Chi paga il conto delle bugie di Burlesquoni.

Marco Onado

Chi paga il conto delle bugie di B.

Di tutte le bugie che hanno accompagnato le dichiarazioni di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti di questi giorni, due si contendono il primato. La prima è che la crisi ha colpito all’improvviso l’Italia per colpa di una speculazione dissennata e, ovviamente, del destino cinico e baro. Per completare Bossi ha pure parlato di una congiura massonica.

Non è vero: la maggior parte dei commentatori indipendenti e la stessa Banca d’Italia avevano ammonito da tempo che la crisi che imperversava da più di un anno su Grecia, Irlanda e Portogallo poteva estendersi anche all’Italia, in mancanza di misure capaci di rilanciare l’economia. Fiato sprecato, perché il governo si continuava a baloccare nell’illusione di una pretesa superiorità dell’Italia, dovuta al suo minor debito privato e alla grande vitalità della nostra economia. Ma quei punti di forza non potevano essere sufficienti per riparare un’economia che in dieci anni è cresciuta del 2,7 per cento (quello che una volta si faceva in un anno) da una crisi finanziaria che imperversa ormai da quattro anni e di cui non si vede la fine. Bastava leggere le considerazioni di Mario Draghi dello scorso 31 maggio.

Adesso che la situazione precipita, il governo interviene con una manovra che non contiene un solo punto a favore della crescita, che taglia i

costi della politica solo nominalmente, che non fa pagare i lavoratori autonomi (solo il 5 per cento supera la soglia dei 90mila euro) e che dunque avrà pesanti effetti recessivi, come hanno detto Alessandro Penati e Tito Boeri al Fatto Quotidiano di domenica. E così rischiamo di fare davvero la fine della Grecia, il cui Pil è diminuito in un anno del 5,9 per cento. Gli scongiuri sono di rito, ma che altro ci si può aspettare da un’economia fragile cui viene imposta una cura da cavallo?

C’è una bugia non meno grande, e cioè che il governo ha a cuore il risparmio degli italiani. In realtà, con la manovra di giugno e quella attuale, il povero risparmiatore ha ricevuto un uno-due micidiale. Già era doppiamente iniqua la tassa sui depositi in titoli: iniqua perché in un mondo in cui non esistono fisicamente i titoli, tutti sono costretti a tenere un conto in una banca. Dunque, si tratta di un vero e proprio prelievo forzato, l’equivalente della tassa sul macinato in campo finanziario. E poi iniqua perché impostata su due soli scaglioni e dunque fortemente penalizzante per i titolari di conti relativamente modesti. Adesso si aggiunge l’aumento della cedolare fissa sulle obbligazioni private dal 12,5 al 20 per cento, che crea un ingiusto vantaggio a favore dei titoli di stato che continuano a godere della vecchia aliquota. In questa situazione, il risparmiatore ha una probabilità elevatissima di non riuscire a ottenere rendimenti netti superiori all’inflazione e vedrà erodersi nel tempo il potere d’acquisto dei risparmi accumulati. Dunque, è cominciata ufficialmente la tosatura della grande risorsa del paese. Fantastico.

Ma non c’è limite al peggio. Occorre anche considerare quali sono i risparmi che non sono toccati. Sono (l’avreste mai detto?) quelli che hanno allegramente evaso il fisco negli ultimi decenni e hanno esportato clandestinamente i loro redditi in Svizzera e altri paradisi fiscali. Solo una parte di quella immensa ricchezza è stata riportata in Italia grazie agli scudi fiscali predisposti amorevolmente dal ministro Tremonti, pagando le risibili aliquote del 2,5 e del 5 per cento.

Prezzi da saldo, se si confronta con quanto ha fatto in questi giorni il governo tedesco, che ha concluso con la Svizzera un trattato che frutterà immediatamente una somma superiore a 2 miliardi di euro (calcolata su un’aliquota compresa fra il 19 e il 34 per cento) e la possibilità futura di assoggettare gli interessi all’imposta tedesca oppure a una cedolare secca del 26 per cento. Insomma, il governo tedesco fa pagare all’anno cinque (o dieci) volte quanto il governo italiano ha consentito di pagare in una sola volta.

L’azione tedesca non è isolata. Da diverso tempo, i paesi che fanno pagare le tasse, Stati Uniti in testa, hanno messo le banche svizzere nel mirino e hanno introdotto crepe profonde nel mistero che avvolgeva il mondo finanziario della Confederazione. Come ha dichiarato un legale al New York Times: “I tempi sono cambiati e il segreto bancario può essere invocato per motivi personali, ma non per evadere le tasse”. In quel varco, in mancanza di un’azione europea comune, si è inserita la Germania, aprendo la strada a un’iniziativa imminente del Regno Unito.

Cosa aspetta l’Italia? Se si considera che la ricchezza posseduta ancora clandestinamente dagli italiani in Svizzera è notevolmente superiore a quella tedesca, si potrebbe mettere in bilancio una somma anche maggiore di quella prevista dalla Germania. Fra l’altro, si tratterebbe di un’iniziativa più equa e giuridicamente più solida di quella di far pagare un supplemento di imposta ai capitali rientrati grazie agli scudi fiscali del passato, come oggi viene proposto. Una misura che va incoraggiata se non altro per motivi di equità, ma che andrà sicuramente incontro a un contenzioso dagli esiti incerti e dai tempi lunghi.

Sarà dura da digerire per chi si è sempre atteggiato a primo della classe, ma per rispettare davvero il risparmio degli italiani, basta copiare il compito di Angela Merkel.

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter