BUFFONE RIDICOLO E PATETICO!
QUALCUNO DI VOI HA VISTO UN CAPO DI STATO O DI GOVERNO OCCIDENTALE UMILIARSI A QUESTO GESTO LECCHINO?
QUALCUNO DI VOI HA VISTO UN CAPO DI STATO O DI GOVERNO OCCIDENTALE UMILIARSI A QUESTO GESTO LECCHINO?
Maurizio Belpietro per “Libero”
Bisogna dare atto a Pierluigi Bersani che da quando è scoppiata la cosiddetta questione morale del Pd, la sua linea non è stata quella del silenzio. O meglio: di fronte alle accuse a carico di Tedesco, Pronzato e Penati, sulle prime il segretario è stato muto come un pesce, ma visto il clamore alla fine ha scelto di parlare. Una lunga lettera al Corriere della Sera, un’altra a il Fatto quotidiano, infine una conferenza stampa per annunciare addirittura una class action contro quella da lui definita una macchina del fango, cioè noi.
Riconosciamo che il capo del partito democratico non è stato a perder tempo o, per usare il linguaggio colorito che lo ha reso popolare, a smacchiare i leopardi.
Pur non essendo stato zitto, il leader del maggior partito d’opposizione sulle questioni sollevate dalle inchieste della magistratura in realtà non ha detto quasi niente. Di certo non è entrato nel merito della faccenda che riguarda uno dei suoi uomini di fiducia, quel Filippo Penati che fino a meno di un anno fa era il capo della sua segreteria, dopo essere stato il coordinatore nazionale della mozione che lo portò al vertice del Pd.
Bersani ha detto che il Pd ha le mani pulite e non ha nulla da nascondere? Bene, ne siamo lieti. Ci permetta allora di porgli alcune domande atte a chiarire ancor meglio le vicende e le accuse che riguardano l’ex vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia. Lo facciamo nel modo più chiaro possibile, sperando che il desiderio di approfondire una delle più controverse operazioni in cui Penati è coinvolto non ottenga in risposta una nuova minaccia di querele.
BRUNO BINASCO BRACCIO DESTRO DI GAVIO
Ovviamente ci riferiamo al discusso acquisto del 15 per cento della Serravalle, la società autostradale che la provincia di Milano guidata da Penati comprò sei anni fa, regalando a un imprenditore privato, Marcellino Gavio, un utile netto di quasi 180 milioni di euro.
L’aggettivo discusso lo usiamo non per spirito di polemica, ma perché effettivamente la decisione all’epoca suscitò molte polemiche e anche una denuncia: innanzi tutto perché alcuni giudicarono il prezzo esorbitante, eppoi in quanto quasi contestualmente Gavio partecipò con 50 milioni alla scalata dell’Unipol a Bnl, quella che, per intenderci, fece dire all’allora segretario Ds Piero Fassino: «Abbiamo una banca!»
Ma veniamo alle domande.
1 – Innanzitutto gradiremmo sapere, a distanza di quasi sei anni, come giudica quell’operazione. È convinto che sia stata una buona scelta usare i soldi della provincia di Milano per comprare le azioni di Gavio? Non sarebbe stato meglio, ed economicamente più conveniente, acquistare quelle detenute dal comune di Milano, che pure erano in vendita?
2 – Come è noto Gavio aveva comprato meno di due anni prima quelle stesse azioni a 2,9 euro. Penati le comprò, indebitando la provincia, a quasi 9. Lei che è stato ministro delle Attività produttive e si picca di capirne di economia, a distanza di anni il prezzo pagato dal suo ex capo della segreteria politica come lo giudica? Equo?
3 – È mai stato a conoscenza che Banca Intesa aveva fissato il valore di quelle azioni a un massimo di 5 euro?
4 – Prima della decisione della provincia di comprare il 15 per cento della Serravalle lei ne discusse mai con Penati? Partecipò a incontri con l’ex presidente della provincia e un consulente a lui vicino?
