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Zimbello del mondo
I giornali stranieri seguono con crescente interesse
Stampa estera scatenata
“Berlusconi può cadere”
di FRANCESCO BEI
Un articolo su Berlusconi
su El Pais online
ROMA – Se i telegiornali italiani – con l’eccezione di Skytg24 e Tg3 – continuano a ignorare lo scandalo di Bari, altrettanto non si può dire per la stampa estera, che segue la vicenda con interesse crescente. “È giunta l’ora per Silvio Berlusconi?”, s’interrogava ieri El Mundo, principale giornale spagnolo di area centrodestra. “Molti considerano – aggiungeva – che lo scandalo erotico-festivo delle ultime settimane, in continua crescita, potrebbe causare la caduta finale di colui che finora sembrava politicamente immortale”. E ancora: “Ormai non passa giorno in cui il rosario di rivelazioni non si incrementa con nuove e truculente scoperte, che ogni volta minano vieppiù la reputazione e il potere del Cavaliere”.
Sempre in Spagna, anche El Paìs torna a parlare del caso Berlusconi con quella che definisce “la rivolta delle veline”. Il quotidiano spagnolo afferma che “le denunce delle modelle pongono fine al feeling con la Chiesa cattolica ed all’ammirazione di molti italiani”. “Secondo fonti diplomatiche”, aggiunge il quotidiano, “Berlusconi ha chiesto la solidarietà di varie cancellerie straniere” nelle quali però “lo sconcerto supera la comprensione”.
Non ci vanno leggeri nemmeno i media britannici, anche in questo caso senza distinzioni di destra o di sinistra. Il conservatore Times, sotto al titolo “Una notte nell’harem di Berlusconi”, riporta le dichiarazioni di Patrizia D’Addario. Ma è soprattutto il Daily Telegraph, altra testata conservatrice a larga diffusione, a soffermarsi sul caso: “Il vizio minaccia di far cadere Berlusconi.
Il Telegraph sostiene che c’è paura per “nuove rivelazioni in vista del summit del G8 del mese prossimo”, e intervista James Walston, un professore di scienze politiche all’American University of Rome, che predice uno “stillicidio di rivelazioni” e afferma che “questo non darà a Berlusconi un’aria molto da statista quando tratterà con Obama e Merkel”.
Spostandosi a sinistra si trovano Guardian e Observer, entrambi attenti alla vicenda del presidente del Consiglio. “Possono le rivelazioni di Barbara Montereale far cadere Berlusconi?”, si chiede The Observer. Per il Guardian il racconto della Montereale potrebbe “convincere molti italiani che si è passato il segno”.
°°° Insomma, tutti i media del globo lo prendono a colpi di… testate.
Marco Travaglio (da l’Unità)
Topolanek, Bocchino, Pompa & F.lli
Siccome «nomina sunt consequentia rerum», sulla scena degli scandali berlusconiani, dopo Topolanek, irrompe l’on. Bocchino: «In questa vicenda ci sono apparati dello Stato fuori controllo». Non ce l’ha con l’apparato riproduttivo di Al Tappone, già devastato da un editoriale di Feltri, ansioso di far sparire l’arma del delitto («facendo strame della privacy, affermo che Silvio è senza prostata… e buonanotte al sesso. La scienza fa miracoli tranne uno: quello»). No, Bocchino ce l’ha coi servizi segreti, ovviamente deviati: «Dovrebbero occuparsi della sicurezza del premier, scortarlo, proteggerlo». Invece colludono coi nemici della Nazione: tipo il fotografo Zappadu che, secondo l’autorevole Il Giornale, ha «rapporti coi servizi». Tesi suggestiva, anche perché Al Tappone ha governato 8 anni su 15 e ha sempre trafficato coi servizi. E l’altro giorno ne ha riuniti i capi a Palazzo Chigi: c’erano il coordinatore Gianni De Gennaro, a suo tempo confermato da Al Tappone a capo della polizia nonostante i fattacci del G8 di Genova, o forse proprio per quelli (ora è imputato per induzione alla falsa testimonianza dell’ex questore); e l’ex direttore del Sismi Niccolò Pollari, sebbene sia imputato a Milano per il sequestro di Abu Omar e a Perugia per peculato con Pio Pompa (avrebbero spiato «presunte opinioni politiche, contatti e iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, associazioni di magistrati anche europei, giornalisti e parlamentari»), o forse proprio per questo. Dal che si deduce che cosa intendano lorsignori per «servizi deviati»: quelli che lavorano per lo Stato.
