Non ci credo!

(da Repubblica)

LA LETTERA / Un residente dell’Aquila, sfollato sulla costa va a trovare un cugino
ospite di un camping a Tortoreto. E gli chiedono 5 euro per l’ingresso
“Io, terremotato, devo pagare
per entrare nel campeggio”

La struttura che ospita, ovviamente, è rimborsata dallo Stato
Episodi analoghi denunciati da diverse altre persone

Il camping Salinello di Tortoreto

camping

“Scrivo alla Vs redazione sperando che almeno voi possiate dare voce a chi sta diventando sempre più invisibile, a dispetto delle belle notizie che vogliono far trapelare. L’episodio che sto per raccontare è ovviamente accaduto in presenza di testimoni.

14 giugno 2009. Ore 15 circa. Insieme alla mia ragazza, mi reco al campeggio Salinello di Tortoreto per andare al compleanno di suo cugino. Siamo tutti residenti a L’Aquila e domiciliati sulla costa a seguito del terremoto del 6 aprile scorso.

Come le volte precedenti, entro alla reception pronto a dare il documento, per ricevere in cambio il bracciale di riconoscimento per poter circolare liberamente all’interno dell’impianto.

Questa volta, però, la signorina chiede gentilmente di “pagare l’ingresso”. Al mio primo stupore, segue la domanda: “Ingresso? Non sono venuto a fare le vacanze. Siamo tutti sfollati e noi vogliamo solo entrare per visitare un vostro ospite, un nostro parente, sfollato come noi. Altre volte non avete chiesto che i documenti. Cosa è cambiato? E perché?”.

La signorina si impappina e mi guarda stralunata. Non voglio litigare, quindi chiamo la madre della mia ragazza che è domiciliata al Salinello. Arriva la signora ma non c’è verso di fare capire alla signorina della reception che se siamo lì non è per una gita di piacere, né per la tintarella. C’è addirittura un padre (sempre sfollato, ovviamente) che dovrà pagare per andare a trovare il figlio per il suo compleanno. Niente.

Cominciano ad alzarsi i toni e alle nostre proteste nel sentirci dire che i domiciliati sono liberi di uscire per incontrarsi con chi vogliono, seguono sconcertanti frasi dal tono vagamente umiliante: “Ma vi ci trovate tanto bene nella parte?”. Personalmente trovo schifoso il comportamento della direzione, lo concretizzo con un “dovreste solo vergognarvi!” ed esco. Morale della favola: 10 euro per una visita di due persone (che, per la cronaca, può durare anche un’ora, ma sempre quello è il prezzo).

Mi chiedo quante volte alcune strutture vogliono fare cassa, per l'”ospitalità” che “offrono”. Una volta dallo Stato e una volta dagli stessi terremotati. Mi chiedo chi sono i veri sciacalli. Mi chiedo persino se non siamo troppo fessi noi che ci facciamo trattare così.

Mi chiedo chi dovrebbe tutelare delle persone che oltre alla casa, agli affetti, al lavoro, stanno perdendo persino il rispetto degli altri.

Mi chiedo: se a soli due mesi dalla tragedia la cosidetta solidarietà è scesa a livelli così infimi, cosa succederà questo inverno?

Mi chiedo tante cose ma la sola cosa che riesco a sentire è solo la voce di una signorina che chiede se mi piace così tanto calarmi in questa parte e vorrei che lei e tutti quelli come lei potessero per un solo secondo ascoltare quello che abbiamo sentito una notte di poco più di due mesi fa. Vorrei farle piovere addosso di colpo giornate passate davanti a un sito internet.

Giornate, settimane, mesi… ad aspettare che venisse pubblicata la propria casa come agibile perché, a noi, come a migliaia come noi, il sole e il mare possono scaldare la pelle, ma non il cuore. Vorrei farle vedere i nostri luoghi. Diventati posti sfigurati e irriconoscibili, brulicanti di gente venuta da fuori, che non conosce e non ci conosce. Vorrei farle provare per un attimo quello che siamo stati, quello che siamo e quello che saremo, per chissà quanto altro tempo.

Non so quanto dovrà fare L’Aquila per rinascere, ma senz’altro dovrà volare molto più in alto di certe meschinità.

Grazie infinite per il Vs prezioso aiuto e per il lavoro che svolgete”.

Stefano Falone
Ricercatore precario

°°° Come vedete, amici e cittadini che credete ancora alle minchiate di burlesquoni, questo regimetto non ha fatto NULLA per i poveri terremotati e, secondo me e visti i precedenti della Puglia del 2002, NON FARA’ ASSOLUTAMENTE NIENTE. Gli sfollati potranno contare solamente sugli aiuti umanitari dei cittadini e su qualche mano dall’estero. Se Mafiolo e la sua cosca non avranno già fatto sparire anche quei soldi.

