Scoppia il caso di An
In cassa mancano 26 milioni
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Quei 26 milioni in meno sono citati come il segnale più lampante per esemplificare come il patrimonio di An non sia stato gestito in questi due anni secondo i criteri stabiliti dalla assemblea di scioglimento del marzo 2009 (quando nacque il Pdl): allora, infatti, si stabilì che il Comitato dei garanti doveva liquidare il patrimonio di via della Scrofa – secondo criteri di “conservazione” – traghettandolo sostanzialmente intatto, al netto degli oneri di gestione, fino alla nascita della Fondazione An. Al contrario, scrivono nella loro relazione i professori Manfredi e Tepedino, «l’associazione ha continuato ad essere gestita come prima delle determinazioni congressuali, con i relativi oneri che hanno determinato la riduzione netta del patrimonio dell’associazione stessa».
LA GESTIONE DOPO LA CHIUSURA
Insomma: An ha chiuso, ma chi la gestiva ha continuato a trattarla come se fosse una sorta di partito, e che anzi «non è stato dato corso a nessuna attività propedeutica alla liquidazione», spiegano gli ispettori. «Gli organi liquidatori hanno svolto intensa attività gestoria», scrive il presidente De Fiore, svolgendo una serie di operazioni come «il finanziamento di congressi» e le «rinunce a crediti». Fra le tante operazioni che saltano all’occhio c’è, ad esempio, «a tacer d’altro, il contributo a fondo perduto al Pdl di un milione di euro», ma anche – illustrano Manfredi e Tepedino – « un prestito senza oneri finanziari al Pdl di 3.750.000 euro», restituito «nel medesimo anno a distanza di qualche mese» senza però che del movimento dei tre milioni e mezzo di euro «vi fosse traccia nel rendiconto chiuso al 31.12. 2010».
Appena un paio di esempi che emergono da un mare di irregolarità più o meno significative (manca un «inventario dei beni», manca «la redazione della consistenza attiva e passiva dell’associazione» e, per quanto riguarda i rimborsi elettorali, presenta non poche difficoltà legali il fatto che siano stati trasferiti alla Fondazione), e che lasciano presagire che la faccenda non finirà qui. Tutt’altro.