L’agghiacciante italietta di burlesquoni

Prostituirsi per un compito in classe
Il sesso, mai protetto, è di ogni tipo anche di gruppo

Sesso a pagamento a scuola o in discoteca. «Adesso anche i “clienti” sono giovanissimi»
ELENA LISA
MILANO
Alla segreteria telefonica dove lo lascia, il messaggio si sente appena: «Sono Claudia, ho tredici anni», e poi non smette di piangere. Tra le lacrime racconta la sua storia e si chiede come sia potuto succedere. Dice che adesso non potrà più tornare a scuola. Tre settimane fa ha fatto sesso orale con due quattordicenni nei bagni della discoteca che ha frequentato per tutto l’inverno nel centro di Milano, quella dei personaggi famosi. A ballare ci va il sabato pomeriggio, con le amiche. Claudia, che è un fiume in piena, il suo messaggio lo lascia di notte al numero del Centro studi contro il bullismo del Fatebenefratelli diretto da Luca Bernardo, primario della struttura di Pediatria e dell’area adolescenza all’ospedale milanese. Sa che la sua storia c’entra poco con violenze e aggressioni perché lei, quel pomeriggio nei bagni del locale, era consenziente, e non era neppure la prima volta. Ma non sa a chi rivolgersi. Claudia è onesta. Ammette anche che se quei «cavalieri» coetanei non avessero fatto circolare tra i compagni di scuola il video registrato sul telefonino, in cui è inginocchiata vicino al water con i due in piedi davanti a lei e i pantaloni abbassati, chissà quando, e se, avrebbe deciso di chiedere aiuto.

«Quello dei baby clienti è un fatto che ha sorpreso anche me, anche se mi occupo da anni di adolescenti – spiega Bernardo – è un fenomeno nuovo, ma purtroppo, dato il numero di segnalazioni che riceviamo, sta dilagando. E non va sottovalutato, per tutelare sia le piccole prostitute sia i clienti bambini. Se nessuno interverrà diventeranno uomini adulti convinti di non avere valore, certi che nella vita conti solo il denaro. Sono loro, anche, le vittime della baby prostituzione». Le ragazzine come Claudia è come se avessero due identità. Hanno tra i 13 e i 16 anni e vivono le loro giornate trasformandosi. Per esempio Manuela, 15 anni, che a casa è acqua e sapone, loquace, divertente, ma non eccessivamente disinibita. È in gruppo, nei luoghi di aggregazione, nelle discoteche in particolare, che cambia il suo modo di essere. Qui gli sguardi diventano ammiccamenti e lo zainetto un kit per il cambiamento: la minigonna al posto dei jeans e le scarpe col tacco anziché le ballerine. La biancheria intima spesso è costosa e in mostra. Manuela sceglie i posti dove appartarsi in discoteca, non esclusivamente i bagni, muovendosi tranquilla perché «io lì a ballare ci vado sempre, mi conoscono e quelli della sicurezza non mi controllano».

Niente tabù
Le piccole prostitute perdono qualsiasi tabù e i rapporti sessuali diventano un mezzo per ottenere «merce», mai denaro: telefonini, biglietti per i concerti, ricariche, ipod, scarpe da ginnastica, magliette, catenine e braccialetti. I loro clienti, altrettanto bambini, gonfi di spavalderia o timidezza – che tentano di vincere con l’uso di una nuova droga, il cosiddetto ghiaccio bianco o ghiaccio secco, mix di barbiturici e anfetamine – le rimorchiano sui divanetti. Poco importa che sia il «fighetto» del gruppo oppure lo «sfigato». «Il maschio per queste adolescenti – spiega Bernardo – è una preda. È il mezzo grazie al quale possono avere ciò che vogliono, e apparire come desiderano».