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Un pensiero a Francesco

FRANCESCO SALIS

Ai media regionali non è fregato niente, impegnati come sono a celebrare qualunque merda inutile e senza pregio, ma due anni fa è mancato il più grande compositore sardo di tutti i tempi e uno dei più grandi chitarristi europei. E’ mancato un uomo buono e meraviglioso. Molto più bravo di me nell’arte della diplomazia, forse troppo. Troppo schivo e timido. Infatti, che fosse un genio della musica lo sappiamo solo io, pochi intimi, Phil Spector, Brian Epstein, George Martin, Fabrizio De Andrè e tutti i più grandi addetti del mondo, oltre ai musicisti italiani bravi e non dei nostri tempi.

Non c’è più mio cugino, che era molto più di un fratello per me. Se n’è
andato FRANCESCO SALIS.

Insieme abbiamo scritto canzoni, quando nessuno in Sardegna scriveva
canzoni. Abbiamo fatto tanti spettacoli live di una dignità e di una
professionalità che qui non si erano mai viste. Ma mica perché eravamo i più bravi di tutti! No, semplicemente – oggi lo posso dire a voce alta – perché abbiamo avuto più coraggio degli altri. Noi siamo andati a IMPARARE, cosa che non aveva fatto mai nessuno prima e che tantomeno fanno i giovani di oggi. Troppo più comodo stare a casetta propria, con la mamma che lava, stira e cucina e babbo che sgancia qualche soldo. Il talento da solo non basta. Il talento è come l’amore: va coltivato, va aiutato a crescere, va coccolato e servito. Ci vogliono sacrifici, tanti, se si vuole mettere a frutto una dote naturale. E ci vuole umiltà. E così, mentre qualche nostro coetaneo andava ancora a scuola e qualcun altro passava le giornate al bar, noi abbiamo fatto fagotto a sedici anni e siamo partiti per Roma. Io facevo il cameriere e studiavo, andavo a vedere tutti i film e tutti gli spettacoli
che potevo per poter “rubare” un po’ di mestiere a tutti quelli bravi.
Volevo fare l’attore. Francesco suonava con tutti i mostri sacri dell’epoca, taliani e internazionali. E anche lui rubava tecniche e mestiere a tutti.
Ricordo ancora che dormivamo in una pensionaccia con uso cucina nei pressi
della stazione Termini. “S’Aquila” chiamavamo la vecchia padrona, perché strillava sempre ed era brutta come una bolletta dell’Enel. Io staccavo a mezzanotte dal mio lavoro alla Taverna Ulpia, che allora era un locale dilusso ai Fori Imperiali, levavo la giacca bianca per indossarne una nera e filavo, elegante come un figurino in smoking, alla volta del Capriccio o del Pipistrello, piuttosto che del Tucano o qualche altro night di via Veneto.
Raccontavo qualche storiella in francese e in inglese, avevo diritto a uno spuntino, verso le due, e al pomicio libero se c’era qualche fata
disponibile. Eravamo in piena DOLCE VITA e tutti gli attori e le attrici più
famosi del mondo erano lì. Sembrava di vivere in un film di Hollywood. Lì c’era anche Francesco che suonava, prima coi Barritas, poi con Edoardo Vianello e infine coi Poker d’Assi, e faceva delle session da capogiro con Riccardo Rauchi o Basso e Valdambrini, piuttosto che con Barny Kessel o Miles Davis o Carosone al piano. Poi, verso le cinque del mattino, rientravamo a piedi e, mentre io e gli altri musicisti andavamo in letargo, lui smontava la chitarra, metteva le corde a bollire poi le asciugava con cura e lerimontava, accordava e – in sordina – provava tutte le cose nuove, gli accordi o i passaggi e le svisature che aveva imparato anche quella notte dai grandi. Io spesso dormivo con un occhio solo e mi addormentavo sorridendo. Chissà quanti dei ragazzi di oggi sarebbero capaci di fare altrettanto. Suonare con amore per dieci/dodici ore di fila, intendo. Oggi vedo molta tecnica e poco cuore nei musicisti nostrani. I ricordi sono troppi. Troppi anni abbiamo vissuto insieme e mai abbiamo trascorso un giorno banale. La mia memoria vola come un’ape e ogni tanto si ferma a succhiare un momento. Rivedo le notti in cui tornavamo da qualche serata nel sassarese o nel nuorese e ci fermavamo a “fare la spesa” in qualche campo di carciofi novelli, ai margini di Santa Giusta. Francesco, col suo spolverino bianco, l’avrebbero visto a un km di distanza, infatti non vedeva l’ora di
smarcarsi dal campo: “Ajò, sussurrava, svitàndi atrus quattru o quìndisci e andàusu” (Dai, svitane altri quattro o quindici e andiamo). Rivedo noi, Salis&Salis ragazzini, quando incidemmo il nostro primo LP a Milano.
Lo producevo io e non avevo tantissimi soldi. Dovevamo fare presto: lo studio di registrazione costava una tombola ogni ora. Finite tutte le basi in un giorno e mezzo (allora c’erano molti colleghi che per fare un disco impiegavano anche tre o quattro mesi di studio), mancava poco alla pausa pranzo e chiesi a Francesco: “O Leo (diminutivo di LEONE DI DAMASCO, come lo chiamava Buscaglione perché, quando partiva con un assolo particolarmente impegnativo aveva la grinta di un leone), te la senti di fare qualche assolo prima di andare a brucare?” E lui, poggiando l’acustica e imbracciando la Fender Stratocaster: “Ehia, dai… due o trenta li proviamo a fare.” Io davo di gomito all’ingegnere del suono, in regia, e gli dicevo di preparare la pista per gli assoli. Ricordo ancora la sua faccia: “In mezz’ora? Ma non fa in tempo a farne nemmeno uno, specialmente se improvvisa.” Lo compatii e scommisi la cena. Leo controllò l’accordatura: perfetta. “Parti con le basi.” Tredici assoli in quaranta minuti. Il tecnico ci pagò una lauta cena.
Qualche anno più tardi, a Roma, io lavoravo e studiavo. Vivevo con una
famosa cantante in piazza Firenze. Lui suonava con Vianello e la Goich e
dormiva a casa della sorella Gianna a Montemario. Ci trovavamo almeno due sere a settimana a piazzale degli Eroi, intorno a mezzanotte. Francesco arrivava con una 500 rossa vecchio modello e parcheggiava sotto un lampione: avevo bisogno di luce. Poche parole. Era un rito consolidato. Apriva il deflettore per permettere al manico della chitarra di uscire, io aprivo il mio blocco e cominciavamo a comporre le nostre canzoni più belle. Una notte di primavera, faceva freschetto ed eravamo imbacuccati, mentre eravamo tutti intenti a scrivere un pezzo per Caterina Caselli, ci compaiono davanti due poliziotti: “Documenti. Patente e libretto.” Tiriamo fuori i documenti, ma uno dei due insiste: “Patente e libretto.” Noi ci guardiamo in faccia e cominciamo a ridere. Una risata nervosa che non finiva mai. Francesco, tra le convulsioni, fa: “Patente a me?! MAI AVUTO PATENTE, IO!” E giù a ridere.
I due agenti, non sapendo esattamente come reagire e non volendo, presumo, danneggiarci, cominciarono a ridere anche loro e quello che sembrava il capo ci rese le carte d’identità e diede una manata alla macchina: “Ma annatevan’affanculo! ‘A stronzi! Forza, sgombrate. Annate a casa a smaltì!” Ce la cavammo, e quella canzone non la incise mai la Caselli, ma “The 5th Dimension”, subito dopo il successo planetario di “Acquarius”. Scusate se è poco.