5 – Nel corso degli anni, le è mai venuta la curiosità di chiedere a quello che poi sarebbe diventato il coordinatore della mozione che le fece vincere il congresso del Pd perché avesse cambiato idea su Gavio? Cioè perché dopo aver dichiarato che l’imprenditore era un «ostacolo alla legalità in Serravalle» (Corriere della Sera di ieri) decise di comprare le azioni a 8,973 euro?
6 – Quando lei decise di nominare Penati coordinatore della mozione congressuale, ci fu qualcuno che la sconsigliò?
7 – Quando Penati si dimise da capo della sua segreteria a causa della sconfitta di Stefano Boeri alle primarie di Milano, non le parve strana quella decisione, dato che Penati non aveva una diretta responsabilità nella scelta di Boeri e non aveva alcun ruolo ufficiale nella scelta dell’architetto come candidato del Pd? Perché dimettersi se nessuno quelle dimissioni le aveva richieste?
8 – Le risulta che Bruno Binasco, ossia il braccio destro di Marcellino Gavio oltre che l’uomo accusato di aver pagato 2 milioni all’intermediario di Penati, abbia finanziato in passato i Ds con contributi in chiaro? O che lo abbia fatto lo stesso Gavio?
9 – Le risulta che Binasco, Gavio o società a loro riconducibili abbiano dato contributi in chiaro a fondazioni vicine a esponenti dei Ds prima e del Pd poi?
10 – Tralasciando eventuali aspetti penali, che non è detto esistano e sui quali comunque tocca alla magistratura esprimersi, non le pare che ci sia un conflitto di interessi tra il partito, i suoi finanziatori e gli amministratori, che da Gavio e soci comprarono le azioni?
Conoscendolo, me lo vedo immerso sempre di più nella sua patetica e ridicola fiction che non guarda più nessuno. Si manda scatole di cioccolatini da solo (che fanno inflaccidire ancora di più il suo rugoso e cellulitico CULO FLACCIDO, cantato nella Silvieide dalla poetessa cieca Nicole Melometti), si commuove leggendo i bigliettini che si è scritto lui (SENZA ACCORGERSI DEGLI ERRORI SINTATTICI E ORTOGRAFICI), chiagne e NON fotte. Ogni tanto intona malinconicamente “Meno male che Silvio c’è”, ma l’eco gli risponde perfido “C’ERA!” Si siede mestamente sul WC, mandato colà dai troppi cioccolatini di merda prodotti da una delle sue aziende, ma dal suo sfintere voglioso non esce altro che gasparri-angelinoanfame-cicchitto-ghedini-paniz. Preso dal panizco, corre a chiamare Gianni Lecca Lecca, che ormai non gli risponde quasi più manco al telefono; Bossi, che gli rutta in faccia il suo amore; Ghedini, che gli spara una cifra pesantissima solo per averlo distolto dal suo lavoro vero: ricamare all’uncinetto “MAVALA'” in tutte le lingue, aiutato dal suo ultimo stallone straniero e dotatissimo… insomma questo vecchio è solo. E spende un casino di soldi in telefonate inutili. AIUTIAMOLO!
IL MAFIOSO COCAINOMANE SENZA I KG DI TRUCCO E SENZA LA MARTORA MORTA SULLA TESTA VUOTA.
Braccato dai pubblici ministeri che lo inseguono in tre processi ed ora lo inchiodano a un imminente “rito immediato”. Ricattato dalle veline-meteorine-coloradine che hanno animato le sue serate e ora battono cassa. Logorato da una maggioranza forzaleghista che non ha più numeri per galleggiare né idee per governare. Tenuto artificialmente in vita da un disperato drappello di “disponibili” che con poco senso del ridicolo si sono ribattezzati “responsabili”. In queste condizioni precarie, che c’è di meglio dell’ennesimo, improbabile diversivo? È quello che ha appena inventato il presidente del Consiglio, con la proposta di un nuovo “piano bipartisan per la crescita” lanciato attraverso le colonne del Corriere della Sera.
Qui non c’entra il pregiudizio ideologico: cioè l’irriducibilità dell’antiberlusconismo militante, o l’indisponibilità a riconoscere che il Cavaliere è l’uomo che tanta parte dell’opposizione parlamentare, sociale o mediatica “ama odiare” (come ripete ossessivamente Giuliano Ferrara). Qui c’entra il giudizio politico: cioè l’assoluta vacuità della proposta, e la sua oggettiva inidoneità ad affrontare e risolvere i problemi strutturali del Paese.