Il sesso, mai protetto, è di ogni tipo: completo, di gruppo e praticato con un certo voyeurismo, dietro le tende, negli anfratti in discoteca e, a volte, nei bagni della scuola dove il rischio di essere visti o sentiti è alto. Alta è pure la cifra da racimolare per i piccoli clienti che devono comprare la merce con cui pagare la prestazione. Cinquanta, cento euro a settimana. Alle ragazze raccontano di sfilarli, poco per volta, dal portafoglio dei genitori. Oppure li chiedono ai nonni e ai parenti. Dicono di aver finito la paghetta. Altri, invece, minacciano i compagni con atti di bullismo. Ma c’è anche chi si accontenta di una ricarica telefonica o di un aiuto scolastico: a volte può bastare persino un compito passato al momento giusto. Rudy Citterio, presidente dell’Associazione locali notturni di Milano, parla di disagio giovanile e aggiunge: «Chi gestisce una discoteca non può sostituirsi agli educatori. È la famiglia che deve tirar su i figli con valori e principi sani». Quindi i genitori stanno a guardare? Alla domanda risponde involontariamente Claudia. Al telefono, tra i singhiozzi: «Per fortuna i miei non si sono accorti di niente. Eppure il mio armadio è pieno di cose firmate che loro non mi hanno mai comprato».

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Ma allora è vizio!

Noemi alla festa del Milan
al tavolo con Confalonieri

Le immagini (e il video) della cerimonia del Natale 2008. La ragazza napoletana con la madre al tavolo d’onore accanto al presidente Fininvest
(Rep.)

°°° Beh, ma allora non ci sono più scuse: o la madre sta vendendo la ragazzina da molti anni oppure quella merdaccia di silvio berlusconi DEVE fare chiarezza.

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mafiolo fischiato anche a Roma

Dopo Sassari, Cagliari, Nuoro, Torino, Napoli (vedere burlesquoneide sul mio blog), oggi Al Pappone è stato fischiato anche a Roma. Ormai è un continuo. A quando le monetine e gli sputi?

IL VIDEO
http://tv.repubblica.it/copertina/roma-berlusconi-fischiato/32371?video

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BUFFONI ! Scarti di verme!

Fronte del video
di Maria Novella Oppo

Sardegna fiction di governo

Qualcuno forse ricorderà che, nel corso della recente campagna elettorale regionale, Berlusconi si era dichiarato sardo, come Kennedy berlinese. E in effetti, te lo vedevi spuntare dappertutto, tra i nuraghe, o dovunque ci fosse una telecamera al seguito. A fianco, come un cagnetto ben addestrato, il candidato Cappellacci, muto ma sedicente sardo pure lui. Il quale oggi, da presidente della Regione, non trova una parola da dire in difesa dei cittadini che lo hanno votato, fidandosi però della parola di un altro, famoso nel mondo per essere del tutto inaffidabile. Barzellette tante, per il resto finto come la sua moquette di peli alieni. E ora, a cose fatte e voti presi, i due bugiardi dichiarano candidamente che l’isola non conta per il governo se non come set, come location televisiva dove ambientare l’ennesima fiction con Berlusconi protagonista. Ieri sardo, oggi terremotato, fino al momento dell’incasso.

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LUCIO SALIS © Copyright 1994

Da “LEI NON SA CHI SONO STATO IO”