Marco Travaglio
Tutto sommato, anzi detratto
Che Al Tappone abbia perso le Europee, nonostante gli sforzi eroici dei servi bugiardi, lo sa anche lui: infatti non parla da tre giorni, il che a un diarreoico della favella deve costare parecchio. Che poi il centrodestra abbia vinto le amministrative gli rode ancor di più: alle amministrative lui non era candidato, mentre alle europee sì (ancorché ineleggibile). Per la prima volta il suo nome, invece di portar voti ai suoi, li sottrae. Ha imboccato la parabola discendente, la terza. Il guaio è che le altre due volte, quando lui perse le politiche, andò al governo il centrosinistra, che si prodigò a far dimenticare le sue porcate e a resuscitarlo. E le premesse per il terzo replay ci sono tutte. Basta vedere la spensierata allegrezza con cui i cosiddetti leader Pd han commentato la disfatta: 17 province e 4,1 milioni di voti persi. E meno male che Di Pietro ne ha intercettati 1,75 e che, con un po’ di antiberlusconismo dell’ultim’ora, Franceschini ha frenato l’emorragia che con Veltroni, quello della «vocazione maggioritaria», aveva portato il Pd più vicino al 20 che al 30%. Ma il saldo del centrosinistra è -2,4 milioni di voti, mentre quello del centrodestra – 1,4 (Pdl -2,9, Lega Nord +1,5). Altro che «tutto sommato»: tutto detratto, piuttosto. Ora si ascoltano i commenti stupefacenti delle Melandri («con l’antiberlusconismo non si costruisce un progetto di governo») e del Chiamparino, dall’alto dei 10 punti persi a Torino («nostro compito sarà di ricondurre Di Pietro a un’opposizione che non sia fatta solo di antiberlusconismo»). Continuate così. Bene, bravi, bis.
°°° Ho detto le stesse cose quasi ogni giorno, anche oggi. Melandri a fare la calza e il Pd molto più coeso con Di Pietro o andranno per farfalle ad libitum.
IL CAMION DEL REGIME FRANA SULLA GIUSTIZIA E LA LIBERTA’ DI STAMPA
Nervi a fior di pelle nella sede Pdl
Nervi a fior di pelle nella sede Pdl
di Natalia Lombardo
«Silvio non ha fatto campagna elettorale, ecco perché questo calo»: così una parlamentare del Pdl a caldo commenta quei due punti e mezzo persi rispetto alle politiche 2008. Nessun «comizio oceanico, la pancia del nostro partito si mobilita solo quando si muove il leader». E invece no. Le aspettative deluse provocano grande nervosismo nel quartier generale del Pdl in Via de l’Umiltà. Dopo l’una di notte si confermano le proiezioni Rai: 35 per cento al Pdl, 26,8 il Pd, boom della Lega al 9,5 che sta superando in Veneto. I dati che arrivano nella notte fanno scendere ancora il Pdl: una fortissima sconfitta per Berlusconi e il suo partito. Una perdita di 2,4 punti rispetto al 2008, quando il Pdl ha preso il 37,4. Già alle undici di sera le prime proiezioni Sky hanno fatto impallidire gli uomini del Pdl: 39 il Pdl, 27,5 il Pd.