Lasciamo da parte il tema dell’imposta patrimoniale, troppo complesso per essere liquidato con le solite fumisterie propagandistiche da padroncino brianzolo, “nobilitate” dalle lezioni della scuola di Chicago. Quello che il premier offre all’Italia e
al centrosinistra, fuori contesto e fuori tempo massimo, è l’ennesimo simulacro di un patto scellerato. Dice Berlusconi: noi liberalizziamo l’economia, modificando l’articolo 41 della Costituzione e rendendo finalmente “consentito tutto ciò che non è vietato”. In cambio, i ceti produttivi fanno emergere “la ricchezza privata nascosta”. Lo chiama “scambio virtuoso”: da una parte “maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento”, dall’altra parte “aumento della base impositiva” oggi occultata.
Dov’è la scelleratezza? In tutti e due i fattori dello scambio. Dal lato delle “libertà”. Intanto questo governo di liberisti un tanto al chilo, da due anni e mezzo, ha fatto solo passi indietro sul tema delle liberalizzazioni, riducendo in brandelli la lenzuolata di Bersani della passata legislatura. E poi la riforma dell’articolo 41, ammesso che serva a qualcosa, è una riscrittura del dettato costituzionale. Esige un disegno di legge di revisione della Carta del ’48, dunque una quadrupla lettura parlamentare e, in caso di approvazione senza il voto dei due terzi del Parlamento, un referendum confermativo. Tempi realistici di approvazione: non meno di un anno e mezzo. “Lungo periodo”: di qui ad allora, come diceva Keynes, “saremo tutti morti”. E ad ogni modo: da almeno sedici mesi il ministro Tremonti ha annunciato la riforma una decina di volte, un paio delle quali in consessi internazionali (come il G20 di Busan, in Corea del Sud). Se ci crede tanto, cosa aspetta a presentare il disegno di legge? Non è difficile: sono due righe di testo, forse anche meno. Perché non passa dalle parole ai fatti?
Dal lato della fiscalità. Che senso ha proporre a chi evade l’ennesimno scambio? Proprio oggi la Guardia di Finanza fa sapere che nel 2010 sono stati scoperti 8.850 evasori totali, e che il lavoro d’indagine ha fatto emergere la cifra record di 50 miliardi di redditi non dichiarati. Di fronte a questo oceano di illegalità non c’è proprio nulla da “scambiare”. Visto che le Fiamme Gialle lo hanno scoperto, c’è solo da prosciugarlo, facendo pagare caro chi finora non ha pagato. Ma questo, con tutta evidenza, è un bel problema per Berlusconi e per la sua sfibrata maggioranza. Si tratterebbe di prendere di petto la constituency politico-elettorale del Pdl, invece di continuare a lisciargli il pelo. Il Cavaliere non l’ha mai fatto. Meno che mai può farlo oggi, mentre imbocca il suo viale del Tramonto. Il suo modello non è Milton Friedman. È Cetto La Qualunque.
m.giannini@repubblica.it
”Investire in sapere, ricerca, cultura…” Ciccio, sono tutte cose che diciamo noi da 20 anni. Ma Prodi non le ha solo dette, LE STAVA FACENDO!!! Voi avete bruciato tutto e buttato al macero! Piantala di copiare Vendola e Bersani!!! BUFFONE! Non sono “utopie”, infatti, SONO PAROLE DI VENDOLA E BERSANI!
