Ma che Sardegna è?

Volevo tornare a parlare della Sardegna e dei sardi. Sono mancato da questa terra per circa quarant’anni e nessuno come chi manca vede poi le magagne, i ritardi, lo sfascio quasi totale in cui versa ora quest’isola. E’ un po’ come tuo fratello o tua zia, che vive in un’altra città e si accorge molto più di te di come crescano i tuoi figli. Tu, avendoli sempre sotto gli occhi, non te ne rendi manco conto, ma chi non li vede da mesi o da un anno nota immediatamente le differenze. Però… il sardo è permaloso. Il sardo è geneticamente stupido e masochista. Anche i più avveduti e “usciti” di noi. E certe cose non si possono dire. La reazione va dal muso lungo, che Furia ti fa una pippa, alla risposta sgarbata, al piccolo rancore che si annida immediatamente in un angolo della tua bile e scatta la minaccia muta: “Custa mi dda pàgasa…”
Avevo lasciato una Sardegna VIVA. Proprio come si chiamava il mio spettacolo, che ancora oggi è stato il più visto e amato in tutta la storia dello showbiz regionale. Una Sardegna in fermento, pulsante, curiosa, colta. Ricordo che ogni tanto mi chiamavano dal “continente” per fare l’apertura agli spettacoli di personaggi molto famosi, nei teatri o nelle arene: Pippo Baudo, Antonella Steni, Franca Valeri; minitour negli stadi con Il Banco del Mutuo Soccorso o tournée coi miei amici Tony Binareli, Mario Tessuto, ecc. Beh, qui capivano anche le battute più sottili, le citazioni più colte, le allusioni più raffinate. Qui non ero mai arrivato: venivano a vedermi decine di migliaia di persone ogni sera, stavano almeno tre ore in piedi come cavalli, e mi contavano i peli del culo. Pretendevano. Erano esigenti. Per me ogni volta era un esame. Ma che soddisfazione, ragazzi! In continente, bastava che caricassi parecchio l’accento sardo e, anche quando non c’era la battuta, giù valanghe di risate. QUELLA Sardegna, mi portavo nel cuore. Così come tutti i migranti hanno un’immagine onirica della loro terra. Un’icona spesso inesistente e assolutamente lontana dalla realtà. La Sardegna, per intenderci, che ci vendono i videocitofoni regionali, negli spettacolini penosi dove hanno distrutto anche il folklore. Noi vedevamo il sole e le sue facole. Lo fissavamo il sole, da pari a pari. Oggi c’è un’ignoranza dilagante, fatta di Suv (mai finiti di pagare) e di cellulari, messaggini sgrammaticati e videogiochi. Oggi ci sono più gruppi folk che paesi e cantantini in limba… inutili come una bici da corsa per una seppia. Sapete, quei gruppi con costumi spesso inventati e i ballerini con le scarpe da tennis e gli orologi bene in vista? Oggi c’è una Sardegna banale, imbevuta di luoghi comuni. E questa immagine falsata è quella che domina anche FUORI da qui. “L’ospitalità dei sardi”… Ma quale ospitalità? E’ leccaculismo, ruffianeria. “La grande umanità della gente sarda…” Viene il primo stronzo da fuori e subito gli dànno il culo. Scoppia la bombola alla vecchietta vicina di casa e manco esci a vedere se la poveretta ha bisogno d’aiuto. “La generosità dei sardi…” L’invidia, piuttosto. Apri un negozio nel tuo paese e la gente va a comprare nel paese vicino, pur di non permetterti di crescere, di affrancarti dalla miseria, di avere la lavatrice o la macchina nuova. Questo, siamo diventati! Un popolo miserabile, ingrato, retrogrado e senza più dignità! Raccontavo in teatro del dopo diluvio… il Signore, per premiare la forza d’animo e l’attaccamento alla vita dei sardi sopravvissuti, aveva donato ad ogni famiglia una grassa vacca. Erba ce n’era a volontà e i piccoli cuccioli degli uomini avrebbero avuto di che sfamarsi per crescere. Ogni sera, intorno ai falò e nelle grotte, si levavano alti i canti e le preghiere dei protosardi. Ma non pregavano per la salute delle loro vacche… macché: pregavano il Signore Iddio affinché facesse ammalare e morire la vacca dei vicini!
Ecco… in questa Sardegna, dove sono tornato sette anni fa, carico di onori e di gloria, carico di esperienze irripetibili e con un nome ed un bagaglio professionale che mai nessun sardo aveva nemmeno sognato di possedere, le istituzioni non hanno bisogno di me. Ti attirano con l’esca profumata: TORNA, METTI A DISPOSIZIONE DELLA COMUNITA’ IL TUO SAPERE, LA TUA ARTE: AIUTA I NOSTRI GIOVANI A CRESCERE… tu ci caschi e loro ti ignorano. QUESTA Sardegna mi ha derubato dei miei soldi, dei miei anni, e mi ha relegato in un villaggio sperduto tra i monti a morire di fame. Questa Sardegna, amici, la stessa che ha dato il culo a Berlusconi e Cappellacci.

