che spiegano il Paese, i comportamenti degli uomini che lo governano, i dispositivi che decidono delle vostre stesse vite. Sono le nuove regole di una “ricreazione” che non finisce mai.

°°° Se Napolitano, contro ogni legge terrena e divina, dovesse firmare questa ulteriore porcata, sarebbe come se silvio berlusconi e la sua cosca al potere girassero impunemente con la parola MAFIA tatuata sulla fronte. Spero che il capo dello Stato lo mandi a cagare malamente e che le opposizioni si dimostrino tali. UNA MOSTRUOSITA’ DEL GENERE NON PUO’ PASSARE!

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