E ora la procura indaga
anche sulle feste a Cortina
«Undici anni fa mio padre si è ucciso perché non riusciva a portare a termine il progetto del residence»
Patrizia D’Addario (Rocco De Benedictis)
BARI — La replica di Patrizia D’Addario all’accusa del premier di essere stata «mandata e retribuita» è secca: «Smentisco che ciò sia accaduto. Qualora l’onorevole Berlusconi sia in possesso della minima prova a sostegno della sua affermazione, lo invito a volerla trasmettere all’autorità giudiziaria. Se così non fosse vorrei pregarlo di astenersi da simili affermazioni». Reagisce duro la donna. Dopo essere rimasta «blindata» per una settimana, consapevole che ogni sua mossa sarebbe stata controllata e analizzata parla per rispondere «a frasi infamanti». E la rabbia monta «perché le altre si spacciano per ragazze-immagine e prendono soldi, mentre io che ho soltanto raccontato la verità vengo massacrata». C’è soprattutto un punto che Patrizia ribadisce: «Non sono stata io a presentare una denuncia. Il magistrato mi ha convocata perché voleva sapere che rapporti avessi con Gianpaolo e se lui mi avesse portata a palazzo Grazioli. È stato in quel momento che ho deciso di ammettere quanto appariva già evidente».
Il pubblico ministero aveva infatti ascoltato centinaia di conversazioni telefoniche dell’imprenditore barese che ingaggiava squillo da portare a feste e vacanze a Roma e a Villa Certosa in Sardegna. E lei, che in quei colloqui compare spesso, è stata chiamata come testimone. Non nega Patrizia di aver maturato in questi mesi risentimento nei confronti del premier «ma solo perché sono stata ingannata. La seconda volta che l’ho visto, quando ho trascorso la notte con lui, non ho preso soldi: mi sono fidata della sua promessa di aiutarmi a costruire il residence sul terreno della mia famiglia. È il cruccio della mia vita perché mio padre si è ucciso quando ha capito che non sarebbe riuscito a portare a termine quel progetto. Ci aveva investito tutti i suoi soldi, pur di realizzarlo aveva accumulato debiti. Undici anni fa, quando era ormai sull’orlo del fallimento, si è suicidato».
L’inchiesta della Procura di Bari va avanti e trova nuove conferme. Alcune ragazze hanno ammesso quanto emergeva già dalle intercettazioni: fine settimana trascorsi a Cortina in compagnia di facoltosi clienti nelle suite di alberghi di lusso oppure nella villa di un noto industriale. E soprattutto hanno confermato il ruolo di un «mediatore» che avrebbe aiutato Tarantini a organizzare le trasferte. Si chiama Max ed è l’uomo che gli ha presentato Patrizia. Nelle audiocassette che la donna ha consegnato due giorni fa, la voce di Max è stata registrata più volte. A metà ottobre 2008 fu lui a dirle che c’era una festa a Roma e poi la portò da Gianpaolo. L’accordo fu chiuso in meno di un’ora: «2.000 euro per una cena da Berlusconi», anche se poi Patrizia ne prese «soltanto 1.000 perché non ero rimasta». Max era ospite nella villa di Tarantini durante la vacanza in Sardegna nell’estate dello scorso anno e a metà agosto partecipò con lui alla cena per una sessantina di invitati a Villa Certosa. Portarono un gruppo di amici e lì trovarono Sabina Began, la donna ritenuta molto vicina al presidente del Consiglio che gli avrebbe presentato l’imprenditore barese. Un vorticoso giro di eventi mondani nel quale Patrizia è stata coinvolta e che adesso ha contribuito a svelare. «Sapevo che mi avrebbero accusata delle peggiori nefandezze — chiarisce — ma io sono inattaccabile perché ho sempre detto la verità e infatti Berlusconi non può negare le circostanze che ho rivelato. Io non sono in cerca di successo. Avevo soltanto chiesto un aiuto per finire la costruzione di quel residence. I ritardi mi hanno costretto a pagare un mutuo altissimo».
La donna — che il Pdl ha candidato alle elezioni comunali con la lista «La Puglia prima di tutto» — spiega che «tutti erano a conoscenza di quello che facevo per mantenere la mia famiglia, visto che da quando mio padre non c’è più sono io ad occuparmi di mia madre, oltre che di mia figlia. E se ho deciso di raccontare la verità l’ho fatto anche per loro. Ero stata chiamata dal magistrato e volevo che non ci fossero ombre. In questi mesi Tarantini mi ha chiesto più volte di tornare a Roma, gli ho detto di no perché il patto non era stato mantenuto. Lui sapeva che avevo le prove degli incontri e quando casa mia è stata svaligiata ho cominciato ad avere paura. Ho capito che non dovevo nascondere nulla di quanto era accaduto».