sardignoli

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Io c’ero…

Oggi si festeggia una ricorrenza che mi ha visto ancora una volta testimone. A quel tempo, eravamo considerati degli straccioni (ancora non si usavano le parole: capelloni, beatniks, hyppies, figli dei fiori…) e sia Erode che i romani non ci vedevano di buon occhio. Se è per questo, non ci amavano molto nemmeno Caifa e i farisei. Ho vissuto questa storia dall’inizio e tutti i miei amici dell’epoca possono ben testimoniarlo: Bill Gates, Nelson Rockfeller, Gianni Minà, Sergio Bruni, Maria Rosaria Omaggio,il vecchio Bloomberg, Giuliano dei Notturni e Donald Trump… che era un po’ come il Gasparri di oggi: ottuso e balordo. I ricordi sono confusi, ma delle immagini chiarissime mi si affacciano alla mente. Come quei due hyppies, Giuseppe e Maria, che avevano noleggiato una guida di nome Bertolaso rivelatosi presto un asino. L’avevano conosciuto al Bar Abba e si erano fatti portare fino a Betlemme. Ricordo anche il clamore che fecero i due al loro arrivo: Maria infatti era stata la prima donna a ricorrere alla fecondazione artificiale e all’epoca non era roba da poco. Tutte le carovane e tutti i bivacchi parlavano di questa bella ragazza e del suo vecchio marito che non sapeva usare il bastone pastorale. Ne parlavano anche molte visioni, giacché le televisioni ancora non erano state inventate. Ricordo la grotta dove si erano rifugiati per permettere a Maria di sgravare al riparo dal gelo e dalla neve. Vennero addirittura dei re a rendere omaggio al primo neonato in provetta. Rappresentava quasi un miracolo, a quel tempo. E vennero Melchiorre, Baldassarre, e un antico progenitore di Maurizio Gasparri, un certo Gaspare. Questi era invero ritardato o forse rincoglionito dalle sostanze che inspirava e inciampò subito all’entrata della grotta, facendo un volo disarticolato e andandosi a schiantare con il mento contro i legni che formavano una rudimentale mangiatoia, dove era stato riposto il bambino. “O Cristo!” strillò Gaspare. “Bel nome, lo daremo al pupo!” fu il commento di Maria. Oh, sì… ricordo che quello fu un fecondissimo periodo di grandi cambiamenti e nel quale videro la luce molti caposcuola di oggi. C’era un asino, vicino alla mangiatoia, e oggi basterebbe fare un giretto nei palazzi italiani del potere e tra i sindaci e gli assessori, per vedere quanto folta sia la sua discendenza. E c’era un bue, che oggi è diventato addirittura un popolo! Noi eravamo molto presi dalle occupazioni alternative, tipo comporre salmi e andare a scrocco a tutti i matrimoni e ai party esclusivi della Galilea bene, e perdemmo di vista il piccolo Gesù. Lo incontrammo, con Alessandro Dumas, circa vent’anni dopo e lo portammo a puttane con noi. Fu una vera tragedia. Gesù infatti stava frequentando dei corsi di magia col mio amico Tony Binarelli, e ne combinava di tutti i colori. A fin di bene, naturalmente. Lui era un normalissimo perdigiorno, come noi, che scorazzava in lungo e in largo con la sua band “gli Apostoli”, ma al tempo non aveva ancora avuto successo. Oggi in pratica è come Elvis, ma allora non godeva di grande popolarità. E quindi, dicevo, faceva i suoi trucchi alle sagre paesane o nei mercati: trasformava l’acqua in vino, faceva uscire pani e pesci dal suo cilindro (che allora si chiamava turbante)… Un pomeriggio, ci trovammo in gruppo a spisciazzare copiosamente il vino che avevamo bevuto a un matrimonio fuori porta, in un boschetto dalle parti del Getsemani, e ce lo portammo con noi a una casa di piacere. C’era un nuovo arrivo ed eravamo curiosi di testare di persona le grazie di questa Maria Maddalena: una francesina che