Domanda

CRISI: BERLUSCONI, PEGGIO E’ PASSATO NOI MEGLIO DI ALTRI

“Noi siamo andati meglio di altri, il peggio e’ passato”. E’ la convinzione che Silvio Berlusconi

°°° Domanda: CHE CAZZO NE SA QUESTO GANGSTER DELLA VITA REALE, SE – DA QUANDO SI E’ IMPEGOLATO NEGLI ANNI ’70 CON LA MAFIA – ESCE SOLO CON CENTO GORILLA E FREQUENTA ESCLUSIVAMENTE GIOIELLERIE E BILLIONAIRE?

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Middle class

Dopo una giornata pesantissima in ufficio, con ben cinque ore di straordinario, il dirigente regionale tornò a casa, salutò distrattamente la moglie, e si fiondò nel suo studiolo. “Non ceno!” rispose seccato alla fatidica domanda serale. Accese la lampada da tavolo, aprì febbrilmente la cartella e mise sulla scrivania la cosa che lo aveva fatto dannare per tutto il giorno: “A noi due, maledetto 27 orizzontale!” sibilò ghignando.
(lucio salis 2002)


FANNULLONI TIPICI

bondi1

previti2

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Ma che bello!

Una lettera al giornaletto sardo, destronzo, ovviamente (di dell’utri).

Maurizio Tidu
Cagliari
La maggior parte degli italiani dotati di buon senso
rimane allibita di fronte al proliferare delle ronde,
siano esse padane, parafasciste o di cittadini impauriti.
Queste ronde dovrebbero garantire maggiore sicurezza
ai nostri concittadini, un maggiore controllo del
territorio e stimolare il senso di appartenenza a questo
Stato che troppo spesso sentiamo lontano dai nostri reali
bisogni. Osservando la nascita della nuova Guardia Nazionale
voluta dal nuovo MSI “rifondato” dal signor Gaetano
Saya sorge spontanea una domanda: qual è il posto
giusto per questi volenterosi tutori della nostra sicurezza? A
mio avviso non tanto la ronda stradale, quanto i banchi di
una scuola elementare. Questi signori, che giurano sulla
Costituzione della Repubblica, dovrebbero invece ripassarla.
Salta all’occhio infatti un macroscopico errore che chiunque
avrà notato: nelle loro divise la bandiera italiana è riportata
al contrario rispetto a quanto previsto dalla nostra Costituzione
che all’articolo 12 prevede “La bandiera della
Repubblica è il tricolore italiano:verde, bianco e rosso, a tre
bande verticali di eguali dimensioni”. Non quindi il rosso
bianco e verde, come ben si può notare nelle foto e nei
filmati facilmente reperibili su internet…. Talvolta capita,
quindi, che qualcuno abbia un forte senso dello Stato senza
avere un minimo di senso del ridicolo…
LA NUOVA GUARDIA NAZIONALE NON RASSICURA I CITTADINI
Mandiamo le ronde a scuola

°°° Voglio fare davvero i complimenti a Maurizio per questa bella prova. Mi rinfranca sapere che i sardi non sono quasi tutte scimmiette.

SARDEGNA, MADRE INDEGNA:

mere_indigne

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Il pagliaccio del mondo, siòr siori!

Sul sito di news dell’emittente britannica un articolo tutto dedicato alle sortite
politicamente scorrette del premier. Ricordando gli scandali recenti
La Bbc lancia l’appello: “Oh no, Silvio!”
Allarme gaffe sulla trasferta negli Usa

La Bbc lancia l’appello: “Oh no, Silvio!” Allarme gaffe sulla trasferta negli Usa

Silvio Berlusconi

b-pagliaccio-mondiale

LONDRA – Il titolo, apparso sull’homepage della Bbc, è eloquente: “Oh no, Silvio!”. Ed è seguito da una domanda, per nulla retorica: “Riuscirà il premier italiano a non offendere nessuno, durante la sua visita negli Stati Uniti?“.