I “colonnelli” pidiellini dopo la gelata del dato Rai sono scomparsi. Saliti al secondo primo piano e chiusi in riunione. All’una scende Denis Verdini arrabbiato: “Questi sono numeri al lotto! Noi abbiamo altri dati, questi conti non tornano”. Se la prende con “l’astensionismo al Sud”, Ignazio La Russa in tv mira sul Capo: “Berlusconi gli ultimi giorni ha fatto campagna elettorale per Pdl e Lega”. Scende Fabrizio Cicchitto infastidito: “Miglioriamo rispetto alle europee, facciamo un passo indietro sulle politiche 2008 per effetto dell’astensionismo”, ma “teniamo rispetto altri governi europei”. Ma sono due punti e mezzo: “Nel 2008 c’erano i pensionati di Fatuzzo con noi…”. Magra consolazione. Maurizio Lupi è scuro in volto, rassegnato su un “36%”. Capezzone aspetta impalato ma non lo intervista nessuno.
I nervi erano a fior di pelle già sul 39%, alle undici. Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato, arriva all’insulto: alla domanda, posta da noi lungo la strada, se non si aspettavano qualcosa di piu’, urla: “ma stai zitta! Basta con queste domande, ma vai a fare il funerale a Franceschini”, attacca entrando in macchina. Piu’civile il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che considera “il 39 un buon risultato” e semmai lo preoccupa la “così bassa affluenza alle urne a Roma”.
Alla chiusura dei seggi nessuno si sbilancia, a via de l’Umiltà, fra buffet con pendette tricolori e telecamere, man mano cresce l’agitazione. “Se arriviamo al 40 per cento dopo questa campagna elettorale andiamo alla grande”, dice Beatrice Lorenzin, l’anti-velina del Pdl. Bonaiuti c’è ma non si vede.
Berlusconi è a Villa San Martino ad Arcore, con il figlio Piersilvio e, forse, anche Luigi, ultimogenito avuto con Veronica. Parlerà oggi, forse addirittura domani. Il traguardo sperato è il 40. Anzi, fino al giorno prima, (pur non potendolo fare) ha sbandierato il boom del “45 per cento”. Il premier ha rinviato il voto fino a ieri pomeriggio alle sei, quando si è recato al seggio 502 della scuola elementare Dante Alighieri di via Scrosati a Milano, dove votava anche mamma Rosa. Ad accompagnarlo Licia Ronzulli, una delle pupille candidate alle europee, e il candidato alla Provincia Podestà. Fuori dal seggio, nonostante il silenzio elettorale a urne aperte, Berlusconi fa campagna elettorale: “L’Italia avrà l’affuenza alle urne piu’ alta d’Europa”, quando di solito è il Belgio, che il Pdl sarà il partito piu’ forte nel Ppe, o su Kakà. E, già che aveva dei giovani davanti, la promessa-spot: «Da settembre partirà il piano casa per realizzare delle New Town».
reato
Accuse al Cavaliere nel libro Einaudi rifiuta Saramago
Il Nobel: con lui c’è da temere per la democrazia
MILANO — Einaudi non pubblicherà Il quaderno, il libro che raccoglie testi letterari e politici scritti sul blog dallo scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998. Ne dà notizia «L’Espresso» oggi in edicola anticipando che l’editore della raccolta di saggi sarà sempre torinese, Bollati Boringhieri, ma soprattutto svelando il motivo della momentanea rottura tra l’autore di Cecità e la casa dello Struzzo. «La nuova opera — scrive Mario Portanova — contiene giudizi a dir poco trancianti su Silvio Berlusconi, che di Einaudi è il proprietario». Saramago è severo con Berlusconi ma anche con gli italiani, il cui sentimento «è indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale». Ma «nella terra della mafia e della camorra che importanza può avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?». L’autore del Quaderno arriva a paragonare il nostro capo del governo a «un capo mafioso ».