Capitolo terzo

EMILIO FEDE

Tutti dicono che è un “servo sciocco“, ma io non penso che sia sciocco.
Emilio Fede non nasce come vorrebbero i maligni in Serbia, in Val di Schiava, o a Lecco, ma in Sicilia. Figlio d’arte: sua madre domestica e suo padre valletto in un programma televisivo (in una tv locale di Pippo Baudo, naturalmente. Pippo già a tre anni poteva di tutto e di più). Emilio, precocissimo, già in occasione del proprio battesimo pretende di SERVIRE messa. Si becca subito una papagna dal parroco, che aveva mani grandi come palazzi (gli prendeva la misura per i guanti un geometra del vicinato e doveva comprare la pelle o la lana a ettari). Emilio frequenta le elementari in Sicilia e diventa subito una celebrità: sa tutto sui servi della gleba e porta la cartella a tutti i suoi compagni (ancora oggi, da come agita le mani, si notano i guasti degli antichi sforzi). Viene soprannominato “sciarpetta“, per via della lingua sempre al vento, pronta all’uso. I maestri andavano blanditi. Tutti dicevano “bacio le mani”, lui brevettò “bacio il culo”. A otto anni fa la Cresima e i suoi lo vestono da cameriere: pantaloni lunghi neri, giacca bianca, camicia bianca e papillon nero. Un segno del destino. Anche in quell’occasione pretese di servire lui la messa. Fu talmente insistente e petulante che la papagna del vescovo fu indimenticabile e superò in potenza quella battesimale del parroco: forse per via dell’anello vescovile. Ancora oggi Emilio sorride di sghembo, per via della mascella spostata. Subito dopo la cerimonia sacra, però, gli venne consentito di servire il caffellatte e le gallette a tutti i suoi compagni seduti ad una grande tavolata, nel salone parrocchiale. Emilio toccò il cielo con un dito. A sera, mascella gonfia per il “tocco” divino e piedi gonfi per il gran scarpinare, si addormentò stanco ma felice. Con la scuola andavano spesso a teatro. Lui non capiva granché e si annoiava. Tifava per i servi di scena e le maschere che tagliavano i biglietti. Finalmente arrivò Strehler in tournée col suo cavallo di battaglia: ”Arlecchino, servitore di due padroni”. Per Emilio fu una rivelazione. Tornò otto volte a vederlo. Anche se odiò Arlecchino per la sua improntitudine e non capì mai un cazzo della trama. Umilio è fatto così, si sa: quelle rare volte che gli vengono due pensieri contemporaneamente, visto lo spazio angusto del cervellino, sono costretti a fare manovra. Al liceo si appassionò alla letteratura italiana: ”Ahi servo Italia di dolore ostello” (Dante) – “Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio” (Manzoni). A diciotto anni cominciò a scrivere sul giornale locale. Si prese una tremenda papagna da suo padre, perché il giornale era il suo e così, tutto scarabocchiato, non riusciva a leggere una mazza. A diciannove anni arrivò la pubertà e il giovane Emilio cominciò a correre appresso a tutte le gonnelle. I fattorini dei negozi di abbigliamento si stufarono presto di avere quel deficiente sempre tra i piedi e lo riempirono di callose papagne. Allora lui smise di importunare gli onesti lavoratori, anche perché un suo compagno di scuola gli spiegò che sì, andava bene correre dietro alle gonnelle, ma dentro ci doveva essere qualche ragazza, sennò non aveva senso. Emilio capì al volo ma fu sfigato: era sopraggiunta la moda delle donne in pantaloni! Ripiegò sull’impegno civile.