E’ attorno a questo interrogativo che ruota l’articolo firmato da Stephen Mulvey, e pubblicato sul sito che fa capo alla tv britannica oggi alle 15 (le 16 italiane). Tutto dedicato alle incognite della trasferta in terra americana del nostro presidente del Consiglio. Con una preoccupazione di fondo sul modo di esprimersi spesso politicamente scorretto di Berlusconi, al momento del suo sbarco nella patria mondiale del politically correct.

In particolare, il sito della Bbc ricorda la doppia gaffe del Cavaliere sul colore della pelle di Obama. La prima risale al novembre scorso, quando il capo del governo italiano definì il neopresidente Usa “giovane, bello e abbronzato”. Con conseguenti polemiche in mezzo mondo, e con decine di lettere di scuse inviate dai nostri concittadini al New York Times, imbarazzati dal siscutibile modo di scherzare del premier. Un episodio che lo stesso Berlusconi ha rievocato ieri, alla vigilia del suo imbarco per Washington, in una sorta di autocitazione: “Parto bello e abbronzato”, ha detto.

A partire da questo, l’articolo si interroga – riportando anche il parere di professori universitari e giornalisti italiani – sull’eventuale razzismo del presidente del Consiglio, sulla sua propensione alle gaffe (viene ricordata anche quella con la Regina Elisabetta a Londra), e sulla differenza abissale del suo temperamento rispetto a quello, attentissimo e controllatissimo, di Barack Obama.

E non mancano nemmeno i riferimenti alle recenti bufere che hanno coinvolto Berlusconi: l’inchiesta su eventuali suoi abusi dei voli di Stato; le foto (definite “seminude”) di Villa Certosa; le accuse della moglie di frequentare minorenni. Tutte circostanze che, almeno secondo l’autorevole sito britannico, bastano a giustificare quell’invocazione iniziale: “On ho, Silvio!”.


DALL’ALBUM DI ZAPPADU:

famigghia

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Il cazzaro, la cosca e… la dura realtà

Conti Pubblici
COSA CI SARÀ DOPO LA CRISI
di Andrea Boitani e Massimo Bordignon

15.06.2009

E’ la peggiore crisi dagli anni Trenta. Ma è utile guardare più lontano nel tempo, per capire le possibilità del nostro paese, che oltretutto ha beneficiato meno della crescita precedente. Aumenteranno disavanzi e debiti pubblici, in particolare nei paesi avanzati. Si ridurrà la domanda Usa ed è illusorio contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Servirebbero una politica fiscale sempre più europea e riforme strutturali. Difficili da realizzare. Ma l’alternativa è una progressiva emarginazione dell’Europa. E dell’Italia.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”. L’incipit dantesco rappresenta un’eccellente descrizione della situazione economica attuale. La selva è davvero oscura: quest’anno il Pil mondiale si ridurrà dell’1,3 per cento; del 2,8 per cento negli Stati Uniti e del 4,2 per cento nell’area euro, del 4,4 per cento in Italia (il 5 per cento secondo BankItalia). Il tasso di disoccupazione, nell’area euro, salirà sopra il 10 per cento nel 2010: la peggior crisi dagli anni trenta. (1) Perché si sia persa la “diritta via” è ancora dibattuto. Sappiamo ormai tutto sui meccanismi della crisi finanziaria e della bolla del debito. Capiamo meno come vi si sia potuti arrivare, se per imbecillaggine dei controllori, esuberanza irrazionale dei mercati, cecità dei cantori del libero mercato o altro. Non sappiamo neppure quando qualche raggio di luce illuminerà la selva, se già alla fine del 2009, nel 2010 o ancora più lontano nel tempo. Per ora, gli unici segnali di conforto sono che la velocità di caduta del prodotto è diminuita e che le borse hanno un po’ recuperato, aiutate dall’inondazione di liquidità prodotta dalle banche centrali. Ma i prezzi delle materie prime e del petrolio sono in deciso rialzo, probabilmente per le strozzature presenti dal lato dell’offerta, e questo potrebbe far abortire la ripresa prima ancora che si consolidi. Forse, è però utile gettare uno sguardo un po’ più lontano nel tempo, anche per capire quali possibilità abbia un paese come il nostro, che oltre a essere uno dei più colpiti dal fallout della crisi, è anche quello che ha di meno beneficiato della crescita che l’ha preceduto.