Chiudo il librone dei ricordi con le ultime immagini che ho di Francesco.
Due anni fa, mi ha convinto a riprovare a comporre insieme. Aveva tante
bellissime musiche e tanti spunti e in Sardegna, ripeteva, non c’era nessuno in grado di scrivere parole come si deve. “Forza, Di Santa, aberri su bloccu magicu! Faimmì sognài.” (Forza, Di Santa – un nome d’arte ridicolo che mi ero inventato quando volevo fare l’attore a Cinecittà: LUCIO DI SANTA (sottinteso: GIUSTA) – apri il blocco magico e fammi sognare.)
Era scarno e affaticato, sembrava Eduardo quando da vecchio faceva il vecchio. Gli occhi gli brillavano solo quando arrivavo io a casa sua e poteva rimettere in funzione chitarra e registratore.
Abbiamo composto quindici bellissime canzoni in meno di un mese: la più scarsa potrebbe agevolmente vincere un qualunque Sanremo.
Forte del mio nome, ho mandato i CD dei provini a tre delle maggiori multinazionali del disco. Cercavo un editore e un contratto, almeno per Francesco, ché non poteva campare con due soldi di pensione. Gli avevano aperto il petto già tre volte e nessun chirurgo ci voleva più mettere le mani. I politicanti sardi, sempre pronti a foraggiare
dei lestofanti cagliaritani o nuoresi senza arte né parte, ignoravano
Francesco. Spero che il sindaco di Santa Giusta, si ricordi di intitolargli
almeno una strada. Mandai i CD, dicevo, e questi boss della editoria
musicale, molto cortesemente, ascoltarono il materiale e mi risposero nel
giro di una settimana. Sconfortante. Il più intelligente fra loro, il capo
della Sony, mi disse: “Ma, Lucio, che roba mi hai mandato? Senza
arrangiamenti, così miserine. Noi stiamo cercando roba alla Britney Spears!”
“E chi è? Ma sei un editore o cosa? I brani devono vivere anche chitarra e voce. Le cagatine che dici tu, quando gli togli gli arrangiamenti e la gazzosa non esistono. Io ti ho mandato dei pezzi che saranno validi anche tra cinquant’anni. Pensaci bene: chi cazzo te lo paga lo stipendio? Te lo dico io, non certo Britney Spears, i Beatles te lo pagano, Modugno te lo paga! Scemo!”
Scusami, Francesco, questa volta non ce l’ho fatta a fare la magia.

Lucio

°°° Amici, perdonatemi questa botta di nostalgia. Grazie.

francesco-tonietto

salis

checco

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