Salute e grano a tutti!

Un “governo di salvezza nazionale”, alternativa per il 2013 o per l’emergenza

La Bonino si sbilancia: “Le probabilità che Berlusconi cada sono al 50%”

L’alleanza trasversale

che lavora al dopo-Silvio

di MASSIMO GIANNINI

GLI AMICI SE NE VANNO…

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C’E’ chi sostiene che il dopo-Berlusconi abbia già un nome. Si chiamerebbe “governo di salvezza nazionale”. Ci lavorano in parecchi, nell’ombra e a cielo aperto. Per offrire al Paese un’alternativa nel

2013, nel caso in cui questo governo riuscisse miracolosamente a superare le colonne d’Ercole del Lodo Alfano, delle elezioni regionali, dei nuovi guai giudiziari e dei vecchi vizi personali del premier. Oppure per tenersi pronti all’emergenza immediata, nel caso in cui la legislatura incappasse in un traumatico incidente di percorso. Ieri, per i corridoi di Palazzo Madama, Emma Bonino si sbilanciava con un collega: “Le possibilità che per qualche ragione il governo cada, a questo punto, sono al 50%…”. Alte, com’è evidente. Per questo, tra maggioranza e opposizione capita di sentire personaggi autorevoli che dicono “bisogna creare un campo più vasto di forze”, capaci di reggere l’urto di una crisi e di “mettere in sicurezza il Paese”.

Chi c’è dietro questo disegno? Per capirlo, basta seguire la “catena” degli attacchi forsennati che il Cavaliere sta menando in queste ore. Nel centrodestra il primo “anello” è Gianfranco Fini. Il presidente della Camera è in costante movimento. Indicativo l’incontro di ieri sera con Rutelli, insieme a lui destinatario dell’offerta di Casini, lanciata agli stati generali dell’Udc di domenica scorsa, a “sapersi prendere per mano nella diversità e guardare al futuro del Paese”.

Chi gli ha parlato, in questi giorni, lo descrive più determinato che mai a combattere la battaglia politica contro il premier, e quella giudiziaria contro il suo “Giornale”. “Stavolta Gianfranco non arretrerà…”, ripete da giorni l’amico e ministro Andrea Ronchi. Se rispondesse solo al suo istinto, dopo il killeraggio di Feltri se ne sarebbe già andato via dal Pdl. Ma capisce che, come la vecchia talpa, è ancora in quel campo che deve “ben scavare”. E sta scavando. Ciascuno dei temi sui quali affonda il colpo è un potenziale destabilizzante, che mette in mora il Cavaliere e in sofferenza la Lega. “Il Secolo” lo spalleggia. “Farefuturo” non cede di un millimetro sui temi sensibili. Anche la lettera dei “50 riservisti” è servita allo scopo. Ha confermato che Fini è minoritario, dentro il Pdl. Ma ha dimostrato che è in campo, e che al momento opportuno le sue “divisioni” degli ex di An le possiede, e le può schierare.

Poi c’è Giulio Tremonti. Il ministro dell’Economia, fino a qualche tempo fa, era il “genio dei numeri”. Ora, per il Cavaliere, è già diventato il “difficile genio”. Una sfumatura, ma da il segno di un distacco, o quanto meno di un sospetto. Tremonti non fa nulla di visibile, per alimentarlo. Ma continua a scontentare tutti i colleghi ministri che battono cassa al Tesoro, e soprattutto accumula nuovo potere, attraverso le nomine pubbliche. Intanto accresce progressivamente la sua “caratura”. E i suoi “vezzi cattedratici – come dice Giuliano Ferrara – non fanno ombra al suo rango politico sempre più alto”. In questi mesi ha curato a fondo i rapporti con la Chiesa. E non ha mai smesso di dialogare con una parte dell’opposizione. L’intervista di due giorni fa al “Corriere della Sera” è indicativa: il ministro fa il “pacificatore”, apre a Fini e propone una “tregua” non solo e non tanto al Pdl, ma al Pd “che uscirà dal congresso”, offrendogli “un ruolo preminente” da “interlocutore responsabile”.

E qui sta il terzo anello di questa catena. È Massimo D’Alema. Da anni viene additato (anche nel centrosinistra) come potenziale “inciucista”. Ma da giorni l’ex ministro degli Esteri è a sua volta sotto il fuoco incrociato di “Libero” e del “Giornale”, per i suoi incontri in barca con Tarantini. E l’altroieri sera, a “Porta a Porta”, il Cavaliere è tornato a sparargli contro, con una violenza che non si ricordava da tempo. “Un vecchio comunista, che usa espressioni da vero stalinista”. Un’uscita quasi a freddo. Che non si spiega se non in nome del “solito sospetto” complottista. Ma al di là delle ossessioni berlusconiane, è vero che D’Alema è tornato a tessere la sua tela. Non solo nel suo partito, con l’obiettivo di far vincere Bersani. Ma anche con l’intenzione di giocare la partita in “campo avverso”.