FATTI

Intanto, nonostante che il dibattito si sia quasi esclusivamente concentrato sulla crisi finanziaria, all’origine della stessa c’è soprattutto una situazione di perdurante squilibrio internazionale, alimentato dagli Stati Uniti e dagli altri paesi che impiegano più risorse di quante ne producano, e della Cina e di alti paesi, petroliferi, ma non solo, che producono più risorse di quante ne impieghino. La bolla finanziaria aveva reso conveniente (e perciò possibile) il continuo afflusso di risorse dai paesi in surplus ai paesi in deficit, sotto la forma di capitali in cerca di rendimenti e, perciò, la perpetuazione degli squilibri mondiali. Con ciò era stata anche resa possibile una continua crescita della domanda mondiale, trainata dagli Usa, che, a sua volta, aveva consentito la crescita trainata dalle esportazioni di tanti paesi, asiatici ma anche europei, a cominciare dalla Germania. La crescita del valore della ricchezza finanziaria e del credito ha permesso l’espansione della domanda Usa, nonostante che gran parte dei redditi da lavoro siano rimasti costanti in termini reali per molti anni e la distribuzione del reddito sia divenuta sempre più squilibrata. Un fenomeno del genere si era verificato anche negli anni precedenti alla Grande Depressione, almeno negli Stati Uniti.
Per contrastare la crisi, gli Usa, che hanno pochi stabilizzatori automatici, hanno fatto ricorso a massicce dosi di stimolo fiscale discrezionale, il 2 per cento del Pil, al netto di quanto speso per i salvataggi bancari: il crollo della ricchezza finanziaria e il credit crunch minacciavano infatti di far crollare la domanda interna, che non poteva essere alimentata dallo smobilizzo di risparmi privati, ormai da tempo inesistenti presso il ceto medio e le classi popolari. In Europa, lo stimolo fiscale discrezionale è stato complessivamente più contenuto; il Fondo monetario internazionale lo ha di recente giudicato “nel complesso adeguato”, ma in Italia è stato quasi nullo: lo 0,2 per cento del Pil nel 2009. In Cina è stato annunciato uno stimolo di dimensioni simili a quello Usa: 2 per cento del Pil nel 2009 e nel 2010. Ma è difficile sapere in che misura la spesa effettiva corrisponderà agli annunci. Come effetto di questi interventi e della recessione, disavanzi e debiti pubblici cresceranno in tutti i paesi, e in quelli avanzati in particolare, fino a un livello massimo del rapporto debito su Pil del 140 per cento nel 2010, secondo le stime dell’Fmi. Nel marasma, una buona notizia per noi è che il differenziale tra l’Italia e i paesi europei “virtuosi” si va riducendo: mentre prima della crisi si prevedeva per il 2009 un differenziale di 40 punti tra Italia e Germania, ora si prevede un differenziale di “soli” 30 punti. Comunque abbastanza per frenare l’azione di stimolo fiscale “unilaterale” del nostro governo.

SCENARI

1 – Visto che la crisi è dovuta a squilibri internazionali, è probabile che il processo di aggiustamento spinga verso una loro riduzione. La domanda privata interna Usa si ridurrà e, con essa, le importazioni (la domanda pubblica, ammesso che compensi quella privata, dovrebbe essere meno import-intensive). Se verrà a mancare il traino Usa, sembra anche poco sensato contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Il Pil cinese è ancora troppo piccolo per trainare e non c’è alcuna garanzia che la Cina abbandoni, lei per prima, la via dell’export-led, che finora le è servito egregiamente.

