di Francesco Merlo
Riccardo Magi (agf)
Posta e risposta di mercoledì 25 settembre 2024
Caro Merlo, non crede che il tilt del sito del ministero, invece di danneggiare, abbia aiutato il referendum che vuole portare da dieci a cinque gli anni di residenza per chiedere la cittadinanza?
Marta Flamini — Pescara
Sì, perché nel rush finale l’arretratezza, per una volta, è servita al progresso. È presto per dirlo, ma sembra che stia andando in tilt anche l’idea dell’Italia cattiva con il pelo arruffato dalla paura. Veloce e travolgente, la raccolta di firme è diventata, come sempre accade con i referendum, qualcosa di più dell’urgenza di riconoscere la tanto sbandierata italianità a cinquecentomila italiani senza Italia. Forse si è di nuovo accesa una luce su una grande voglia popolare di diritti, che la politica non ha visto, e che è anche un nuovo Nuntereggae più (ricordate la canzone di Rino Gaetano?). Dunque firmare è diventato un piccolo segnale, un modo per dire “ci sono anche io” nella civiltà, nell’Italia moderna dei diritti, di tutti i diritti. Qui infatti non si maneggiano più la destra, la sinistra e i partiti: siamo nel campo della libertà e della coscienza.
Caro Merlo, De Martino sulla Rai ha battuto Amadeus sulla Nove e la destra esulta come se Meloni avesse di nuovo vinto le elezioni. Noi, che siamo una famiglia di sinistra, non avremmo guardato “Chissà chi è” neppure in Rai. Invece questi pensano che Amadeus incarni l’artista di sinistra, come Benigni o Dario Fo, solo perché non offriva il Festival di Sanremo a Meloni e Salvini e ai vari Sangiuliano, Roccella, Lollobrigida, Fazzolari, e a tutti quelli che, predicando una nuova egemonia culturale, volevano solo mettere le mani sulla Rai.
Giulia Acciarito — Roma
Tutti sanno che Amadeus — come del resto Fabio Fazio e gli altri — è andato via dalla Rai perché gli conveniva. È un presentatore impolitico che durante il Sanremo del 2023, quello degli ascolti al 62 per cento, ospitò Mattarella e Benigni e, alle proteste di Salvini che lo maltrattava, rispose: «Se non le piace, si guardi un film». Fu la timida impennata di un professionista che conduceva programmi solitamente insignificanti e, una volta l’anno, si dedicava all’orgia decorativa del teatro Ariston. Ovviamente, lo incoraggiammo con divertito stupore, scrivendo che il “professionista dell’iperbole sanremese, quello dell’emozione pazzesca!, anzi fantastica!, anzi leggendaria!, aveva mostrato più nerbo di Enrico Letta, era stato più di lotta di Cuperlo e più di governo di Bonaccini, più uomo di mondo di Calenda, più credibile di Giuseppe Conte”. E che la sua Sanremo era, nientemeno, “la nuova Internazionale Situazionista, il Festival della Nuova Resistenza, l’opposizione più allegra ma più decisa a Giorgia Meloni” e lui “era il dottor Zivago”. Ci furono un paio di cretini cognitivi che fecero finta di non capire l’ironia e davvero misero sulle spalle di Amadeus e del suo “Chissà chi è” le sorti della sinistra, del campo largo, della classe operaia. E ora esultano perché non abbiamo — mi ci metto anch’io — guardato uno spettacolo che non ci è mai piaciuto.