Con Fini il rapporto è sempre più stretto. Due giorni fa si sono parlati a lungo, perfino della comune querela contro il “Giornale”. Intanto “Italianieuropei” e “Farefuturo” preparano un grande convegno sull’immigrazione, in una città leghista come Asolo. Con Tremonti il rapporto non si è mai interrotto. Associato proprio dal ministro all’Aspen Institute come “membro autorevole”, D’Alema ha parlato ieri sera, con lo stesso Tremonti, Sacconi, monsignor Ravasi e Riccardi, in una tavola rotonda a porte chiuse sul tema “Dalla verità al dono: il bene comune”. Intanto i due preparano un grande convegno sul Mezzogiorno, nel quale discuteranno di quella “questione meridionale che oggi è più mai questione nazionale”.

Il quarto anello si chiama Pierferdinando Casini. Il leader dell’Udc sta lottando per non farsi risucchiare dal Pdl, come vorrebbe la logica inesorabile del potere. La riscoperta della vena rivoluzionaria delle camice verdi di Bossi lo aiuta, come dimostra la risposta “dura e pura” che i centristi hanno dato domenica a Chianciano. Ma Casini ha bisogno di sponde. Il Pd gliela offre. Nella versione di D’Alema, sul solito schema del “centro-sinistra col trattino”. I due ne parlano quasi quotidianamente. “Casini – continua a ripetere da tempo il Lider Maximo – è interessato a trovare una soluzione comune per la fuoriuscita dal berlusconismo, e nel lungo periodo è pronto a un accordo strategico se gli offriamo una riforma elettorale sul modello proporzionale alla tedesca”.

Queste sarebbero le forze in campo per l’ipotetica “alternativa”. Ma è un’alternativa credibile? Le incognite sono tante. La prima, ed è gigantesca, si chiama proprio Silvio Berlusconi. È stato legittimamente eletto dagli italiani. Conserva un indice di fiducia elevato. Chi e che cosa dovrebbe farlo cadere non è ancora chiaro. Certo, appare sempre più debole, irascibile, vulnerabile. La decisione della Consulta sul Lodo Alfano può essere esiziale, benché Feltri abbia scritto che se ne può approvare un altro in un amen. Ma perché dovrebbe uscire di scena, se il processo Mills pur ripartendo finirebbe quasi certamente con l’ennesima prescrizione?

La seconda incognita si chiama Giorgio Napolitano. Che farebbe il Capo dello Stato, se il Cavaliere volesse usare l’arma, potenziata dall’esplosivo leghista, delle elezioni anticipate? Chi gli ha parlato, in questi giorni, racconta di un presidente della Repubblica molto più preoccupato dei danni che il premier può fare qui ed ora, tra la “strategia della tensione” e l’uso dei dossier, l’avvelenamento dei pozzi della politica e il totale “sgoverno” del Paese. Come ha ammesso qualche giorno fa un commensale che sedeva con il presidente a cena, al Quirinale, “la lenta agonia del berlusconismo potrebbe assumere forme non lineari”.

Ad ogni modo, se per qualche motivo Berlusconi cadesse, il “governo di salvezza nazionale” sarebbe un governo politico, non tecnico. Dunque no a ipotesi alla Mario Draghi, semmai un incarico proprio a Fini, terza carica dello Stato. C’è persino chi sostiene che sarebbe già scritto un programma: riforma del sistema politico, con abbattimento del numero di parlamentari, consiglieri regionali e comunali; riforma del Welfare, con radicale riforma dei contratti di lavoro sul modello Ichino-Boeri; riforma della spesa pubblica, con massicci tagli e dirottamento di risorse verso la scuola, la ricerca e l’innovazione.

Sembra fantapolitica. Forse lo è. Ma anche di questi scenari, sia pure costruiti a tavolino, si discute in questi giorni. Il Cavaliere lo sa. Anche per questo è nervoso, e a tratti furioso. Raccontano che D’Alema lo abbia detto a Fini, qualche giorno fa: “Il tuo premier, ormai, non è più nelle condizioni, politiche e psicologiche, per negoziare alcunché…”. Ma se questo è vero, c’è da essere ancora più allarmati sui destini del Paese.

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