2 – I paesi europei, presi singolarmente, sono troppo indebitati o troppo piccoli per potersi avventurare nel finanziamento in disavanzo di un volume di spesa pubblica aggiuntiva sufficiente a sostenere la domanda aggregata. Inoltre, c’è un problema di free-riding: un’espansione in un singolo paese, in un’economia fortemente integrata come quella europea, finisce per avvantaggiare soprattutto i partner commerciali, così disincentivando l’espansione stessa.

3 – Non è impossibile che gli Stati Uniti scelgano la via di un’inflazione controllata per bruciare un po’ di debito e di liquidità accumulati in questi anni. Un po’ di svalutazione del dollaro serve a riequilibrare almeno parzialmente i conti con l’estero. Ma gli Usa non possono permettersi un’eccessiva svalutazione della loro moneta se devono, come devono, continuare ad attrarre capitali dall’estero per finanziare i loro debiti interni. In Europa, la via dell’inflazione sembra comunque sbarrata dalla Bce e dalla tradizionale avversione tedesca; ma questo, a sua volta, impedisce una più coraggiosa politica di indebitamento da parte dei singoli stati membri.

4 – Non sembrano riscuotere grande consenso, né in Italia né in altri paesi europei, quelle manovre “intertemporali” che sarebbero capaci di dare credibilità al consolidamento della finanza pubblica nel medio periodo, a fronte di un più robusto stimolo fiscale oggi. Le raccomandazioni dell’Fmi e del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi vanno in quella direzione, ma rischiano di rimanere inascoltate. Sebbene i periodi di crisi siano quelli in cui sarebbe più necessario e utile fare le riforme “strutturali”, sembra che proprio in questi periodi governi nazionali siano più timorosi del solito e, perciò, incapaci di vincere le resistenze delle corporazioni.

5 – La crisi avrebbe potuto essere l’occasione per una politica più forte da parte dell’Unione Europea. Ma ciò non è avvenuto. Anche l’idea di una regolazione comune dei mercati finanziari stenta a farsi strada, nonostante le pressanti raccomandazioni degli organismi finanziari internazionali, mentre forme varie di protezionismo mascherato emergono in molti settori. L’idea stessa di mercato unico europeo è ora in difficoltà.

RISCHIO EMARGINAZIONE

Le conclusioni sono ovvie e un po’ sconfortanti. Servirebbe una politica fiscale sempre più “comunitaria” (cioè europea) e sempre meno nazionale. Una politica che, non potendo più contare sul traino delle esportazioni, insista di più su una crescita della domanda interna europea, eliminando le residue barriere agli scambi, soprattutto nei servizi, e sui grandi progetti infrastrutturali europei, provvedendo finanziamenti europei non solo simbolici, come per gli attuali progetti Ten. In questo senso vanno le proposte di molti. Peccato che sembrino di difficilissima realizzabilità. I risultati delle elezioni europee, con l’affermazione delle forze nazionalistiche e anti-europee, sono un pessimo segnale in questo senso. Eppure, non pare che ci siano molte altre possibilità, se l’obiettivo è quello di riuscire presto “a riveder le stelle”. Altrimenti, la progressiva emarginazione dalla storia dell’Europa, e con essa dell’Italia, sembra un rischio molto concreto.

(1) Imf, World Economic Outlook, aprile 2009.

NON SI VEDE LA FINE DELLA CRISI

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IL MALE DELL’ITALIA

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IL PESSIMO PILOTA GEORGE W. BUSH HA CREATO IL DISASTRO:
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REGIME ALL’AMATRICIANA

Quando Tremonti ordinò sanzionate la Gabanelli

«Con la presente il sottoscritto prof. avv. Giulio Tremonti chiede l’immediato esercizio dei poteri sanzionatori». Inizia così l’ultimo affondo del ministro dell’Economia contro l’informazione, avviato ai danni di Milena Gabanelli e la sua «pericolosa» trasmissione Report. Non è piaciuta al ministro la puntata su social card e Tremonti bond, nonostante fosse stato intervistato lui stesso.