Fu il promotore di una memorabile marcia, e l’unico a sfilare, in favore delle servitù militari in Sicilia. Venne inseguito e malmenato da un gruppo di separatisti. Rientrato malconcio a casa, si rinchiuse in bagno e, guardandosi allo specchio, ebbe un’altra folgorazione: i capelli corvini e gli occhi neri (e pesti), contrastavano col naso gonfio e rosso come un peperone… Rouge et noir! Divenne schiavo del gioco.
Giocava per ore col suo pistolino (una volta fu persino sorpreso e cacciato dalla processione del Corpus Domini). Giocava coi bottoni, colle monetine e coi giornaletti: perdeva sempre. Ma non se la prendeva, gli dava più fastidio essere deriso dai suoi compagni di giochi, tutti intorno ai sette anni, che lo mortificavano anche con sonore papagne. Odiò le loro manine, così piccole ma già così pesanti. Una volta provò a reagire, in fondo aveva vent’anni ed era grande e grosso, ma finì all’ospedale col naso rotto. Il suo avversario era un diavoletto, agile e spietato, di quasi nove anni! Cercò di barare anche alla riffa parrocchiale, per una pesca di beneficenza, ma il parroco lo cuccò subito e gli mollò una papagna imperiale: lo fermarono i carabinieri, due giorni dopo, che vagabondava nei pressi di Enna; vaneggiava, tutto spettinato, e diceva di chiamarsi Isaia e di avere delle profezie da rivelare. Fu affidato ad una pia donna, psicologa e suora laica, che si prese cura di lui per più di tre mesi. Ma non ce la fece: si beccò un forte esaurimento nervoso e diventò una spietata serial killer! Sparò anche in testa a Emilio, con una 44 Magnum. La pallottola gli trapassò il cranio senza ledere organi vitali. Ancora oggi, i medici mostrano perplessi il poster della radiografia (ingrandita dieci volte) del cervello di Emilio: il poster è un normale 70x 100 e quella che sembra una cacatina di mosca non è altro che la “massa cerebrale”. Capirono perché il paziente non avesse mai sofferto di cefalea e tantomeno di cerebropatìa. Il giovane Emilio si rimise presto, ma il demone del gioco d’azzardo e del rischio lo perseguitava: si iscrisse al PSDI (acronimo di : Prendi i Soldi Degli Italiani. Già in quegli anni si scommetteva forte su quale sarebbe stato il successivo leader del partito a venire ammanettato). Partecipò a ben tre assemblee regionali del partito, ma l’ultima gli fu fatale. Se ne uscì con qualche sproposito dei suoi e tutti e sette i delegati lo presero a papagne e lo cacciarono dalla seicento multipla, dove si tenevano i congressi. In Sicilia non lo capivano. Decise di emigrare e, salutati i suoi (che gli risposero da oltre le porte chiuse delle loro stanze), senza perdere tempo a salutare gli amici, (quali?) prese un treno per Milano. Naturalmente, sbagliò convoglio e approdò a Roma. Durante il viaggio conobbe una ragazza, figlia di un pezzo grosso della Rai Tv, alla quale disse di essere un ricchissimo premio Nobel. Il bluff gli era entrato nel sangue. Appena a Termini, molto servizievole, portò le valige della ragazza per sette chilometri, fino a casa di lei. La ragazza non fu insensibile al suo fascino e gli diede mille lire di mancia. Qualche sera dopo, premiato dai numerosi appostamenti, la rivide di nuovo e la invitò in pizzeria. Non aveva una lira. Lei accettò e, una volta nel locale, Emilio si accordò di nascosto col padrone e si trattenne per sei ore a lavare piatti.