«L’Einaudi — spiega per parte sua un comunicato della casa editrice che ha pubblicato quasi tutti i romanzi del premio Nobel — ha deciso di non pubblicare O caderno di Saramago perché fra molte altre cose si dice che Berlusconi è un ‘delinquente’. Si tratti di lui o di qualsiasi altro esponente politico, di qualsiasi parte o partito, l’Einaudi si ritiene libera nella critica ma rifiuta di far sua un’accusa che qualsiasi giudizio condannerebbe».
Saramago, 87 anni, che in questi giorni è nella sua casa di Lanzarote, nell’arcipelago delle Canarie, ha accettato di rispondere via e-mail ad alcune nostre domande. «Non pubblico la mia nuova raccolta di saggi con Einaudi — ci scrive il premio Nobel — perché in essa critico senza censure né restrizioni di alcun tipo Berlusconi, il quale è il capo del governo ma anche il proprietario della casa editrice, come di tanti altri mezzi di comunicazione in Italia. La verità è che quella che si è creata potrebbe essere definita una situazione pittoresca se il fatto che un politico accumuli tanto potere non facesse temere per la qualità della democrazia ».
Lo scrittore portoghese, che si rivelò nel 1982 con Memoriale del convento e che non ha mai nascosto le sue simpatie per la sinistra (si iscrisse clandestinamente al partito comunista portoghese nel 1969 riuscendo a evitare le galere del dittatore Salazar), ci scrive che nessuno gli ha mai proposto di cancellare i passaggi su Berlusconi: «Ho conosciuto la censura durante la dittatura portoghese, l’ho sofferta e combattuta e nessuno in una situazione di apparente normalità democratica mi potrebbe chiedere di amputare una mia opera ».
Facciamo notare che certi giudizi ci sembrano quantomeno eccessivi. Saramago non si scompone: «Le qualificazioni che ho dato di Berlusconi non nascono dalla mia testa ma si basano su informazioni giornalistiche che ogni giorno appaiono sulla stampa europea. Io semplicemente osservo e concludo. Con dispiacere, naturalmente». Insistiamo: perché arrivare a paragonare Berlusconi a un «capo della mafia»? Saramago risponde: «Davvero le sembra esagerato? È sicuro? Almeno mi concederà che ha una mentalità mafiosa».
L’autore del Vangelo secondo Gesù è severo anche con l’Italia: «Quando tutte le opinioni che si diffondevano sulla capacità creativa, sulla modernità e talento artistico erano favorevoli, non ricordo nessuno che si lamentasse di questi giudizi. Ora le cose sono cambiate. L’Italia non è più il Paese che emoziona, ma sorprende non certo per le migliori ragioni. Né l’Italia né coloro che amano questo Paese meritano lo spettacolo politico di fascinazione malata per Berlusconi».
Saramago pubblicherà il suo prossimo romanzo da Einaudi? «Del mio nuovo romanzo, che credo vedrà la luce in autunno, non si è ancora parlato e non so dove porterà questa faccenda ».
Il premio Nobel non sa che altre opere di critica a Berlusconi sono state rifiutate da Einaudi, dalle poesie politiche postume di Giovanni Raboni al Duca di Mantova di Franco Cordelli, sino al Corpo del capo di Marco Belpoliti, che l’autore ha preferito pubblicare da Guanda, però commenta: «Dev’essere duro vivere quando il potere politico e quello imprenditoriale si riuniscono. Non invidio la sorte degli italiani, però infine è nella volontà degli elettori mantenere questo stato di cose o cambiarlo».
Dino Messina
°°° Il vecchio Saramago, dando del delinquente e del capomafia a burlesquoni ha commesso un gravissimo reato: divulgazione di segreto di Stato!
SARAMAGO
COLPACCIO DEL REGIME
Europee
Il governo censura la campagna pubblicitaria dell’Ue
di Simone Collini
C’è una campagna pubblicitaria fatta dall’Unione europea per invitare i cittadini a votare che gli italiani non vedranno. Negli altri paesi sì, sui muri delle principali città d’Europa verranno affissi manifesti come quello raffigurante un massiccio castello da una parte e una verde siepe dall’altra, con la scritta: «Quanto devono essere aperte le nostre frontiere?».