Così ha scritto 5 cartelle di esposto-denuncia alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e alla Commissione parlamentare per l’Indirizzo generale e la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi. L’intento è chiaro: dimostrare la poca obiettività del programma, e dunque la lesione del dovere di informazione imparziale e completa imposto dal servizio pubblico. Insomma, non è una rettifica, tantomeno una querela. Ma Tremonti vuole comunque farsi sentire, esercitare «il potere sanzionatorio».

In effetti il rapporto del ministro con giornali e mass media in generale è costellato di eventi leggendari. Rumors più disparati raccontano di telefonate infuocate, battibecchi nervosi, arrabbiature furibonde. Certo, tutti i politici si arrabbiano con la stampa. E tutti vorrebbero averla amica e, se possibile, asservita. Ma Tremonti è tra i pochi (non l’unico, nell’intero arco parlamentare) a prendere iniziative in prima persona, a guerreggiare all’arma bianca con chi si occupa di lui. È quasi un corpo a corpo che il ministro ingaggia a colpi di pressioni indebite e invettive. Anche perché – lo sanno bene anche i non addetti ai lavori – la verve non gli manca.

A scorrere le cinque cartelle anti-Gabanelli traspare un furore montante. Tremonti parla di «lesione dei principi di completezza, correttezza, – si legge – obiettività ed imparzialità dell’informazione». Poi procede per punti, elencandone sette. Nel primo parla di «sintesi deformata di alcuni delicati e rilevanti aspetti dell’attualità, che ha assunto i contorni della propaganda negativa». Si riferisce forse il ministro al fatto che la social card è stata fornita solo a pochi, e che molti l’hanno ricevuta scarica? O che rappresenta anche uno strumento su cui MasterCard riesce a fare un buon business grazie alle commissioni versate dai commercianti? Tremonti parla di «tesi preconfezionata», ma la realtà non è molto lontana da questa tesi. Anzi. Il ministro non dimentica di difendere, naturalmente, il «legittimo esercizio del diritto di critica». Peccato però che questo secondo lui non sia il caso: perché tutto il contesto sarebbe stato creato da Gabanelli attraverso una «capziosa estrapolazione di brani tratti da conferenze stampa».

Si arriva così all’accusa (terzo punto) di «utilizzo strumentale del mezzo televisivo». Tremonti rammenta come «tutte le trasmissioni di informazione devono rispettare la pluralità dei punti di vista e la necessità di contraddittorio». Peccato che (troppo) spesso molti esponenti di governo appaiono in video davanti a un microfono e senza neanche una «faccia» a porgere la domanda. A proposito di contraddittorio. Naturalmente meglio se all’ora di cena, e in una giornata in cui qualcun altro ha lanciato critiche all’operato dell’esecutivo.


°°° La sintesi è questa: la libertà di stampa e la democrazia reale questi cialtroni li disintegrerebbe in due settimane. Ecco perché a loro serve il regime e l’oscuramento delle notizie. BUFFONI!!!

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LA SEGRETARIA DI TVEMONTI

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La Russa

La Russa torna a casa in un momento inaspettato e trova la moglie a letto con l’amante. Entrato nella stanza da letto urla: “E questo chi cazzo è?!”.
La moglie per nulla sorpresa: “Ecco, finalmente una domanda intelligente!”.
Poi si volta verso l’omaccione che è con lei nel letto e gli fa: “Scusa caro, com’è che ti chiami?”

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Dopo le minchiate di ghedini

PIANO CON LA CASA
di Raffaele Lungarella 17.04.2009

Governo e Regioni hanno raggiunto l’accordo sul Piano casa. L’impianto normativo è cambiato rispetto alla prima stesura e le Regioni mantengono autonomia in materia. Nel frattempo, anche il tragico terremoto dell’Abruzzo ha indotto qualche ripensamento. Ed è stato aggiunto l’obbligo per il progettista di verificare il rispetto della normativa antisismica in caso di ampliamenti. Resta difficile stabilire l’impatto economico del piano perché non si è ancora in grado di stimare il numero di edifici residenziali a cui si potrà applicare l’incremento di volumetria.

