La mafia berlusconiana e la ‘ndrangheta governativa al sacco della Lombardia

di Gianni Barbacetto

Milano, il pizzo
non è giusto

Antonio e Gianfranco Dimo, padre e figlio, sono due imprenditori che abitano il primo a Brugherio, il secondo a Milano. Le loro aziende (il consorzio Kalos, la società cooperativa New Labor) hanno vinto un bell’appalto per le pulizie dei vagoni di Trenitalia. Per loro, però, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha chiesto l’espulsione per tre anni dall’albo dei fornitori, con la conseguente impossibilità di partecipare alle gare d’appalto. Perché? Perché pagavano il pizzo alla ’ndrangheta. Versavano almeno 20 mila euro al mese nelle casse della cosca di Giovanni Tegano. Erano vittime d’estorsione, dunque, ma non lo avevano denunciato. E ora la procura calabrese chiede che venga applicata – per la prima volta – una norma del “pacchetto sicurezza” approvata dal governo nel 2009: niente più appalti a chi accetta il pizzo senza reagire.

Quanti sono gli imprenditori del Nord che sono nelle stesse condizioni di Antonio e Gianfranco Dimo? Quanti subiscono in silenzio le estorsioni, accettando di far diventare il pizzo un costo d’impresa? Quanti fanno finta di non

vedere e affidano i subappalti, per esempio nei cantieri edili, a uomini della ’ndrangheta? Quanti costruiscono la loro fortuna imprenditoriale sui rapporti con i boss calabresi, mettendosi al sicuro da quella cosa fastidiosa che è la concorrenza?

Ilda Boccassini, il magistrato che sta coordinando le indagini antimafia a Milano, lo ha detto chiaramente: “Il numero di danneggiamenti, incendi e microattentati sul territorio fa pensare che anche qui sia esteso il fenomeno delle estorsioni. Eppure non vedo la fila davanti alla mia porta, nessuno viene a denunciare”. E Alessandra Dolci, pubblico ministero in processi alla ’ndrangheta dell’hinterland milanese, si chiede: “Ma si meritano di essere protetti dallo Stato, quegli imprenditori che vengono in aula e fanno scena muta, si rifiutano di raccontare le pressioni che hanno subito?”.

Al Sud gli imprenditori sono più avanti. La Confindustria siciliana guidata da Ivan Lo Bello ha deciso da tempo di espellere gli associati che non denunciano le estorsioni. A Milano, invece, l’Assolombarda di Alberto Meomartini fatica a dare segnali concreti, anche se ha promesso di essere la prima territoriale del Nord di Confindustria a recepire le regole contro le infiltrazioni mafiose, fino all’espulsione delle imprese che non denunceranno di aver subito un’estorsione.

Un po’ più sensibile si è dimostrata l’Assimpredil di Claudio De Albertis, che riunisce le imprese del settore edile e che proprio oggi annuncia un pacchetto di proposte per far fronte alle infiltrazioni mafiose in uno dei terreni da sempre più a rischio. “È un piano straordinario per la lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso”, dice De Albertis. “Un’efficace politica di contrasto esige una responsabile attività di prevenzione per garantire i principi della libertà d’impresa e della concorrenza legale: per questo l’associazione delle imprese edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza ha messo a punto, anche in vista dell’Expo, un piano straordinario per prevenire e reprimere ogni possibile infiltrazione della criminalità organizzata nel mondo delle imprese e del mercato del lavoro”. Ora dai buoni propositi bisogna passare ai fatti. Prima che sia troppo tardi.

Il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2011

berlusconi ladro1
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