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Per liquidare la ragazza, le aveva detto che aspettava il Santo Padre, da un momento all’altro, e si sarebbe trattenuto in pizzeria. Il Papa aveva bisogno di un consiglio e l’avrebbe raggiunto in incognito. Lei si bevve la storiella e, trasognata, rientrò da sola. Prima di salutarla, però, lui era riuscito a sfilarle l’agendina coi numeri di telefono dalla borsetta. Dal giorno dopo, prese a telefonare a tutti i potenti di Roma millantando e spacciandosi ora per questo ora per quell’altro genio del giornalismo. Divenne presto un incubo e, siccome aveva il vezzo di chiudere sempre le telefonate con “servo vostro”, quelli (data la pronuncia incerta) capirono Paternostro e , pur di levarselo dai coglioni, gli fecero fare una brillante carriera. A Sandro Paternostro, naturalmente. Il suo momento non era ancora arrivato. Ripetè l’invito alla ragazza e ripetè anche il trucchetto col padrone della pizzeria. Con lei era vero amore. Amore puro e casto. Ma, siccome anche la carne aveva le sue esigenze, conobbe una camerierina piuttosto allegrotta e le fece la corte. Questa cameriera “corte” non ne voleva: preferiva le lunghe aste dei lavapiatti tunisini, e quindi, una volta al dunque, lo mandò a cagare. Emilio non ne poteva più: “La carne è debole – pensò – ma il pesce è forte e vigoroso e tira. Minchia quanto tira!” Decise di andare in un sordido bordello, dalle parti della stazione Termini. Non aveva una lira. Scopò, tanto per dire, si liberò insomma… e, scopertolo al verde, i pappa lo riempirono di papagne e lo misero a lavare piattole (questa pare che non sia vera. N.d.A.).
Finalmente, la sua ragazza lo portò a casa e lo presentò ai suoi genitori. Al cospetto del pezzo grossissimo della RAI, Emilio si mise a piangere di commozione, accese candeline, maledì i comunisti, lumacò le mani e le scarpe del padrone di casa… cercò anche di baciargli il culo, ma quello si era prontamente seduto a tavola. Emilio leccò la sedia e brigò per servire “assolutamente” la cena, ma gli furono preferiti due capistruttura del Primo Canale. I padroni di casa erano abituati a questi comportamenti da parte dei sottoposti: Emilio non aveva inventato un cazzo. Gli venne concesso di riempire di Eukanuba la ciottola del cane. Il feroce maremmano lo guardò male e gli ringhiò contro: l’istinto dei cani è infallibile, l’animale aveva già capito che quell’essere gli avrebbe fatto una concorrenza spietata. Ma anche la tecnica di Emilio si rivelò infallibile. In occasione del secondo invito gli fu concessa la mano della ragazza e, al terzo incontro, il suocero gli concesse un bel contratto di giornalista RAI.
Emilio era al settimo cielo (in quanto a “concessioni” il suo futuro padrone di Arcore gli faceva un baffo). La sua vita aveva un senso. Tutte le mattine andava in via Teulada, timbrava il cartellino, sorrideva a tutti compresa la macchinetta del caffè (non si sa mai: il futuro sarebbe stato comandato dai robot?). Di lavoro neanche a parlarne. Gli unici servizi in cui eccelleva erano sempre quelli che faceva con la lingua, ai suoi superiori. E siccome tutti erano suoi superiori, aveva la lingua a smeriglio. Ogni mese gli arrivava il congruo stipendio in un grazioso pacchetto regalo, con tanto di carta colorata e fiocchetto. E lui continuava a giocare. Cercò anche di giocare con una collega, ma si accorse di aver giocato col fuoco: la fanciulla era passatempo personale del vice direttore…
Scoperto, si beccò una papagna tale che lo ritrovarono in Africa. Lui, naturalmente, millantava di essere un inviato speciale in gara per il Pulitzer.
Insegnò il poker ai negretti e passava le sue pigre giornate così. Bluffava come una serpe, ma i negretti vincevano sempre. Gli portarono via anche l’ultima sahariana. Lui giocava soldi e gli indigeni vetrini colorati: non ne vinse mai uno! Non ci poteva stare. Chiedeva sempre più soldi all’Azienda, inventandosi improbabili servizi che non spedì mai e nessuno vide mai: servizi segreti? Spendeva quasi quanto Mariagiovanna Maglie, la craxiana formato scaldabagno, e venne soprannominato “Sciupone l’Africano”. Ma il suocero ci metteva sempre una pezza e qualche centinaia di milioni. Sempre dell’azienda. Emilio venne chiamato anche
“genero alimentato”. Continuava a giocare a poker, e a perdere, coi negretti. Un giorno, non ne potè più e, barando, cominciò a strillare: ”Questa mano è mia! Questa mano è mia!”
