Governo, l’incapacità di scegliere
di Walter Galbiati
Dalla tassa sugli extra profitti delle banche alle pensioni dei medici: ecco tutti i dietrofront dell’esecutivo Meloni.
A volte tornare sui propri passi è segno di maturità. Ma quando si fa ripetutamente viene da pensare che sia più dovuto all’incapacità di scegliere la via giusta che ad altro. Nell’arco di tempo in cui è stata pensata questa manovra il governo ha più volte montato e smontato svariati provvedimenti.
L’ultimo intervento porta la data di ieri (mercoledì 8 novembre), quando l’attuale maggioranza si è accorta di aver tagliato talmente tanto le pensioni dei medici che smetteranno di lavorare il prossimo anno da innescare una corsa all’uscita entro la fine di dicembre, con il rischio di azzoppare una sanità già carente di personale. E da qui il ripensamento.
Ma il primo e forse più eclatante dietrofront è stata la tassa sugli extra profitti delle banche che avrebbe dovuto produrre le coperture per il taglio delle tasse dei lavoratori più poveri. Era intervenuta direttamente Giorgia Meloni, rivendicando il merito di aver pensato a un balzello con il compito di togliere miliardi alle ricche banche, colpevoli di aver lucrato alzando i tassi sui mutui senza al contempo fare lo stesso con i risparmiatori remunerando i soldi sul conto corrente.
Secondo le trimestrali pubblicate negli ultimi giorni, lo Stato avrebbe incassato quasi due miliardi di euro, ma la marcia indietro sotto la spinta di Forza Italia ha di fatto annullato l’incasso perché è stata data la possibilità alle banche di accantonare quei soldi come patrimonio, invece di versarli allo Stato sotto forma di tasse.
Sempre i mal di pancia di Antonio Tajani hanno portato a un altro clamoroso cambio di rotta sulla cedolare secca. Toccare la rendita delle case per il centrodestra è cosa da comunisti. Così l’idea di alzare la tassa sugli affitti brevi dal 21 al 26 per cento portandola a qualcosa di simile, se non all’Irpef, almeno alle rendite finanziarie, è stata prima sbandierata e poi ridimensionata, conservandola nella forma del 26 per cento solo per chi affitta almeno due case, a partire dalla seconda.
Ma le inversioni a U più clamorose sono state compiute sui provvedimenti ritenuti più identitari dagli attuali membri del governo. Quelli a favore della famiglia, tanto cari a Giorgia Meloni. E quelli sulle pensioni, su cui Matteo Salvini si era più volte speso pubblicamente.
Uno dei pallini della premier è far ripartire la natalità in Italia, un po’ perché per lei è meglio avere più italiani che stranieri, un po’ perché si è accorta che senza braccia l’economia non cammina. In conferenza stampa è arrivata baldanzosa per annunciare l’asilo gratis per tutti i secondi figli. Salvo poi correggersi dicendo che più che gratis era una sorta di contributo. Stesso copione sulla decontribuzione: meno contributi da versare per tre anni per le donne assunte con più di due figli, salvo poi farfugliare che, se va bene, questo sarà solo per un anno.
Ancora, lo scorso anno il governo di centrodestra aveva pensato di abbassare l’Iva sui prodotti per l’infanzia al 4 per cento. Oggi, benché quell’intervento abbia prodotto qualche beneficio, Meloni ha deciso di tornare alla vecchia Iva riportandola al 10 per cento sui pannolini e al 22 per cento sui seggiolini.
Il capolavoro, però, è sulle pensioni, dove l’esecutivo ha superato quello che avrebbe potuto fare un governo tecnico, come quello di Mario Monti. Governi tecnici contro i quali la maggioranza sta pensando addirittura a una riforma costituzionale. Di fatto sono state alzate le condizioni per andare in pensione e peggiorati i parametri rispetto alle norme introdotte dalla tanto odiata Fornero.
La promessa agli elettori era di smantellarla, ma poi nella prima versione della manovra non solo il governo ha peggiorato le quote che pure Draghi era stato costretto a introdurre, ma ha abbassato le pensioni ai Millennials modificando i coefficienti. E infine ha alzato l’età per chi volesse usufruire di opzione donna e ape sociale.
Tutti interventi restrittivi che avrebbe potuto compiere un governo tecnico, non certo uno di stampo populista come quello di Giorgia Meloni. Che si è accorto di aver tradito la propria natura e sta cercando di correre ai ripari. Con modifiche e contro modifiche dell’ultimo minuto.