di Pier Giorgio Pinna
«La pesca nell’isola rischia di morire»
Un coro unanime di proteste per le mancate strategie di rilancio in un settore vitale. L’assessore regionale Cherchi: “Costituiremo un’unità di crisi”
CAGLIARI. «Così la nostra pesca rischia di morire». In Sardegna non è ancora rivolta aperta. Niente scontri o tafferugli (come a Roma). «Ma c’è un pericolo serissimo: tra poco potremmo trovarci costretti a mettere a terra tutti gli equipaggi», avvertono gli armatori privati. Non sarebbe una decisione senza contraccolpi. Sui moli, da Carloforte alla Maddalena, da Porto Torres e Alghero a Cagliari e a Olbia-Golfo Aranci, il fatturato supera i 110 milioni all’anno. Un giro d’affari che incrementa ristorazione, commercio, turismo. E fa vivere quasi 4mila famiglie.
Venerdì scorso più di mille pescatori hanno partecipato all’assemblea generale convocata dalle associazioni di categoria. Era presente anche l’assessore regionale all’Agricoltura e Pesca, Oscar Cherchi, che ha condiviso la piattaforma presentata e preso l’impegno di costituire un’unità di crisi. «Andare avanti così non è più possibile», spiegano i dirigenti delle organizzazioni del settore. Sul banco degli imputati, operatori a monte della catena. Si parte da petrolieri come i Moratti che con la Saras dovrebbero avere un occhio di riguardo per la terra dove fanno le raffinazioni e dove invece i costi sono pià alti che altrove. Si continua con i responsabili della stribuzione di gasolio e benzina. E poi con la Regione, il Governo e l’Europa. Alla fine si arriva ai colleghi provenienti da altre regioni, chiamati in ballo per le razzie indiscriminate nei mari sardi.
°°°Una grande colpa la hanno anche i pescatori che non hanno affatto tutelato il mare, anzi! Ma questo è dovuto alla loro ignoranza, al loro egoismo, e soprattutto all’assoluta mancanza di un progetto serio della cosca berlusconide.