Fiorenza Sarzanini
24 giugno 2009
°°° Se permettete, amici, tra una ragazza coraggiosa che ammette di fare un mestiere non proprio invidiato: pur sapendo di attirarsi contro le ire del farabutto più potente d’Italia, e uno dei più grandi cazzari della Storia del mondo… beh, mi sembra evidente che credo fino all’ultima virgola di ciò che dice Patrizia. Conosco sulla mia pelle i metodi di Mafiolo. Patrizia D’Addario svetta in questo confronto mille anni luce avanti. Il Cavaliere (de ‘stogazzo) è sempre più patetico: pensate che a un attacco del Guardian (uno dei più prestigiosi quotidiani del mondo) replica con un’intervistina fasulla a “Chi”… Questo è il livello, gente!
POVERA ITALIA!
di Antonio Frenda n(La Voce.it) 18.06.2009
Gli italiani si sono impoveriti negli ultimi anni? Le indagini di Istat e Banca d’Italia fotografano una situazione difficile per le famiglie numerose, per chi non ha lavoro e per il Sud. Ma nelle indagini sulla povertà si dovrebbe considerare un paniere che per tutta l’area euro rappresenti l’insieme dei beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita di una famiglia minimamente accettabile. E poi analizzare la percentuale di famiglie che si avvicina o si allontana da quella soglia ogni anno e nel corso degli anni.
Gli italiani si sono impoveriti negli ultimi anni?
È questa la domanda alla quale hanno cercato di rispondere l’Istat, con l’ultima indagine sulla povertà, e la Banca d’Italia con l’Indagine conoscitiva sul livello dei redditi di lavoro.
Una premessa è essenziale per analizzare i dati e provare a fornire delle risposte: gli indicatori statistici campionari sono indizi utili a comprendere i fenomeni e possono non fornire risposte univoche.
I DATI
Dall’indagine Istat sulla povertà emergono alcuni dati particolarmente significativi.
La stima dell’incidenza della povertà assoluta, cioè la percentuale di famiglie e di persone povere sul rispettivo totale delle famiglie e delle persone residenti in Italia, è aumentata significativamente dal 2005 al 2007 per le famiglie con tre o più figli minori, contro una sostanziale stabilità statistica del fenomeno povertà per gli altri nuclei familiari considerati, con un’incidenza evidentemente più elevata al Sud rispetto al resto del paese. Inoltre, circa un quinto delle famiglie che non hanno un reddito da lavoro né un reddito derivante da una pregressa attività lavorativa risulta in condizione di povertà assoluta.
Altri utili dati Istat sulla povertà oggi disponibili, quelli cioè quelli sulla povertà relativa (in cui le soglie di povertà sono definite solo rispetto all’ampiezza familiare e non al territorio), presentano dal 2003 al 2006 una sostanziale stabilità della povertà in Italia nel periodo considerato, circa l’11 per cento, con un Sud in cui si presenta con valori superiori al 20 per cento.
Come opportunamente rileva su questo sito Linda Laura Sabbadini, “la misura della povertà assoluta è particolarmente utile per la progettazione di politiche di contrasto al fenomeno”.
La Banca d’Italia, invece, restringendo l’attenzione agli ultimi quindici anni, rileva giustamente come non vi sia evidenza, nei dati campionari sulla distribuzione dei redditi, di un assottigliamento dei ceti medi o ancora di un impoverimento delle famiglie. Sottolinea però come il contrasto tra Nord e Sud determini un livello della povertà e della disuguaglianza dei redditi familiari in Italia ben superiore a quello dei paesi nordici e dell’Europa continentale.
La Banca d’Italia, tramite l’indagine campionaria sui bilanci delle famiglie italiane nel 2006, evidenzia però già da tempo che nel periodo 2000-2006 il reddito delle famiglie con capofamiglia dipendente, in termini reali, è rimasto sostanzialmente stabile, rispetto a una crescita del 13,86 per cento per le famiglie con capofamiglia autonomo.