Il Pd ha ora presentato un’interrogazione parlamentare al ministro delle Politiche comunitarie per chiedere al governo il perchè di questa censura. Il sospetto è infatti che alla base della decisione di non dare il via libera a questa campagna ci sia il fatto che non è in linea con i messaggi veicolati dal governo. «Gli italiani hanno il diritto di sapere per quale motivo il governo italiano ha rifiutato di diffondere nel nostro paese i manifesti della campagna», si legge nell’interrogazione presentata al ministro Andrea Ronchi dai deputati Pd Walter Verini, Alberto Losacco, Sandro Gozi e Jean Leonard Touad. E il dito viene puntato proprio sul manifesto dedicato al tema dell’immigrazione, così poco in sintonia con la linea dei respingimenti. Ma ce ne sono anche altri che veicolano messaggi decisamente distanti dalle politiche del governo Berlusconi.
Il Parlamento europeo ha approvato la campagna nelle scorse settimane, con il voto favorevole di tutti i gruppi, compreso il Ppe (quello di riferimento, a Strasburgo, del Popolo delle libertà). Poi i creativi si sono messi all’opera consegnando sei diversi manifesti, con messaggi tematici tradotti in 23 diverse lingue. Ma quelli con le scritte in italiano rimarranno negli armadi.
«Sembra che il ministro Ronchi, interrogato in merito, abbia definito tale campagna “inadeguata”, dicendosi disposto a predisporne una propria», fa sapere Verini. «Corrisopndesse al vero», dice il deputato del Pd, «credo sia necessario ed urgente conoscere le reali motivazioni alla base di una decisione che sarebbe grave ed arbitraria. Una scelta che, alla luce anche delle posizioni di aperto contrasto assunte dal nostro esecutivo perfino con organismi sovranazionali, come avvenuto sul tema dell’immigrazione, rappresenterebbe una nuova conferma della scarsa sintonia del governo italiano con il comune sentire dell’Europa comunitaria».
°°° Amici, questa notizia la trovate solo qui o sull’Unità. Se non è regime questo…
la farsa del mafionano
Berlusconi: «È Veronica
che deve scusarsi con me»
Il premier: «So da chi
è sobillata, il divorzio
potrei chiederlo io»
°°° AMICI, VE LO POSTO TUTTO IL PEZZO DEL CORRIERE, PERCHE’ E’ LA QUINTESSENZA DELLA FALSITA’,DEL MASCHILISMO PIU’ ABBIETTO, E DELLA STATURA MISERABILE DI QUESTO DELINQUENTE:
L’ira del cavaliere: «è la terza volta che mi fa scherzi così in campagna elettorale»
«Veline in lista? No, sono laureate
Ecco la verità sulla festa di Noemi»
Berlusconi: «Veronica è caduta in un tranello, dovrà chiedermi scusa pubblicamente»
Arcore, domenica sera. Una domenica molto diversa da tutte le altre. Silvio Berlusconi è amareggiato. «Sono indignato». Ha letto, con sorpresa, dell’intenzione di sua moglie di divorziare. Prima, afferma, non ne sapeva nulla. «Veronica è caduta in un tranello. E io so da chi è consigliata. Meglio, sobillata. La verità verrà fuori, stia tranquillo». Presidente, e lei pensa che si possa, come in altre occasioni, riconciliare un rapporto che dura da quasi trent’anni, di cui diciannove di matrimonio? «Non credo, non so se lo voglio io questa volta. Veronica dovrà chiedermi scusa pubblicamente. E non so se basterà. È la terza volta che in campagna elettorale mi gioca uno scherzo di questo tipo. È davvero troppo».
