Come il regime Burlesquoni protegge sfacciatamente le mafie.

Il servizio protezione senza più fondi
scatta la protesta dei pentiti nei processi

Qualcuno è stato sfrattato per morosità perché lo Stato non riesce a pagare l’affitto. Altri sono costretti ad andare a deporre senza neanche l’auto blindata. I tagli al comparto sicurezza stanno esasperando i collaboratori di giustizia e i loro avvocati, che non vengono pagati da mesi. Un gruppo di ex boss di Cosa nostra ha deciso di protestare pubblicamente, prima di ogni deposizione

di SALVO PALAZZOLO

Il servizio protezione senza più fondi  scatta la protesta dei pentiti nei processi La deposizione di un pentito nell’aula bunker romana di Rebibbia

Il servizio centrale di protezione batte cassa, da mesi non ci sono più fondi per i collaboratori di giustizia. Alcuni pentiti sono stati addirittura sfrattati per morosità dalla casa in cui abitavano, in località segrete, perché lo Stato non riesce più a pagare gli affitti ai proprietari. Qualcuno è finito ospite anche di comunità religiose, con tutti i problemi di sicurezza che ne derivano, per il diretto interessato e per gli ignari volontari che si occupano della sua assistenza. E si è arrivati al paradosso che l’ex mafioso catanese Roberto Spampinato non può neanche scontare gli arresti domiciliari, perché dopo lo sfratto non ha più una fissa dimora. Al giudice del tribunale di sorveglianza di Roma non è rimasto che

rinviare l’udienza e dunque la data in cui il pentito dovrà iniziare a scontare la condanna.

Per mancanza di fondi, un altro pentito si è ritrovato senza auto blindata per andare a deporre in Calabria. E tanti collaboratori sono senza assistenza sanitaria per le proprie famiglie, come invece il programma di protezione dovrebbe assicurare. Da sei mesi, infine, gli avvocati dei collaboratori lavorano gratis: anche queste spese non sono più onorate dal servizio centrale di protezione.

Ecco perché sale il malcontento fra i collaboratori di giustizia e i loro legali. Ed è già partita una singolare forma di protesta prima di ogni deposizione: un gruppo di pentiti siciliani ha deciso di denunciare pubblicamente che “lo Stato ha violato l’impegno” nei loro confronti. I collaboratori non rinunciano al patto che hanno fatto con la giustizia, continueranno a deporre, ma vogliono porre il caso davanti ai giudici. E prima o poi qualche magistrato potrebbe anche far scattare un’inchiesta per i disservizi di questi ultimi mesi nella lotta alla mafia: un giudice di Palermo, Lorenzo Matassa, ha già inviato il verbale con la dichiarazione fatta da un collaboratore durante un’udienza al presidente del tribunale, “per le determinazioni di conseguenza”.

Nei giorni scorsi, hanno già fatto la loro dichiarazione di protesta i pentiti siciliani Emanuele Andronico, Stefano Lo Verso, Gaetano Grado, Maurizio Spataro e Francesco Briguglio. Chi nelle aule dei processi, chi durante gli interrogatori davanti ai pubblici ministeri. Altri pentiti parleranno a breve.

Intanto, una trentina di avvocati dei collaboratori ha costituito un’associazione e annuncia battaglia. “La realtà del contrasto alla criminalità organizzata è diversa da quella rappresentata – dice l’avvocato Maria Carmela Guarino – si proclamano i successi per la cattura dei latitanti, ma si tace sulle emergenze strutturali ed economiche che gli operatori della giustizia e della sicurezza quotidianamente devono sopperire per assicurare i risultati”.

Il caso è stato posto nei giorni scorsi anche da Antonio Di Pietro, leader di Italia dei valori. “Il governo Berlusconi sta intaccando i caposaldi della lotta alla mafia tagliando i fondi per la protezione dei collaboratori di giustizia e riducendo drasticamente le intercettazioni”, è scritto in un’interrogazione presentata ai ministri dell’Interno, della Giustizia e dell’Economia. Nei mesi scorsi, anche il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano aveva lanciato l’allarme per l’assenza di fondi da destinare a collaboratori e testimoni di giustizia: erano 52 milioni nel 2008, sono scesi a 49 l’anno successivo e sono crollati a 34 nel 2011. Si tratta di un taglio del 35 per cento.

Dice l’avvocato Monica Genovese: “I collaboratori non sono imputati di serie B, come tutti gli altri imputati hanno diritto a una difesa adeguata. Ma nessuno sembra prendersi cura di questa grave situazione, che incide anche sui diritti previsti dal programma di protezione”.

Il segretario provinciale del Siulp di Firenze, Riccardo Ficozzi, ha denunciato che i poliziotti si ritrovano ormai a fare da paciere, “per calmare i titolari di alberghi della Toscana che aspettano di riscuotere dallo Stato ingenti somme relative all’ospitalità di collaboratori di giustizia e testimoni”. Per il Siulp “è una situazione paradossale”.

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