Dopo tante false partenze sembra che finalmente prenda il via uno dei tanti “piani casa” al quale il governo sta lavorando da mesi. Dopo un lungo braccio di ferro ha raggiunto un accordo con le Regioni per l’emanazione di una normativa per aumentare le volumetrie degli edifici residenziali, in deroga alle dimensioni massime previste dei piani regolatori dei comuni in cui essi sono localizzati.

IL COMPROMESSO

È stato raggiunto un compromesso. Il governo può attribuire a sé il merito di aver salvato la sostanza: fronteggiare la crisi economica dando un impulso all’attiva edilizia alimentato dalla micro domanda di tante famiglie disposte, ipotizza il governo, a trasformare i loro risparmi (o ad indebitarsi) in un ampliamento delle loro abitazioni.
Poiché, rispetto alla originaria impostazione del governo, è cambiato l’impianto normativo e sembra si siano poste le premesse per attenuarne l’impatto, le regioni possono rivendicare di non avere subìto l’invasione in una materia di stretta competenza loro e degli enti locali, quale è quella urbanistica.

DOMANDA DI NECESSITÀ E DOMANDA DI CONVENIENZA

Quello sottoscritto da governo e regioni è un accordo quadro di cui è difficile stimare l’effettivo stimolo che potrà dare alle attività edilizia ed all’economia. Qualche considerazione propedeutica ad una quantificazione può però essere tentata.
Esso fissa nel 20% l’aumento massimo della volumetria esistente del quale possono giovarsi i proprietari di edifici residenziali unifamiliari e bifamiliari, calcolato su una volumetria di esistente non superiore ai 1.000 metri cubi per una espansione fino a 200 metri cubi.
A sostenere la domanda nel settore dell’edilizia è indirizzata anche la possibilità di accrescere del 35% la volumetria degli edifici residenziali che verranno demoliti e ricostruiti con criteri di sostenibilità ambientale e di efficienza energetica; non viene posto alcun limite alla volumetria esistente degli immobili.
Sono due tipologie di incentivazione che possono suscitare l’interesse di categorie di soggetti in gran parte differenti. La prima interessa principalmente le famiglie singolarmente, le quali nell’occasione che viene loro offerta, vedono la possibilità, forse anche di accrescere la propria ricchezza, ma principalmente di aumentare gli spazi a loro disposizione e migliorare la loro condizione abitativa. Per sintetizzare si potrebbe dire che l’incentivazione volumetrica del più 20% può soddisfare principalmente una domanda di spazi “primaria” o di “necessita”.
La seconda forma di incentivazione, quella del più 35%, può, invece, stimolare soprattutto una domanda di “convenienza”.

UN CARPE DIEM SELETTIVO

Questa opportunità sarà utilizzata, pertanto, solo se la demolizione e ricostruzione dà luogo ad un utile netto. Non è facile che si creino le condizioni perché ciò succeda, non solo per i costi aggiuntivi che comporta la costruzione di edifici ad elevata efficienza energetica, qualità e via discorrendo.
A cogliere l’opportunità offerta, saranno sicuramente i proprietari di immobili fatiscenti, che comunque avrebbero proceduto alla loro demolizione.
Oltre a questi edifici, il cui valore è pari al valore dell’area edificabile al netto delle spese di demolizione, in tutti gli altri casi in cui l’immobile ha un valore ed è in grado di produrre reddito, la convenienza a ricostruirlo, può risultare problematica e molto dipende dal grado di ammortamento dell’investimento e dalla localizzazione dell’immobile. Quest’ultima variabile è particolarmente importante, perché da essa dipende la rendita urbana: più quest’ultima è alta, quindi più si entra nel cuore delle città, più cresce il valore della volumetria incrementale e, pertanto, aumenta la convenienza ad avvalersi dell’incentivo.
Dato che è soprattutto la molla economica a motivare il ricorso a questo incentivo, affinché la demolizione e la ricostruzione ampliata degli immobili possa fornire un sostegno all’economia, è necessario che la domanda di abitazione sia sostenuta. Ma la situazione attuale del mercato vede un eccesso dell’offerta di case sulla domanda, che si manifesta nell’accumularsi dell’invenduto e dell’allungamento dei tempi di vendita.