Letti i dati, e fatte le dovute premesse, è necessario proporre una diagnosi, lasciando ad altri esperti una prognosi completa. I dati Istat evidenziano che il problema della povertà concerne le famiglie (di tre o più figli dice l’indagine), ma interpretandoli con buon senso si può ipotizzare un problema di povertà, quantomeno soggettiva, sempre più sentito al crescere della prole: la povertà soggettiva indica la percezione degli individui circa l’adeguatezza del proprio reddito familiare per condurre una vita considerata dignitosa. Tale povertà soggettiva è probabilmente alimentata dall’assenza di una tassazione dei redditi basata sui quozienti familiari.
I dati citati inoltre rappresentano il ben conosciuto problema di un Sud depresso e di chi non ha un lavoro: questi ultimi sono impoveriti dall’assenza di un organico sistema di welfare state. Potrà rappresentare un importante passo avanti in tal senso il sistema degli ammortizzatori sociali, che a regime potrebbe essere organizzato su due pilastri, pubblico e privato, come spiega il Libro Bianco sul welfare presentato dal ministro Maurizio Sacconi.
LE CAUSE DEL MALESSERE
Dalla diagnosi alle cause del malessere.
– Nel 1995, il reddito italiano pro capite era superiore di circa il 4 per cento a quello medio relativo ai quindici paesi dell’UE; nel 2008 è invece sceso sotto la media circa del 10 per cento: in pratica, “l’italiano medio” si è impoverito quasi di 1 punto percentuale all’anno in rapporto agli altri partecipanti all’Unione Europea. Anche il confronto con i salari medi netti annuali nei paesi Ocse è poco soddisfacente per il nostro paese, come risulta dal grafico che segue. Occorre considerare che se la crescita del Pil di un paese si ferma, o addirittura vi è decrescita, gli altri Stati possono comportarsi anche in maniera opposta o comunque diversa. Infatti, i dati relativi al 2008 disponibili per gli altri paesi indicano per il Pil un aumento dell’1,3 per cento in Germania, dell’1,1 per cento negli Stati Uniti, dello 0,7 per cento in Francia e nel Regno Unito, e una diminuzione dello 0,7 per cento in Giappone. In Italia il prodotto interno lordo è invece calato dell’1 per cento rispetto all’anno precedente;
– Secondo le statistiche della Commissione europea per il 2008, considerando i dati corretti per il potere di acquisto, fatto pari a 100 il reddito pro capite medio nell’area euro, esso è pari a 104,8 in Germania, a 91,7 in Italia, a 84,5 in Slovenia: gli italiani quindi possiedono un reddito medio molto più vicino a quello sloveno che a quello tedesco;
– Per capire l’impatto rilevante del Pil sulla vita delle persone, occorre considerare che una delle sue componenti è rappresentata dai consumi delle famiglie, ad esempio di beni durevoli.
(elaborazione grafica dei dati di Francesco Pugliese)
Concludendo, è bene rilevare come le soglie di povertà corrispondano alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi: nelle indagini sulla povertà, può essere utile considerare anche un paniere che rappresenti l’insieme dei beni e servizi che, nell’area euro, e per una determinata famiglia, sono considerati essenziali al fine di conseguire uno standard di vita minimamente accettabile e analizzare la percentuale di famiglie che si avvicina o si allontana (a seconda del punto di partenza) da tali soglie annualmente, nel corso degli anni. Per i paesi primi entranti potrebbe poi contribuire all’analisi il definire una soglia di “malessere”, superiore a quella della povertà.
In una società globalizzata, per comprendere le condizioni di vita delle collettività, è bene operare confronti anche su sottoinsiemi con caratteristiche economiche comuni, per avere comparazioni omogenee ed esaustive. I cittadini, nel giudicare l’adeguatezza del proprio reddito familiare per condurre una vita dignitosa, osservano territori anche lontani, grazie ai mass media, a Internet, alla sempre maggiore mobilità. E sono soggetti a prezzi, come quelli dei beni durevoli, che spesso tendono a convergere in presenza di politiche monetarie comuni.
* L’articolo e le opinioni in esso contenute sono presentate dall’autore a titolo personale e non impegnano l’Istat, presso cui egli svolge l’attività di ricercatore.