proveniva dlla lontana Europa e che – si diceva – aveva imparato degli sfiziosi giochini al Crazy Horse. Godetti io per primo della fatalona, poi toccò a Giuseppe d’Arimatea, quindi al vecchio Hank Bukowski e infine lasciammo solo Gesù, che doveva essere svezzato. Stavamo bellamente sciacquettandoci i coglioni nell’abbeveratoio della piazza, quando fummo raggiunti dalle urla, dagli insulti, e dagli improperi della giovane prostituta. Ma non ce l’aveva con noi: uscì in strada inseguendo uno smarrito Gesù e inveendo contro di lui. Cos’era successo? In pratica, quello sciagurato, che non aveva mai visto una gnocca in vita sua, l’aveva presa per una ferita e l’aveva “guarita”!!! Sì, amici… con qualcuno dei suoi trucchi gliel’aveva cicatrizzata, chiusa, sigillata! Fuggimmo tutti a gambe levate, ognuno per una direzione diversa. I magnaccia erano personcine da evitare assolutamente: allora ti massacravano ancora coi pugnali, mica con le banche come fanno oggi! Rividi Gesù in circostanze davvero critiche: trascinava una pesantissima croce per la strada che porta al Golgota. Poverino, forse aveva davvero esagerato coi suoi giochetti magici e qualcuno si era fortemente risentito. Aveva una corona di spine e del sangue gli irrorava il volto. Il peso era insopportabile e sia io che l’incredibile Hulk cercammo di aiutarlo a sopportare il fardello, ma la folla e i soldati non ci lasciavano avvicinare. Cadde tre volte, povero Cristo. E ogni volta sbucava un cretino dalle retrovie, un certo Borghezio da Padania, che lo massacrava di nerbate, con un ramo sottile ma nodoso di olivastro. Botte da orbi, finché un centurione compassionevole non lo allontanava di forza. Al terzo assalto, questo energumeno si difese dicendo che credeva che stessero girando un kolossal, tipo I dieci comandamenti e che “lui sapeva la sceneggiatura a memoria” “A ogni caduta, disse, c’è una “battuta” della Madonna”… Lo inchiodarono. Povero Cristo. C’era una bolgia infernale ai piedi del Calvario. Peggio del Cantagiro. Era pieno di bancarelle, di ciarlatani e malfattori in cerca di borseggiare qualcuno. Ricordo un picoletto pelato con l’accento brianzolo che vendeva dei grossi chiodi: “Chiodi Calvario! Chiodi Calvario – gridava – I chiodi migliori del mondo, garantiti duemila anni! Chiodi Calvario, i migliori del mondo, non c’è Cristo che tenga!” E Gesù languiva sulla croce, mentre un grasso soldato romano, ma originario del Sannio, un certo Mastellum, infieriva sul suo costato con una lancia intinta di aceto e sale. A notte fonda, quando la folla si era assopita in preda alla stanchezza e ai fumi del pessimo vino di Galilea, Gesù non aveva perso il suo brio né la voglia di scherzare. Con uno dei suoi trucchi alla Houdini, liberò mani e piedi dai chiodi e sgattaiolò dietro un manipolo di soldati. Uno di loro aveva appena vinto una potente moto Honda 500 ai dadi e vi si era accovacciato contro, in preda a Morfeo. Gesù lo spostò delicatamente e, saltato in sella, cominciò a fare cross e impennate come un Valentino Rossi in preda all’euforia. Prontamente preso da mezza coorte incazzata, venne fatto oggetto di altre tremende percossa. A nulla valsero le preghiede di sua madre. “Lasciatelo stare – supplicava Maria – la moto è LA SUA PASSIONE…” Più tardi ci fu una specie di apocalisse, il cielo venne squassato da tuoni e fulmini e si udirono delle strane voci cavernose. Io e Hank reputammo che era arrivata l’ora di andarcene. Avevamo due biglietti per il match clou del Madison Square Garden e ci mettemmo in cammino.

buk

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gates

gesu

trump

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