IN ATTESA DELLE LEGGI REGIONALI

Impossibile è anche valutare l’impatto economico di quella che abbiamo definita domanda “primaria” di spazi. È difficile stimare il numero di edifici residenziali unifamiliari e bifamiliari ai quali applicare l’incremento di volumetria del 20%. Il loro numero potenziale ha un campo di variazione molto ampio, a seconda della classificazione alla quali si ricorre. In base alla classificazione catastale e considereranno le categorie A/6, A/7, A/8 (rispettivamente abitazioni di tipo rurale, in villini e in ville), gli immobili interessati sarebbero 2.853.133 (1). Se come riferimento per l’applicazione dell’incentivo volumetrico si considerano gli edifici, che al censimento della popolazione e delle abitazioni del 2001, avevano uno o due interni, il patrimonio di edilizia abitativa interessata si amplia enormemente e tocca gli 8,5 milioni di stabili (2). Naturalmente, è impossibile stabilire, in entrambi i casi, per quanti immobili ricorrono le condizioni di localizzazione, di staticità ecc. che consentono di aumentarne il volume.
A complicare ulteriormente ogni possibilità di stima, vi è il contenuto dell’accordo, il quale prevede che siano le singole regioni a regolamentare, con proprie leggi, da approvare entro 90 giorni, gli incentivi volumetrici. Ognuna può individuare propri ambiti, escludendo dall’applicazione dell’accordo particolari tipologie di immobili, soprattutto quelli che ricadono in aree di pregio ambientale e paesaggistico, ed introducendo ulteriori incentivi e premi per favorire la riqualificazione di aree degradate.

GLI EFFETTI DEL TERREMOTO

Il terremoto che ha distrutto L’Aquila non ha inciso sulle volumetrie premiali definite dall’accordo Governo-Regioni. Ma ha fatto puntare i riflettori anche sulla sicurezza e sulle caratteristiche costruttive degli interventi da realizzare per avvalersi degli aumenti di volumetria. La bozza del 15 aprile scorso del decreto legge che il governo dovrà emanare per la semplificazione delle procedure in materia di attività edilizia, contiene, infatti, un articolo che impedisce la realizzazione di interventi di ampliamento o di demolizione e ricostruzione di immobili e di ogni altro intervento sulle parti strutturali di un edificio senza che il progettista documenti il rispetto della normativa antisismica; con la specificazione che “non può essere previsto né concesso alcun premio urbanistico sotto alcuna forma e in particolare come aumento di cubatura”. La ricostruzione con tecniche antisismiche di un intero edificio demolito, non dovrebbe presentare particolari problemi. Difficoltà potrebbe, invece, sorgere nel caso di interventi per aggiungere volumetrie ad edifici esistenti: si potranno applicare criteri costruttivi antisismici alla parte nuova senza adeguare anche l’esistente? Se ciò non fosse possibile l’incentivo della volumetria premiale del 20% potrebbe risultare poco attraente.

(1) Il dato è al 31 dicembre 2007 ed e tratto dall’Osservatorio Immobiliare dell’Agenzia del Territorio.http://www.agenziaterritorio.it/sites/territorio/files/servizi/Osservatorio%20immobiliare/statistiche_catastali2007.pdf
(2)http://dawinci.istat.it/daWinci/jsp/MD/dawinciMD.jsp?a1=m0GG0c0I0&a2=mG0Y8048f8&n=1UH90009OG03K57&v=1UH0N109OG000000000


°°° Praticamente, come tutte le grandi idee di questo regimetto, nessuno sa ancora cosa deve fare se si può fare, se si farà mai. E questo, alla faccia da ghigno di ghedini e dei suoi disegnetti da terza media (visto ieri ad Annozero)

BERRUTI,PECORELLA,GHEDINI: tre culi venduti.

tre

casa

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