E i figli? Non dovete pensare ai tre figli, e poi c’è un altro nipotino in arrivo? «I figli sono solidali con me». «Sa come chiamo io tutto quello che è accaduto in questi giorni? Criminalità mediatica». Non esageri, presidente, Repubblica e Stampa hanno fatto semplicemente il loro lavoro. E non le dico la mia sofferenza. No, sostiene il Cavaliere che c’è un disegno. Una manovra per metterlo in difficoltà ed esporlo persino al ridicolo, proprio nel momento in cui la sua popolarità è al massimo. E sua moglie ne sarebbe diventata complice inconsapevole. «Veronica è semplicemente caduta in un tranello mediatico». Sì, ma le veline le avete messe in lista e poi, dopo la lettera di sua moglie all’Ansa («Ciarpame senza pudore, io e i miei figli siamo vittime… ») le avete tolte? «Guardi, direttore, voglio dirlo una volta per tutte, e chiaramente: non avevamo messo in lista nessuna velina e quelle tre che sono state escluse all’ultimo minuto erano bravissime ragazze, con ottimi studi. Altro che veline. Veronica ha creduto alle tante cose inesatte scritte sulla stampa, purtroppo».
E le tre ragazze entrate effettivamente nelle liste delle candidature per le europee? «Lara Comi ha due lauree, ha coordinato i giovani del Pdl in Lombardia, è dirigente della Giochi Preziosi. Mai andata in tv. Licia Ronzulli è una manager della sanità di altissimo livello, è responsabile delle professioni sanitarie e delle sale operatorie del Galeazzi; l’imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli la stima molto, va due volte l’anno in Bangladesh. Barbara Matera è laureata in scienze politiche, me l’ha consigliata Gianni Letta, è la fidanzata del figlio di un prefetto suo amico. Ecco, ha fatto una parte in Carabinieri 7 su Canale 5, ma mai la velina. Insomma, mi creda, è una montatura. Parliamo di tre ragazze in gamba su settantadue candidati. E che male c’è se sono anche carine? Non possiamo candidare tutte Rosy Bindi... ».
Presidente, e poi c’è la festa napoletana della giovanissima Noemi Letizia, alla quale lei ha partecipato a sorpresa. «Anche qui sono state scritte cose inesatte. Le racconto come è andata veramente. Quel giorno mi telefona il padre, un mio amico da tanti anni. E quando sa che in serata sarei stato a Napoli, per controllare lo stato di avanzamento del progetto per il termovalorizzatore, insiste perché passi almeno un attimo al compleanno della figlia. Solo due minuti, mi assicura. La casa è vicina all’aeroporto. Mi faresti un grande regalo. Non molla. Io non so dire di no. Eravamo in anticipo di un’ora e ci sono andato. Nulla di strano, è accaduto altre volte per compleanni e matrimoni. Pensi che ho fatto le fotografie con tutti i partecipanti, i camerieri, persino i cuochi. Le pubblicherà Chi sul prossimo numero perché me le ha chieste quel diavolo di Signorini». D’accordo, presidente, ma perché quella ragazza Noemi la chiama papi? «Ma è un scherzo, mi volevano dare del nonno, meglio mi chiamino papi, non crede?».
Quell’episodio, dice Berlusconi, è stato montato ad arte. E Veronica avrebbe creduto a molte delle versioni, false, sulla serata napoletana, domenica 26 aprile, conclusa con un incontro con Aurelio De Laurentiis. Quella sera il suo Napoli aveva battuto l’Inter, facendo un favore al Milan nell’inseguimento impossibile alla capolista. «Ho ringraziato De Laurentiis che si è fatto perdonare a metà l’eliminazione dalla Champions’ League che ci inflisse, battendoci, nello scorso campionato».
