1990. Mara, una bimba smaliziata, si ritrova sola con un suo amichetto, sotto una tenda canadese. Sapendo che l’ amichetto è timido, fa: “Ciro, ho freddo…”. “Prendi questa coperta”. “Non mi basta, ho ancora molto freddo…”. “Tieni anche il mio giubbotto!”. “No, no, ho ancora freddo…”. “Tieni, metti anche il mio maglione”. Esasperata, Mara fa: “Ma insomma, cretino, tua mamma non ti ha detto che noi donne abbiamo un buchetto qui, sotto la pancia???”. “Ahhhhh! Ecco da dove veniva l’ aria!!!”
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Saluti da Abarossa
Esempio da seguire
La ricetta di Noceto: giochi, sport, teatro come alternative
Dopo il suicidio del 12enne che aveva visto un’esecuzione sul piccolo schermo
Nel paese che ha spento la tv
“Così salviamo i nostri bambini”
di STEFANIA PARMEGGIANI
Nel paese che ha spento la tv “Così salviamo i nostri bambini”
NOCETO (PARMA) – Lo decisero 13 anni fa. Quasi un passa parola, famiglia dopo famiglia, casa dopo casa. E così una sera, in quel borgo alle porte di Parma, improvvisamente tutti spensero la Tv. Centinaia, migliaia di televisori oscurati, muti, quasi partecipi dell’immenso dolore di una comunità.
Un gesto di rabbia, una rivolta civile contro le trasmissioni che mandavano in onda di tutto senza curarsi delle conseguenze. Che a Noceto furono imprevedibili e drammatiche. David, un bambino di 12 anni, dopo avere visto l’esecuzione di una sentenza capitale aveva deciso di imitare la scena per gioco. Morì impiccandosi. Non c’erano parole, nessuna spiegazione che alleviasse il senso di impotenza, solo la rabbia che doveva essere arginata. Come? Prendendo in mano il telecomando per cancellare modelli sbagliati e oscurare immagini troppo crude. Iniziò così la settimana della creatività, che dal ’96 cerca di evitare la deriva di una televisione babysitter e che ogni mese di maggio trasforma i 1.200 bambini di Noceto da spettatori a protagonisti.
All’inizio il messaggio era esplicito: “Spegni la tv, accendi la fantasia”. “La nostra è una battaglia pesantissima – spiega il parroco don Corrado Mazza – perché non vogliamo demonizzare un mezzo, ma solo evitare che rubi l’infanzia”. “Negli anni abbiamo spostato l’accento – continua il sindaco Fabio Fecci – e oggi non invitiamo più direttamente a spegnere la televisione, ma promuoviamo un’alternativa”. Corsi di teatro, laboratori di pittura, letture animate, giochi antichi, giornate dedicate allo sport, doposcuola della parrocchia, incontri con i genitori, cineforum, serate di riflessione, percorsi lunghi un anno per distogliere gli sguardi dal teleschermo, una miriade di attività coordinate che non tralasciano nulla, neppure il tragitto da casa a scuola. Qui, infatti, passa il piedibus, vigili urbani che accompagnano i bambini lungo le strade della città.
Nessuno si è sottratto al compito perché – è convinzione diffusa – gli influssi della televisione sui bambini sono chiarissimi: “Più chiacchierano senza dire niente – spiegano le insegnanti Enrica Alinovi e Gabriella Grisenti – più capiamo che sono stati troppo di fronte alla tv”. Per questo, osserva il dirigente scolastico Paola Bernazzoli, da anni i bambini partecipano a laboratori in cui fanno gli attori, i costumisti, gli sceneggiatori, i registi, i musicisti… E il risultato viene portato in piazza proprio nella settimana della creatività.
Antonio Caffarra, il pediatra del paese, ha cresciuto insieme alla moglie Daniela, quattro figli senza televisione: “Per anni non l’abbiamo avuta e quando ci è stata regalata l’abbiamo lasciata spenta”. Nel paese sono in molti a pensarla come lui, la creatività è diventata una strategia educativa condivisa. È servito tutto questo? I bambini a Noceto guardano la televisione meno che altrove? “E’ difficile dirlo – conclude il sindaco Fabio Fecci – ma sicuramente sono meno soli”. I più deboli, i più fragili, o semplicemente chi ha entrambi i genitori impegnati tutto il giorno, ha un’alternativa alla televisione come babysitter. “Proviamo a sottrarre il compito di educare alla televisione – conclude il parroco – ma anche se la battaglia continua a essere pesante, non ci arrendiamo, l’infanzia è tutto”. Rappresenta il futuro, che non può essere dettato dal palinsesto televisivo.
Saludi e trigu!
E BELLA SETTIMANA A TUTTI! UNA FOTOGRAFIA DELL’ITALIETTA DI OGGI:
Tre amici d’infanzia che si erano persi di vista s’incontrano casualmente in centro, un sabato sera. Si scopre subito che due sono diventati agiati e votano a destra (uno fa il dentista abusivo e in nero, dato che non ha nessuna laurea, e l’altro esercita, anche lui abusivamente, il commercialista). Il terzo fa l’operaio, al momento cassintegrato, e vota a sinistra.
“Dobbiamo assolutamente festeggiare questo incontro! – fa il commercialista truffaldino. – Propongo di passare la serata insieme e di andarcene a cena in un bel ristorante alla moda.”
