Stefano Feltri per “Il Fatto Quotidiano“
C’è un solo punto che nella manovra non si tocca mai in questa guerra per emendamenti che si combatte nelle commissioni parlamentari e nei corridoi di Palazzo Chigi: il balzello più iniquo, l’aumento del prezzo della benzina che passa per l’innalzamento delle accise da 6,13 centesimi (ottobre 2011) a 7,05 (dal 2013). E ormai perfino nelle rilevazioni del ministero dello Sviluppo, sempre più basse del prezzo reale, il litro di benzina sfiora quota 1,6 euro.
“L’Italia ha il prezzo dei carburanti più alto d’Europa e per ammontare della tassazione è seconda solo all’Olanda per la benzina e al Regno Unito per il gasolio”, scrive nella newsletter settimanale del 9 dicembre Luca Squeri, numero uno della FIGSC, associazione di categoria dei gestori degli impianti (i benzinai, insomma), stretti tra la forza contrattuale dei grandi gruppi fornitori e la rabbia dei clienti alla pompa.
Secondo il Codacons, un’associazione di consumatori, il rincaro delle accise (cioè le tasse espresse in centesimi e non in percentuale) deciso dalla manovra costerà fino a 150 euro ad ogni automobilista. Senza considerare l’aumento dell’Iva e l’effetto a catena che ha sull’inflazione, perché se i camion pagano di più il gasolio, anche i prezzi dei beni trasportati saliranno.
Il rincaro della benzina era “indispensabile”, afferma il premier Mario Monti, sostenendo che il gettito previsto (4,8 miliardi nel 2012, 4,6 nel 2013, altrettanti nel 2014) serviva per finanziare il trasporto pubblico locale. Quei soldi si potevano prendere anche altrove, ma mungere gli automobilisti (cioè tutti) è sempre lo strumento più comodo.
Basta guardare gli ultimi anni: il 24 novembre 2008, dati del ministero, le imposte su un litro di benzina pesavano 7,56 centesimi. Un anno dopo 7,78, nel 2010 7,95 e il 28 novembre 2011, ultima rilevazione prima della manovra, eravamo a 8,96 centesimi. Stesse dinamiche sul gasolio per auto, GPL e gasolio per il riscaldamento. Negli stessi anni il Brent, petrolio greggio quotato a Londra, ha oscillato tra i 60 e i 140 dollari. Su e giù, ma la benzina non cala mai.
Come è possibile? Le compagnie petrolifere, dall’Eni all’Api, si riparano sempre dietro la stessa spiegazione: il prezzo della benzina è fatto al 45 per cento dalla materia prima, al 55 per cento dal peso fiscale e soltanto quel che resta è margine dell’operatore. Come dire: non possiamo farci molto, se il greggio sale. Peccato che il “prezzo industriale” non sia quello indicato dal Brent, che fluttua liberamente sul mercato, ma dall’indice Platts. E su questo indice c’è più di qualche sospetto.
Aprendo un’indagine conoscitiva, a marzo, l’Antitrust ha scritto a proposito del Platts che “è frequentemente oggetto di osservazione da parte dell’Autorità” perché “si è spesso paventata la possibilità che le società petrolifere concordassero il prezzo di vendita secondo schemi che ad esempio prevedessero una diversa velocità di adattamento alle quotazioni di riferimento, molto rapida per i rialzi delle quotazioni e molto lenta per le variazioni al ribasso”. È lo schema perfetto: se il petrolio sale, la benzina sale, se il petrolio scende la benzina resta ferma.
Da oltre dieci anni in Italia c’è la diffusa convinzione che il problema si risolve solo aumentando la concorrenza, visto che tassare i produttori servirebbe solo a far aumentare ancora il prezzo alla pompa (troppo facile scaricare il rincaro sul consumatore). E aumentare la concorrenza significa favorire la diffusione dei distributori senza marchio (“bianchi”, in gergo, contrapposti ai “colorati”).
Anche se è più un dogma di fede che un riscontro empirico. L’Antitrust scrive che “emerge chiaramente la funzione di stimolo concorrenziale che i punti vendita senza marchio possono svolgere”, ma poche righe sotto ammette che “non se ne conosce il numero esatto né la localizzazione geografica. Di conseguenza, non si possono individuare con precisione né i
meccanismi di stimolo concorrenziale attivati […] né le precondizioni strutturali necessarie al loro sviluppo”. Non si sa nulla: l’indagine dell’Antitrust per sciogliere questo mistero è in corso da otto mesi.
E nel frattempo lo Stato approfitta della confusione: con prezzi in continua crescita, per colpa della rigidità del settore e della scarsa concorrenza, si riesce sempre a rifilare qualche centesimo in più al povero automobilista. Con prezzi più bassi trucchetti (che valgono più di 4 miliardi) come quello di Monti sarebbero meno praticabili.
LOMBARDIA TUTTI IN SVIZZERA PER FARE IL PIENO A CHIASSO
Tutti in Svizzera per il pieno. Da Varese a Como e poi su fino in Valtellina è diventato conveniente fare rifornimento oltre confine. Con la nuova stangata del governo Monti, il prezzo della verde è volato ben oltre quota 1,70 euro al litro e il gasolio sta poco sotto. Risultato: ai posti di confine con il Canton Ticino sono tornati a fare la fila i pendolari del pieno. Migliaia e migliaia di automobilisti che varcano il confine solo per pochi minuti, giusto il tempo di riempire il serbatoio. Il risparmio è garantito.
Dalle parti di Chiasso la benzina costa meno di 1,40 euro mentre il carburante per vetture diesel, che in Svizzera è più costoso della verde, non supera comunque 1,50 euro. Per un pieno il risparmio può superare anche i 20 euro. Festeggiano i benzinai delle cittadine elvetiche appena oltre la frontiera (quasi tutti italiani), mentre i loro colleghi delle province di Varese e Como vedono crollare gli incassi.
E pensare che già da qualche anno la Regione Lombardia garantisce ai cittadini che abitano entro i 20 chilometri dal confine uno sconto che arriva al 10 per cento sul prezzo della benzina (ma non sul gasolio). Uno sconto inutile, ormai, per effetto degli aumenti a ripetizione del prelievo fiscale sui carburanti decisi prima dal governo Berlusconi e, nei giorni scorsi, da Monti.
E così adesso fare il pieno in Svizzera costa comunque molto di meno rispetto all’Italia nonostante il rafforzamento del franco sull’euro negli ultimi mesi. Gli unici che si lamentano sono i benzinai italiani. I quali, con l’appoggio della Lega, potrebbero chiedere al governatore Roberto Formigoni un aggiornamento dello sconto riservato ai residenti delle zone di confine. Resta da vedere se in tempi di tagli la giunta avrà qualcosa da spendere per garantirsi il voto dei benzinai.