Italietta mafiosa

La dirigente ha denunciato tutto ai magistrati, ora vive sotto scorta.

L’eroina che sventò la truffa all’Inps

Mogli, cognati, sorelle, fratelli, cugini, parenti e amici di uomini di rispetto si spacciavano per braccianti agricoli senza esserlo

C’ è una piccola grande donna da proteggere, in Calabria. Una donna che sta rischiando grosso per aver fatto

un gesto che da qualunque altra parte del mondo occidentale, da Helsinki a Vancouver, è ovvio e normale: ha passato ai giudici i documenti d’una truffa all’Inps. Truffa che per anni aveva fatto scrosciare acquazzoni di denaro su mogli, cognati, sorelle, fratelli, cugini, parenti e amici di uomini di rispetto che si spacciavano, senza esserlo, per «braccianti agricoli».

La signora, eroina suo malgrado in un pa­ese dove la semplice osservanza delle leggi può richiedere un coraggio straordinario (come quello che costò la vita a Giovanni Bonsignore, un funzionario regionale sici­liano reo di avere denunciato la truffa di una cooperativa) si chiama Maria Giovan­na Cassiano, è la dirigente della sede Inps di Rossano, sulla costa dello Jonio in provin­cia di Cosenza e da due mesi vive sotto scor­ta dopo essere stata pesantemente minac­ciata.

Non è una testa di cuoio, non è uno spe­cialista scelto dei carabinieri, non è un poli­ziotto delle squadre spe­ciali, non è un magistrato d’assalto in guerra con la mafia. È solo una funzio­naria di medio livello di un ente pubblico come l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale che ha fatto quanto le era stato chiesto da Roma: control­lare come mai nell’area della Sibaritide ci fossero così tanti braccianti agri­coli e come mai risultasse­ro così tante giornate di malattia e maternità e in­dennità di disoccupazione. Una procedura standard, in questi casi.

Prova ne sia che ieri le agenzie davano la notizia di un’altra indagine, per molti versi simile in provincia di Taranto, dove la Guar­dia di Finanza ha denunciato 363 persone per una truffa organizzata da un’azienda agricola che dal 2003 al 2007 avrebbe simu­lato una gran quantità di false assunzioni di braccianti agricoli fregando all’Inps, in in­dennità previdenziali e assistenziali varie, almeno un milione e 200mila euro.

L’inchiesta di Rossano condotta su dispo­sizione della magistratura dai finanzieri del capitano Giovanni D’Acunto, per quanto sia soltanto agli inizi, ha già sollevato il co­perchio su qualcosa di più profondo, di più malato, di più pericoloso di tante truffe tra­dizionali. Dietro alle tre cooperative sma­scherate fino ad oggi, la «San Francesco», la «Eurosibaris» e la «Meridionale» (altre so­no passate al setaccio in questi giorni) c’era infatti l’ombra, attraverso prestanome o ad­dirittura persone che sarebbero risultate del tutto ignare di essere state usate come copertura, di tre famiglie legate a uomini della ’ndrangheta. Uomini che, come dice­vamo, avrebbero arrotondato gli incassi di altri affari più o meno illeciti distribuendo La nei dintorni (mogli, fratelli, cognati, paren­ti…) la qualifica (e le prebende) di «brac­ciante agricolo».

Nella maggioranza dei casi, da quanto è emerso, era tutto falso. Falsi i poderi dove i falsi braccianti figuravano aver lavorato, fal­se le coltivazioni dove sarebbero stati impe­gnati, falsi i certificati catastali, false le pla­nimetrie e i timbri e tutti ma proprio tutti i documenti dei vari uffici. E quando un cam­po di pomodori o di meloni da raccogliere c’era sul serio, raccontano gli investigatori, le cooperative ci mandavano non quei lavo­ratori che risultavano all’Inps (poveretti, che scomodità…) ma immigrati pagati in nero e senza alcuna tutela previdenziale e sindacale.

Un quadro pazzesco. Concepito dagli or­ganizzatori nella convinzione della totale impunità. Un quadro nel quale spiccano sto­rie, nella loro perversione, assolutamente fantastiche. Come quella di una cooperati­va che nel giro di un solo anno avrebbe ra­strellato un monte salari di un milione e ot­tocentomila euro circa senza essere in gra­do di esibire un solo documento contabile. «Che storia è questa?», hanno chiesto al pre­sidente. E quello: «Ho sempre fatto tutto coi contanti».

Quanto siano riusciti a sottrarre all’Inps tutti quei falsi braccianti, che dopo aver fin­to di avere lavorato per un certo periodo si spacciavano per «cinquantunisti» (51 gior­ni l’anno di lavoro), «centunisti» (101 gior­ni) o «centocinquantunisti» (151) chieden­do quindi indennità varie di malattia, disoc­cupazione e maternità, non si sa ancora. In un solo anno, ha scritto il direttore del Quo­tidiano di Calabria Matteo Cosenza denun­ciando i tormenti di Maria Giovanna Cassia­no, si parla di «circa centomila certificati di malattia», di migliaia di persone coinvolte e di «somme stratosferiche per l’Inps: me­diamente 4-5 milioni di euro a cooperati­va » .

Domanda: può una situazione del genere gonfiarsi per anni e anni senza una qualche accondiscendenza di troppa gente che sape­va e faceva finta di non sapere? È dura da credere. Tanto più che esattamente lo stes­so scandalo era scoppiato non molti anni fa nell’area di Gioia Tauro. Dove i magistrati, interrogandosi su «come mai la Calabria ha un ventottesimo della popolazione italiana ma un bracciante stagionale su sette?» sco­prirono che «nove braccianti agricoli su die­ci » erano fasulli: motociclisti con Honda co­stosissime, mamme incinte al nono mese, detenuti che figuravano al lavoro mentre erano in cella, studentesse con le unghie laccate e i tacchi a spillo. Tutti «raccoglitori di olive» in uliveti che figuravano catastal­mente piantati perfino sulle banchine e nel­l’acqua del porto di Gioia.

Eppure, pare impossibile, contro la deci­sione dell’Inps di non sganciare più un eu­ro a tutti i soci delle cooperative taroccate fino alla chiusura delle indagini sono scoppiati nella Sibaritide focolai di rivol­ta. Le minacce che abbiamo detto alla si­gnora Cassiano. Un tentativo di blocca­re la festa patronale di Maria Santissi­ma Archiropita. Due blocchi, a fine lu­glio e poi di nuovo l’altro pomeriggio, dalle 12 alle 20.30, con ingorghi giganteschi e tu­risti inveleniti, della statale E 90 che costeg­gia lo Jonio da Taranto a Reggio.

Peggio, la rivolta è cavalcata da un pezzo del mondo politico. Porta voti, cavalcare queste ribellioni. Per informazioni, chiedete ad Antonio Caravetta, l’uomo forte dell’Udc. Consigliere comunale a Corigliano e record­man di preferenze in zona alle ultime pro­vinciali. Da sempre punto di riferimento dei «braccianti». Com’è scoppiato il casino, ha subito emesso un comunicato: «L’arrogan­za e l’insensibilità nei confronti dei tanti la­voratori agricoli della Piana di Sibari…».

Gian Antonio Stella

B-FAMIGGHIA

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