Accostare il nome dei lapola al teatro o alla televisione è come accostare il nome delle olgettine alle suore di Calcutta. Questi perdigiorno raccomandatissimi li ho incontrati circa vent’anni fa a Tonara. Un pizzettaro locale che si spaccia per manager (uno che sa tre parole in italiano, ma che è molto generoso nell’elargire mazzette a sindaci, assessori, presidenti di pro loco, per riempire i palchi delle sagre paesane di porcherie) aveva organizzato un festival del Cabaret. Lui pronunciava Càbaret. Mi invitò come ospite d’onore, pagò bene e arrivai lì nel pomeriggio. Ebbi modo di assistere ad alcune prove di sciamannati perdigiorno che si spacciavano per cabarettisti: da un certo Loche a un certo Demo Mura, tutta robaccia impresentabile. In qualunque scantinato di Roma o di Milano li avrebbero cacciati a colpi di sedia. Poi arrivarono questi cinque o sei dei Lapola, anche loro pieni di boria, ma senza nessun talento né mestiere. Mi incuriosì il fatto che fossero un gruppo numeroso e, siccome avevo voglia di cominciare a creare il Teatro sardo – che tuttora non esiste – chiamai lo stortignaccolo (che i media berlusconiani di Cagliari chiamano pomposamente “regista”) e gli dissi: “Se avete davvero voglia di fare questo mestiere, bisogna farlo bene e cominciare dalle basi. Parlane con gli altri e se decidete fatemi uno squillo.”
“Ma noi non dobbiamo imparare niente da nessuno.” rispose lui.
Capito chi sono questi? Ho 65 anni e faccio questo mestiere da più di 50, e ancora sto imparando qualcosa tutti i giorni…