Nota copiata dall’amica Tiziana Vimercati (segnalata da Lino Lampis, parentesi: SARDO) con l’intento di estendere ad altri amici…
Quello descritto qui sotto è successo a una mia amica, una persona che conosco bene e che è segna di credibilità al 100% (tra l’altro l’avevo incontrata proprio poche ore prima del fattaccio.
Lo posto solo perchè vorrei che si capisse chi sono i seguaci FEDEli e fidi del nostro premier e quanto tutto a certi livelli stia precipitando verso il basso. Per me rappresentano quello che è la classe politica al governo attuale: ARROGANTE, PREVARICATRICE E PIENA DI PRESUNTA ONNIPOTENZA
LEGGETE:
Chiedo scusa a Emilio Fede
Premessa:
Mi chiamo Silvia Cavanna, anni 63 compiuti da qualche mese, abito in Milano 2 città satellite di Segrate (MI), ho lavorato per 35 anni di cui quasi 20 per Mediaset in qualità di dirigente, passata poi a miglior vita come pensionata, occupandomi della mia vita nella posizione di figlia, madre, nonna, moglie, e volontaria di una associazione onlus.
Oggi 18 marzo 2010, dopo una cena piacevole al ristorante cinese di Milano 2 (situato nel medesimo palazzo in cui risiedono gli studi del TG di Rete Quattro) , percorro con mio marito la stradina pedonale verso la mia residenza. Stradina nata come assolutamente pedonale che si connette alla strada comunale, ora abusivamente usata da poche auto di alti papaveri e rispettive scorte per raggiungere dagli Studi televisivi la strada stessa.
Siamo inseguiti da due auto che percorrono questa stradina pedonale verso l’uscita, ci viene suonato il clacson, viene ricordato da mio marito che i pedoni hanno la precedenza in quanto strada pedonale, si abbassa un finestrino e una voce altisonante tuona: spostati faccia di merda!
Mio marito si gira verso la macchina, si avvicina al finestrino e : a chi faccia di merda?
A questo punto l’auto si apre (dal lato del finestrino da cui è uscito l’epiteto) e esce il sig. Emilio Fede, che protende il suo viso sotto quello di mio marito, invitandolo: mettimi le mani addosso, toccami, pichiami, picchiami!
L’istinto materno-protettivo nei confronti di mio marito fa sì che io mi metta tra i due, mentre dall’auto posteriore escono delle guardie del corpo.
A me, quasi 64enne, capelli bianchi, l’emilio protende la sua faccia, giallastra e macchiata di vecchiaia e urla, a me: mettimi le mani addosso, toccami, picchiami dai, picchiami!
Ma tu sei pazzo, sei malato, fatti curare
Dai mettimi le mani addosso, picchiami!
Le guardie: lasci perdere, non ne vale la pena! – scrollata di testa.
Ma sei malato, io sono stata tua collega per 20 anni, ho lavorato 20 anni con Carlo Bernasconi! (braccio destro di Berlusconi, morto nel 2001, gran brava persona!)
Io non conosco nessun Carlo Bernasconi! Picchiami picchiami, sempre con il suo faccione sotto al mio.
Le guardie: lasci perdere, non ne vale la pena! – scrollata di testa.
Ma tu sei malato, hai l’alzheimer! Sono stata tua collega! Ho lavorato per Carlo Bernasconi e mi chiamo Silvia Cavanna e sono una tua collega, vergognati, sei malato.
A quel punto il grande cambiamento: mi scusi Signora, mi scusi Signora
Non le voglio le tue scuse, sei malato
Mi scusi Signora!
Emilio Fede, chiedo scusa io a te: per essere rispettata come donna ho dovuto ricordarti ripetutamente di aver fatto parte del clan, il clan dei prepotenti e degli arroganti. Ti chiedo scusa per aver fatto uscire il peggio di te: quanto avrei preferito delle scuse da parte di un gentiluomo d’età a una signora d’età, per un gesto aggressivo dovuto forse al troppo lavoro! Ma no, questo non esiste più, esiste solo: tu non sai chi sono o chi sono stato io …. un pupo del clan.
E anch’io che odio ricorrere a certi mezzi, sono stata contagiata dal virus ! Che questo sia per me e per tutti un momento di profonda riflessione.
p.s.: comunque ti ricordo, caro emilio fede, che hai chiesto scusa a me; a mio marito, al quale hai dato della faccia di merda, no! Ma certo, lui non è mai stato un adepto del clan .