Uscì da una capanna il padre di uno dei negretti, un signore distinto grande come il palazzo di giustizia di Roma, e gli disse: ”E questa mano invece è mia.” Gli mollò una papagna tale, che ancora oggi continuano a raccogliere le noci di cocco cadute per lo spostamento d’aria. Ci fu anche un incidente diplomatico. In un paese civile Emilio sarebbe marcito in carcere, in Italia venne promosso Direttore del TGUNO. Tutte le sere, leggeva le veline dei suoi padroni e sorrideva di sghimbescio dal video. Cominciò a ricevere valanghe di lettere di ammiratrici. Queste povere donne spedivano delle circolari: a Mike, a Gino Latilla, a qualche divo dei fotoromanzi, a Perry Mason, e a Emilio Fede. Speravano di sposarne qualcuno e sistemarsi. Emilio sbandierava quelle lettere, ne staccava i francobolli col vapore e li riciclava. Ormai era diventato popolare. Basta papagne, si illuse. Conobbe il lìder (lader) maximo, Bettino, e si innamorò di lui. Anche perchè suo suocero era stato messo da parte e lui era da solo. Un giorno, lucidati gli stivali a Craxi, gli si parò davanti e con grande sprezzo del pericolo si mangiò la tessera del PSDI. Poi quella della DC, quella del PLI, e persino la tessera di Socio ACI.
“D’ora in poi – giurò – avrò un’unica tessera ed un’unica fede: PSI di Bettino Craxi! Per te, mio idolo…- non finì la frase ché fu costretto a scappare in bagno. Cagò le tessere esattamente come le aveva ingoiate: che non ci fosse bisogno di trasformarle? L’intestino era cieco, ma mica scemo!
Protetto dal cinghialone si illuse che tutto fosse lecito. Cominciò ad adescare dei polli per memorabili e suicide (per loro) partite di poker. Lui e i suoi soci mandarono in rovina tonnellate di padri di famiglia, piccoli e medi imprenditori, che sbavavano per sedere allo stesso tavolo da gioco del divo del TG. Una mano tirava l’altra, troppe mani attirarono le manette. Bettino lo salvò, ma il pubblico non lo perdonò. E nemmeno il servizio pubblico. Fu cacciato in tronco dalla RAI. Bettino lo piazzò a fare un similnotiziario, in mezzo ai piazzisti di una televisione privata: Rete A, e la gente non capì mai chi tra tutti quelli imbonitori sparasse più cazzate. Tornarono le papagne: molti clienti truffati, da questo o quel mobiliere o da qualche venditore di zirconi, lo confondeva con gli altri e, ogni volta che usciva, erano mazzate. E continuava a giocare. A oggi, coi soldi che ha vinto si è comprato un cappello da cowboy. Con tutto quello che ha perso, si sarebbe potuto comprare il Texas.
Poi arrivarono Berlusca e le sue concessioni e Bettino dirottò Emilio a Milano due.Gli diedero un ufficio di fronte al bagno e lui esclamò: ”Casa, dolce casa!”
Aveva trovato la sua sistemazione ideale. Ebbe un suo TG (si fa per dire), una sua redazione: tutta gente libera e coraggiosa come lui, autentici kamikaze dell’informazione. La gente si chiedeva sgomenta: ”Ma kamicazze fanno questi a spacciarsi per giornalisti?” Ebbe un suo stipendio grasso e non uno, ma ben DUE padroni! Gli italiani guardavano mestamente il TG4 e si irritavano: ”Ma, visto che vogliono miracolarlo sempre, perché non gli dànno un giornale da dirigere? Pulirsi il culo con un telegiornale è impossibile!”
Ma lui proseguiva per la sua strada.
Non gli è mai scappata una notizia corretta. Non gli è mai scappato un commento obiettivo. Gli è scappato, invece, uno dei suoi padroni ad Hammamet. “Craxi? Mai coperto! Il mio idolo è Silvio! Io amo Silvio Berlusconi.” Anche Berlusconi ama lui. Emilio manda sempre un operatore col grandangolo a riprendere i comizi che Silvio tiene alle comparse della Fininvest: così anche quattro gatti sembrano una folla. Sceglie personalmente quelli della claque che hanno le mani più grandi e gli “evviva” più potenti. Dividono insieme il video, il cerone, la tintura per pennellarsi i capelli, e le risate fragorose degli italiani che sanno leggere e scrivere. Da quando Berlusconi è stato cacciato dalla poltrona di Presidente del Consiglio, ogni volta
(prima dei pasti) che mio nipote intervista il padrone ed è costretto a pronunciare “ex presidente” gli viene una ruga. Una crisi di Governo l’ha invecchiato di vent’anni! Una volta, Emilio è persino riuscito ad andare a cena in un famoso ristorante milanese, col suo adorato padrone (lui, si sa, è pieno di cuochi comunisti che guardano Santoro e non esce mai da Arcore o da via dell’Anima). Arrivati al ristorante, vestiti uguali, truccati uguali, sorridenti uguali, tronfi uguali, gli si è fatto incontro il maitre. Emilio gli ha fatto un bel sorriso sghembo e gli ha chiesto:”C’è un posto per noi due?”
Nel senso: ma hai visto chi siamo? Ed il maitre, impeccabile:
“Mi spiace, ma il personale è al completo.”