°°° Sì, amici miei, certo… l’avvento di Silvio Burlesquoni nell’agone politico italiano ci ha praticamente disastrato. Nonostante l’ottimo lavoro di Prodi per mettere pezze su pezze ai danni fatti da Mafiolo, la devastazione è stata ed è così massiccia che stiamo finendo davvero malissimo. In compenso però siamo diventati il paese più conteso dai comici satirici di tutto il mondo. In effetti un capo di governo così patetico e clownesco e dei ministri così inutili e improbabili… li abbiamo solamente noi in tutto il mondo. E vi sembra poco? ALLEGRIAAAAAAAAAAAAA!
Bongiorno: il mio addio a Mediaset colpa di Pier Silvio
All’Era glaciale: «Il responsabile è lui, è giovane e inesperto. Nemmeno una targa ricordo mi hanno mandato…»
°°° Patetico. Nemmeno i ministri vanno a pisciare quando hanno lo stimolo, ma quando lo dice Silvio. Figuratevi quello scimunito del figlio se si poteva permettere di cacciare così volgarmente l’uomo che ha permesso alla sua famiglia di ripulire così platealmente i milioni di miliardi di miliardi della mafia! Patetico, spudorato e volgare.
Carfagna: «In Aula c’è di tutto ma si accaniscono sul premier»
Il ministro: «Fa il bene del Paese. Il resto sono affari suoi»
Gentile Direttore, trascorso un anno da un attacco mediatico di inaudita volgarità a cui sono stata sottoposta, sono qui a fare alcune considerazioni su vicende che in questi giorni ci sono state date in pasto con una morbosità e un’ossessività che ricordano molto quelle che hanno riguardato la sottoscritta.
Sono qui a dire la mia, se mi è consentito. Anche forte e fiera di un lavoro svolto, in soli dodici mesi, con impegno ed autentica passione in favore e a tutela dei soggetti più vulnerabili di questo Paese.
Qualcuno è ancora convinto che io, giovane donna che dalla tv è passata alla politica con Berlusconi, non abbia il diritto di parlare, non abbia nulla di sensato ed intelligente da dire. Ed invece vorrei osare così tanto. Mi sia consentito. Lo faccio perché ho testa. E cuore. Ho testa né più né meno di tanti pseudo-intellettuali che si ergono pomposamente a maestri di vita e di scienza, di etica e di morale, che parlano e straparlano giudicando tutto e tutti pretendendo di essere i padroni assoluti del vero.
Certo, mi riconosco una buona dose di coraggio se sono qui, oso parlare e, di più, vorrei addirittura dare, sottovoce, ma molto sottovoce, un consiglio. Che è quello di fare un passo indietro, di ritornare al di qua di quel limite della decenza e del buon senso che è stato abbondantemente superato.
Insinuazioni pesanti e volgari hanno accompagnato la mia scelta sciagurata. Quella di una giovane donna che, dopo una (a dire il vero) assai insignificante carriera in tv ha deciso di accettare la sfida di fare politica con il partito di Berlusconi. Attenzione. Giovane donna, televisione, Berlusconi.
E qui casca l’asino!
Perché se cambiando l’ordine degli addendi il risultato è lo stesso, sostituendo anche uno soltanto degli addendi il risultato sarebbe ben diverso e comporterebbe la legittimità dell’impegno politico.
Suvvia, siamo realisti.
Il Parlamento vede tra i suoi banchi alcuni uomini dalle assai dubbie capacità politiche. Ma nessuno si sorprende. L’Aula di Montecitorio è stata frequentata da personaggi condannati per banda armata e concorso in omicidio, facinorosi violenti, condannati per detenzione e fabbricazione di ordigni esplosivi, protagonisti di risse e di indecorosi episodi di cronaca.
Ma nessuno mai si è indignato.
Onorevoli che candidamente hanno ammesso di prostituirsi prima di approdare alla Camera, altri che, durante il loro incarico, sono stati sorpresi a contrattare per strada prestazioni con transessuali.
Mai nessuno si è scandalizzato. Mai.
Allora viene un sospetto.
Che sia Berlusconi l’ingrediente indigesto? Sì, è proprio così, Berlusconi indigna, scandalizza, inquieta.