Amareggiato e deluso, Silvio Berlusconi non pensa che questa volta sia possibile una riconciliazione. Arcore e Macherio, dove risiede la moglie, sono vicine. Gli amici comuni se lo augurano. Basterebbe poco. Una spiegazione franca, come succede fra coniugi. Ma nella domenica quasi estiva di Arcore l’aria è molto diversa dalle altre volte. E il Cavaliere è offeso. Chi lo conosce bene dice che questa volta, per riconquistare Veronica, non andrà di sorpresa al suo compleanno a Marrakesh, avvicinandola vestito da berbero per poi svelarsi di colpo con un bellissimo gioiello in regalo. Ma non si sa mai. Il nostro modesto auspicio è che ciò avvenga. Magari in forma del tutto privata.
(f. de b.)
°°° Una marea di cazzate, amici miei. Come al solito. Noto soltanto due cose che stridono troppo:
a) le “veline” laureate… come lui, che si è comprato persino la licenza elementare? Come la Gelmini, che si è comprata la laurea a Reggio Calabria?
b) Va a Napoli per seguire il termovalorizzatore DI NASCOSTO? Lui, che non va nemmeno a pisciare senza le telecamere? E poi, siccome la villetta di Noemi è vicina all’aeroporto, decide di fare una scappata di DUE MINUTI… però le porta un preziosissimo collier di oro e brillanti… roba che si tiene abitualmente nel cruscotto della macchina… e fa le foto con tutti i cuochi e i camerieri. Dunque… se il papi vero della squinzia è un misero impiegato del Comune – e quindi, come tutti gli impiegati NON RIESCE AD ARRIVARE A FINE MESE… chi cazzo glieli ha pagati i cuochi e i camerieri, per non parlare del resto della festa da Mille e una notte?! Infine, dice AL PAPPONE: ” È la terza volta che in campagna elettorale mi gioca uno scherzo di questo tipo. È davvero troppo.” Oh, cribbio! Sia la ex moglie che i magistrati lo beccano SEMPRE sotto elezioni… Ma roba da matti! Il fatto è che in questo paese SIAMO SEMPRE sotto elezioni. Ma se tu ti comportassi da UOMO con tua moglie e da persona ONESTA nella vita… nessuno ti romperebbe i coglioni, né sotto elezioni, né mai!
O mafiolo, MA VAI A CAGAREEE!
Da Travaglio
Garantisti con le mèches
Brutto colpo, per i garantisti arcoriani, il proscioglimento di Luigi De Magistris dalle false accuse di una toga lucana. Il Giornale della ditta l’ha preso maluccio, affidando la notizia alle cure del rosicone con le mèches. Questi sostiene che De Magistris non ha mai chiuso un’inchiesta (già, gliele scippavano prima) e tenta di sminuire la sentenza spiegando che la gip che l’ha emessa è nientemeno che la moglie del fratello di Michele Santoro. Senza contare che «un cognato di De Magistris è pm a Catanzaro e una zia di sua moglie lavora al Quotidiano, schieratissimo a suo favore». Roba grossa. Il fatto che l’archiviazione l’abbiano chiesta tre pm di Salerno che non risultano parenti di De Magistris né di Santoro, è ininfluente (un deputato di An insinuò in un’interrogazione che la pm fosse l’amante di De Magistris; ma anche i due pm maschi erano pazzi di lui). Così come il fatto che nessuno conosca le idee politiche del fratello di Santoro né della di lui moglie. Dettagli: la cognata è prevenuta per definizione. Verde di rabbia, Colpodisole riesce persino a definire «smaccate» le «prove dei reati attribuiti a De Magistris». Ora, per il nostro Codice, le «prove» si formano al processo, che qui non si farà mai perché non esistono nemmeno «indizi». Concetto troppo complesso per i garantisti de noantri. Ed eccole, le «prove»: le telefonate di alcuni cronisti a De Magistris. Ma qui Colpodisole ha ragione: parlare con i cronisti è reato. Se avesse parlato coi delinquenti, come certi suoi colleghi, De Magistris sarebbe ancora a Catanzaro. O scriverebbe commenti sul Giornale.
GIORDANO COL CANE DI BURLESQUONI