Ho raccontato solo la verità, senza nascondere nulla, perché anche a me è
sempre stato sul cazzo.

Firmato
zia Enzuccia.

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E’ bellissimo…

… constatare che anche i più poveri si sono privati di almeno un euro per aiutare i terremotati dell’Abruzzo, mentre il nostro lader maximo getta via con disprezzo oltre 400 milioni nel cesso… solo per non dare un dispiacere a Bossi. Ed è ancora più bello leggere e vedere quanto segue:

Su Internet il video di Berlusconi che dice ai ministri del G20: «Stavano al cesso»
di c.b. (da l’Unità.it)

A questo punto deve essere una strategia. La continua sequenza di gaffe, frasi inopportune, battutacce, strappi ai protocolli istituzionali, violazioni delle cerimonie internazionali compiuta sistematicamente dal presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi non può essere archiviata come semplice “esuberanza”.

L’ultima in ordine di tempo è quella che viene rivelata da un video di cui la Rai non ha parlato, ma che sta girando vorticosamente su Internet, tra Youtube e Facebook. Ed è stato da poco ripreso anche da La7. Si tratta della conferenza stampa finale del G20 di Londra. C’è il ministro Tremonti che sta spiegando la dinamica del vertice e ironizza sul lavoro portato avanti dai responsabili economici.

GUARDA IL VIDEO

A quel punto interviene Berlusconi che gli siede accanto e dice: «I ministri in compenso stavano al cesso…». Ricapitoliamo e inquadriamo la situazione: conferenza stampa ufficiale a Londra del vertice tra i 20 paesi più industrializzati del mondo, chiamati a elaborare strategie per uscire da una crisi che sta avendo conseguenti pesantissime su tanti cittadini. Giornalisti, italiani e stranieri, radunati per avere informazioni sulle decisioni dello Stato italiano sulla crisi economica, ma Berlusconi ha voglia di scherzare e si lascia andare alla scurrile espressione.

Ma non è finita. Osservando una giornalista Rai prendere nota dell’ennesimo scivolone il primo ministro italiano passa direttamente alle minacce e dice, anzi intima: «Che scrivi tu. Non scrivere. Cosa scrivi. Guarda che ci sono le riunioni a casa mia per la Rai. Eh, stai attenta! Ripeto, stai attenta», conclude Berlusconi additando la giornalista. Qualcuno ride, come purtroppo succede spesso alle “battute” del capo di governo, ma la sua minaccia va a buon fine. La Rai non ne ha più parlato.


CHI GLIELO SPIEGA A MIA FIGLIA DI NOVE ANNI O AGLI AMICI STRANIERI?

bernudo

bdimissioni8

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Bigottismo ipocritismo

Una commessa di Grosseto protagonista di un video a luci rosse
è stata costretta alle dimissioni dai titolari per il buon nome del negozio
Gira film hard e viene licenziata
Condannati i datori di lavoro

Il giudice ha dato ragione alla ragazza. Multa salatissima
in attesa che venga quantificato il risarcimento danni

Gira film hard e viene licenziata Condannati i datori di lavoro
GROSSETO – Il film porno le costa il licenziamento dal posto di lavoro. Ma il giudice dà ragione alla ragazza e condanna i suoi datori.

La vicenda ha come protagonista una commessa di Grosseto, colpevole, secondo i suoi datori di lavoro, di aver dato corpo alle sue fantasie, diventando protagonista di una pellicola hard. E tutto a loro insaputa.

Al momento non è dato sapere come possano aver saputo della seconda attività della loro commessa. Ma una volta accertata l’identità dell’attrice protagonista del filmino a luci rosse, hanno costretto la loro dipendente a rassegnare le dimissioni per il buon nome del negozio.

La ragazza, però, non si è data per vinta e ha intrapreso un’intensa battaglia legale contro i suoi principali un po’ troppo “bigotti”, sfociata anche in sede penale. Il giudice dopo un attento esame della vicenda, non ci ha pensato due volte a dare ragione alla ragazza. Così ha condannato i titolari del negozio al pagamento di una multa salatissima, in attesa che venga quantificato il risarcimento danni, che sarà fissato attraverso un’altra causa intentata dalla giovane.

°°° Ho capito: i titolari, bigottissimi quanto ipocriti, sono grandi consumatori di film porno… gira e gira, tra migliaia di pellicole hard, hanno scoperto la loro commessa e si sono appellati al “buon nome del negozio”. Non c’è altra spiegazione. Ah, no: ce n’è un’altra… il negozio vende film hard e oggettistica sessuale e i titolari – dopo la messa cantata e la funzione serale – frequentano i locali per scambi di coppie. Qualcuno li ha informati e…

LA COMMESSA

ann

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