Segrate, 18 marzo 2010
°°° Cara Silvia e cari tutti,
è ben poco, lo so, ma forse vi può far sorridere e volare ancora più alti rispetto a questi scarti di verme. Quando, a 19 anni, dirigevo due case discografiche a Milano, c’era un coglione: un tipo che somigliava perfettamente – ma senza baffi – a costanzo Piddue. Si chiamava Reggiani ed era il capo della ragioneria. Costui trattava i 40 impiegati come pezze da piedi. Ex salesiano, ex prete mancato, omosex al 100x%, sposato con una ciabatta che lo cornificava, un culo che faceva provincia e i piedi alle dieci e dieci… una merda arrogante e triviale, insomma. Alle prime rimostranze, ovviamente, ho provato a farlo ragionare… io che avevo un terzo dei suoi anni! Gli spiegavo che se l’Azienda aveva scelto me, un piccolo “sardignolo insignificante” (come mi chiamava lui col personale), avendo seicento milioni di debiti (del 1967!) … forse c’era un motivo. Dopo un paio di settimane, mi ruppi i coglioni e gli feci un discorso chiaro e definitivo. Testuale, dato che l’ho raccontato spesso, me lo ricordo benissimo:
“Caro, anzi, carissima testa di cazzo… senza offesa… Se questo sardegnolo non fosse arrivato qui, lei ora sarebbe sotto i ponti. Lei e tutta la sua povera famiglia. Lei, esimia testa di cazzo, può arrivare qui col la sua Lancia Flaminia nuova e portare i suoi al ristorante tutti i sabati e a fare spese in centro due volte al mese, solo perché questo “sardegnolo insignificante” le ha permesso di cominciare a scrivere delle belle e grasse cifre in NERO! Si ricorda quanto ci ha reso solo Fabrizio De Andrè in sei mesi? E Brenton Wood? E i trenta nomi che faranno la storia del Beat e del Pop – che IO ho comprato per due lire in sub-edizione per l’Italia? E queste sono solo le operazioni che ho fatto da assistente dell’ex direttore. Ora che il direttore artistico sono io, lo sa che potrei licenziarla immediatamente? Lo sa che potrei chiedere a tutti gli impiegati, compresa Ivana, la centralinista e l’omino che lava i vetri, di venire qui a sputarle in faccia… e loro lo farebbero? Bene. Vedo che ha capito. Adesso, per gentilezza, chieda scusa a TUTTI, uno per uno, e non si permetta mai più di offendere o umiliare chi lavora. Cominciamo con un atto di umiltà, è d’accordo?”
Il poveraccio, da melone rubicondo, si era trasformato in una prugna secca. Avvilito, vinto, spompato. Io, merda come pochi, cominciai a prendere tutti gli oggetti dalla sua scrivania e a metterli diligentemente sul pavimento, in fila verso la toilette. Tartarughine portafortuna, sculturine, fermacarte, portapenne, temperalapis dalle fogge più strane, cartelle di cuoio umano… tutto. Arrivato alla porta del bagno, avevo finito gli oggetti. Gli impiegati erano tutti nel largo e lungo corridoio, fuori dalle loro stanze, attoniti, increduli, e felici.
“Adesso raccogli tutto (ero passato al TU) e NON ROMPERE PIU’ I COGLIONI!”
Me ne tornai alla mia stanza, che si trovava dall’altra parte del piano, tronfio e soddisfatto, come un gallo che si era appena trombato un centinaio di belle gallinelle.
Specifico: salivi al terzo piano di via Turati 28 (se ricordo bene) e, a sinistra dell’ascensore, c’era la stanza grande come un pentavano normale, del padrone; subito dopo veniva la mia, un trivano (con moquette panna alta tre dita, piano a mezzacoda, divani, scrivania da eliporto, impianti Revox e altri di grandi marche, due finestroni, tende da nababbo, ecc.), quindi c’era la cameretta di Nicoletta, l’ufficio stampa. Alla destra dell’ascensore, c’era la porta che immetteva negli uffici: un decinaio di stanze arredate in formica e cartone tipo Aiazzone e col pavimento di linoleum, dove la stanza più grande era quella del capo ragioniere.
Quendo lavoravo a Striscia, a Milano 2, a dieci metri dopo la nostra redazione degli autori, c’era la porta della stanza di umilio fido. Ogni volta che vi passavo davanti: per uscire a fumare o per farmi un toast al bar di sotto o per andare in bagno (che era a metà strada tra le nostre postazioni), e il verme non c’era… pigliavo tutti gli oggetti e le foto incorniciate dalla sua scrivania e perfino dai muri e le mettevo in fila, per terra, fino alla porta del bagno. Lui tornava e raccoglieva, bestemmiando e imprecando. Noi ci piasciavamo dalle risate. Un giorno, ricci gli confessò che il “maledetto stronzo” ero io e lui, incontrandomi al bar, mi sorrise falso come un biglietto da 123 euro e mi disse:
“Sei troppo forte. Con te non potrei mai incazzarmi. Sei diverso da quegli stronzi. Cappitto mi hai?!” e mi abbracciò. Anche perché sono alto il doppio e non avevo voglia di essere suo amico…
GATTO FIDEL: MOLTO PIU’ SIMPATICO DI UMILIO FIDO