… non bisogna essere dei politicanti per delinquere: basta essere di destra.
Milano
I superevasori e l’uomo di Marcella Bella:
ventidue milioni sequestrati
Secondo i pm , Merello, marito della cantante, trovava i clienti che volevano esportare denaro frodando il fisco
MILANO — Ventidue milioni di euro in una banca di Busto Arsizio su un conto formalmente intestato alla società offshore «Menaggio Marketing e Servicos Lda» con sede a Madeira: su segnalazione dell’«Unità informazione finanziaria» di Banca d’Italia, li ha sequestrati la magistratura di Milano appena uno studio legale svizzero ha ordinato alla banca di trasferirli di corsa in Lussemburgo. E, soprattutto, appena un italiano, che in teoria non aveva legami con quei soldi, si è invece molto agitato per il fatto che non stessero partendo a razzo verso il Lussemburgo: al punto che, come rileva il giudice Fabrizio D’Arcangelo nella convalida del sequestro preventivo operato dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, un funzionario della banca testimonia che «rispetto all’operazione bloccata Mario Merello e suo figlio Giacomo avrebbero esercitato indebite pressioni per dare corso all’operazione, addirittura minacciando denunce in caso di omissioni o ritardi».
Merello chi? Per il mondo del jet-set è l’industriale che l’anno scorso ha battezzato un panfilo da 50 metri con il nome («Marcelita») della sua compagna, la cantante Marcella Bella. Per l’anagrafe ha domicilio a Sainkt Moritz e residenza a Caracas. Per la comunità del business, è in affari in Svizzera con l’avvocato elvetico Fabrizio Pessina e il commercialista Siro Zanoni.
Per chi allena la memoria, è inciampato anni fa con Pessina in un insider trading che lo indusse a raggiungere una transazione con la Sec, la Consob americana. E ora rischia d’essere la prima «vittima» dei «danni collaterali» inflitti a 180 italiani dal computer di Pessina.
Il 2 febbraio, infatti, l’avvocato svizzero è stato arrestato — insieme a due ex appartenenti alla GdF passati a lavorare per il primo imprenditore italiano del settore delle bonifiche ambientali di siti industriali (Giuseppe Grossi, cliente di Pessina) per riciclaggio di 14 milioni di euro (nel frattempo già saliti a 25) provenienti dalla sovrafatturazione del 30% dei costi della bonifica dell’area a Montecity- Santa Giulia, operata dal gruppo Grossi per l’immobiliarista Luigi Zunino ma con spese a carico della Montedison. Sinora l’inchiesta non è stata in grado di afferrare il filo di eventuali corruzioni di organi tecnici o di dazioni a politici, ma intanto ha casualmente imboccato un’autostrada parallela spalancata dal sequestro, nello studio di Pessina, di un suo computer con i dati delle gestioni fiduciarie dei patrimoni affidatigli non solo da Grossi ma anche da almeno altri 180 suoi clienti italiani: per lo più soldi di maxievasori fiscali, secondo uno schema che — stando ad altri elementi d’indagine — avrebbe visto Merello raccogliere i clienti, il commercialista Zanoni studiare le soluzioni tecniche per evadere/eludere le tasse, e l’avvocato Pessina darvi attuazione societaria e bancaria. Per paradosso, il sequestro dei 22 milioni è notificato solo a lui perché ufficialmente l’unico delegato a operare sul conto era Pessina. Che però almeno qui ha un «alibi» davvero di ferro: era già a San Vittore da 2 mesi.