Forse è arrivato il momento di mettere un freno a questa follia collettiva, a questo vizio malsano, che qualcuno tenta di fomentare, di guardare e giudicare la politica dal buco della serratura, di giudicare le persone per l’aspetto estetico e per il lavoro, seppur onesto, che hanno fatto in passato.
È assurdo, dopo anni di battaglie, è come tornare indietro quando i criteri selettivi per accedere alla politica erano il censo e il sesso.
Forse è proprio il caso di dire che si stava meglio quando si stava peggio!
Ed è sorprendente che le dichiarazioni e la persona dell’ex fidanzato di Noemi Letizia, condannato per rapina, secondo qualcuno meritino più rispetto dell’impegno e della persona di una donna che ha l’unica colpa di aver lavorato in tv. Cosa è più grave, mi domando, aver lavorato in tv o essere stato un rapinatore? Quanto tempo dovrà passare ancora perché chi ha lavorato nel mondo dello spettacolo possa essere trattato almeno come un ex rapinatore o un ex detenuto?
Credo che si sia superato il limite del buon senso e tutti abbiamo responsabilità e doveri. A cominciare dalla politica che deve ispirarsi a criteri di rigore e di serietà. Quei criteri che hanno indirizzato l’attività di un governo che ha risolto gravi emergenze e problemi quotidiani con tempestività ed efficacia, grazie ad un presidente del Consiglio che è riuscito non solo ad interpretare le speranze e i sogni degli Italiani, ma anche a tradurli in realtà. Questo, quello delle cose realizzate per il bene del Paese, è il terreno di confronto sul quale vogliamo misurarci e di cui deve rispondere agli italiani il presidente Berlusconi. Un leader mai prepotente o arrogante, consapevole di una innata capacità seduttiva che ha usato a fini di ricerca del consenso e non per scopi morbosi.
Un uomo leale, perbene e rispettoso.
Una persona di garbo e gentilezza, doti che qualcuno vorrebbe declassare a mera finzione e che invece sono autentiche. E, lasciatemi pure dire che, in un mondo popolato da gran cafoni, sono qualità rare ed invidiabili. Il resto, tutto il resto, sinceramente sono affari suoi. O, almeno, così dovrebbe essere in un Paese «normale».
So che ho ben poca esperienza, ma credo di averne quanto basta per auspicare che l’Italia diventi un Paese «normale», dove chi fa politica viene giudicato per ciò che fa e chi governa per come governa. Per fare questo, però, c’è bisogno di uno sforzo di volontà da parte di tutti.
Forse è arrivato anche il momento che chi trascorre le sue giornate a criticare e a farci lezione, scenda dalla sua cattedra di cartapesta, si sporchi le mani con i problemi veri e con le questioni che veramente interessano alla gente e dia il suo contributo alla crescita e allo sviluppo dell’Italia.
Qualcuno lo troverà più noioso, ma sarebbe sicuramente più proficuo.
Il Paese ne avrebbe un gran vantaggio. La qualità e il livello dell’attività politica, che qualcuno si diverte a far scadere verso il basso, ritroverebbero dignità e centralità.
Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità (Pdl)
°°° Non so chi abbia scritto queste minchiate sgrammaticate e ridicole alla carfregna, ma chiunque sia… fa veramente schifo come autore e come comunicatore. Ridicolo e patetico. Inoltre, è stata davvero ingenerosa la descrizione che dà di se stessa e di alcuni suoi compari di cosca. Anche se ha dimenticato altri reati commessi dal suo proprietario e da suoi soci, come l’appartenenza a cosa nostra, il riciclaggio, il ricatto, la strage, la corruzione, ecc. Forse per modestia, per umiltà. DE MINIMIS…
Dice che riferirà in parlamento. Capirai! Leggerà le solite tre stronzate FALSE scritte da previti/pecorella/ghedini e, quasi sicuramente, ripeterà il suo delirante slogan (che ha giò fatto ripetere al pappagallino insulso capezzone di cazzone) che: “tornano alla carica i giudici politicizzati“. Questo vecchio guitto spompato e malavitoso è sempre pià sgonfio e patetico.