“Ottima idea! – approva il dentista fasullo.
“Io… ehm… io veramente… non me lo posso permettere. – si schermisce l’operaio. – Ho solo i soldi del pullman per tornare a casa.”
“Ma non se ne parla nemmeno! E dov’è il problema? – fa il dentista, dandogli amorevolmente una pacca sulle spalle. – Vieni con noi e non mangi!”
Anno Domini 2009
L’esecuzione prevista per lunedì. Mobilitazione internazionale per salvarla
La ragazza-pittrice al patibolo in Iran
Condannata quando aveva 17 anni. L’avvocato: è innocente
Delara Darabi (a sinistra nella foto) è una iraniana di 23 anni con la passione per la pittura. Fra tre giorni sarà impiccata: nel 2003 aiutò il fidanzato in una rapina, Delara si dichiarò poi colpevole per difenderlo. Anche Roxana Saberi (a destra nella foto) è in carcere: giornalista americana-iraniana, è accusata di spionaggio. «Sai cosa significa essere prigioniero dei colori? Significa me. La mia vita dai 4 anni in poi è stata fatta di colori. Compiuti i 17 anni, li ho persi… Ora la sola immagine che appare ogni giorno davanti ai miei occhi è quella di un muro. Io Delara Darabi, incarcerata per omicidio, condannata a morte… mi sono difesa con i colori, le forme e le espressioni».
Delara Darabi è una ragazza iraniana di 23 anni, con la passione per la pittura. Ha scritto queste parole due anni fa. Fra tre giorni, il 20 aprile, sarà impiccata, ha detto il suo avvocato al quotidiano iraniano Etemad. Delara è nata a Rasht, una cittadina sul Mar Caspio. Nel 2003, a 17 anni, si introdusse insieme al fidanzato Amir Hossain in casa di una cugina del padre, per derubarla. La cugina, Mahin, 58 anni, fu pugnalata a morte. Delara si dichiarò colpevole. Più tardi rivelò che l’omicidio era stato commesso dal fidanzato 19enne: le aveva detto di assumersi la colpa, perché essendo minorenne non sarebbe stata condannata a morte. Ma l’Iran, pur avendo ratificato la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, punisce come adulti i bambini a partire dai 15 anni e le bambine dai 9. Sia Delara sia Amir Hossein sono stati puniti con 3 anni di carcere e 50 frustate per tentata rapina, più 20 frustate per la loro «relazione illecita». Lei è stata condannata a morte per omicidio nel 2005, verdetto confermato dalla Corte Suprema nel 2007. Fu il padre a consegnarla alla polizia. «Pensavo di farlo nell’interesse della giustizia», ha detto in lacrime, in un recente documentario.
Quella fredda notte del 28 dicembre 2003, era nel suo negozio di materiale edile quando gli dissero che sua figlia aveva ucciso la cugina. Non volle parlarle. Fu portata nella prigione di Rasht, dove secondo i familiari non c’è nemmeno un ventilatore contro il caldo umido, c’è un bagno per 100 persone, visite limitatissime. Delara si è tagliata le vene nel 2007. L’hanno salvata. Un mese fa è stata trasferita in un altro carcere di Rasht. Intanto, ha continuato a dipingere. «Non penso che sarebbe sopravvissuta un solo giorno altrimenti », ha detto una ex compagna di cella. Lily Mazahery, attivista iraniana, le invia l’occorrente dagli Usa. Le opere sono state esibite a Teheran e a Stoccolma. L’avvocato Abdolsamad Khorramshahi ha cercato di difenderla puntando sull’autopsia, che dimostra che a pugnalare Mahin fu un destrorso, mentre Delara è mancina.
Ma i giudici non hanno accettato le prove. «Il sistema giudiziario iraniano non è basato sulle prove. I giudici possono condannare qualcuno sulla sola base della propria cosiddetta intuizione», dice al Corriere Mahmood Amiry- Moghaddam, un medico iraniano che vive a Oslo, portavoce della rete di attivisti Iran Human Rights. Ma in ogni caso, le associazioni per i diritti umani sottolineano che la condanna a morte di una minorenne in sé viola le leggi internazionali. Ci sono 150 bambini iraniani nel braccio della morte. L’anno scorso è stato l’unico Paese a mandare a morte dei minorenni: almeno 8; quest’anno un ragazzo 17enne. La pena capitale può essere revocata se i parenti della vittima accettano del denaro in cambio della vita del condannato: nel caso di Delara si tratta della sua famiglia allargata, ma hanno rifiutato. «Ma i veri responsabili sono le autorità dice Amiry-Moghaddam. L’Iran è il secondo Paese dopo la Cina per numero di esecuzioni: il regime le usa per diffondere la paura. Penso sia importante che l’Italia, che ha legami economici con Teheran, li usi per impedirlo». Per un periodo, a Delara sono stati sequestrati pennelli e colori. Lei ha continuato a disegnare usando le dita delle mani e il carboncino. «Spero che i colori— ha scritto—mi restituiscano alla vita».
Viviana Mazza
17 aprile 2009
°°° Questi sono i danni del fanatismo religioso esasperato. Cosa possiamo fare per aiutare queste ragazze?