MIEI NONNI. Per capire chi sono e da dove vengo: genitori di merda, ma i nonni migliori del creato.

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Avevo il nonno paterno che per i tempi era ricco: faceva tre lavori e spesso tornava ubriaco alle 3 del mattino, svegliando tutto il paese cantando e facendo le previsioni del tempo a voce alta. Ma alle 5 era la lavoro. Mai perso un giorno, nemmeno con la febbre alta. Bellissimo 75enne, snello, alto per allora 1,75, elegante, sempre pulito e profumato coi capelli ancora neri, vedovo da decenni, pescatore, capitano della draga e capitano dei barracelli (figura che forse esiste solo in Sardegna: sono i piccoli proprietari delle vigne, delle mandrie o delle greggi, e dei frutteti che pagano praticamente delle guardie private, dei rangers, che proteggono il territorio da ladri e abigeatari o incendiari. Nonno Francesco era il capo. Quando era di ronda Nonno Salis, non solo nessuno rubava niente, ma i merli riportavano la frutta che avevano rubato un anno prima!). Nonno regalava pesci, anguille e bottarga a tutti i poveri del paese e puzzava di pesce quando arrivava a casa. Ma dopo due ore, profumato come una puttana, inforcava la bici e se ne andava a Oristano, Solarussa, Bauladu, Simaxis, etc. Lo sapeva lui perché… E’ morto a 76 anni e al suo funerale c’erano così tanti paesani e così tante ragazze in lacrime da tutto il circondario che sembrava la selezione di Miss Italia. Dio ti benedica per i geni che mi hai lasciato. Ma avevo anche un nonno materno, Raimondo. Una delle persone più belle che abbia mai conosciuto, anche se è morto giovane per una nefrite. Oggi la curavi con due pillole. Tutto il giorno in piedi, con la gotta, eroe di guerra, mai vista la pensione, a tagliare e cucire abiti per pochi soldi. Uno stilista mi vide una sua giacca, fatta per mio padre, a Torino a 40 anni dalla confezione e urlò: “Questo genio me lo devi presentare! Oggi nessuno taglia e cuce così! Tutto così rifinitoooo!” Mia nonna lavorava il campo, l’orto e la vigna vicina allo stagno, lavava i panni al lavatoio pubblico, poi tornava a casa con i panni e una brocca da 5 litri di acqua potabile sulla testa, faceva le faccende di casa e poi si metteva a imbastire con una lampadina da 30 candele… Un giorno, avrò avuto sette anni e disegnavo sdraiato sulle mattonelle, venne un pastore a chiedere un abito per lui e uno per il figlio che si sposava. Nonno, sempre masticando un pezzo di filo grosso (parlava pochissimo), gli prese le misure e gli disse di ripassare dopo una settimana. Appena uscito e chiusa la vetrina, nonna Maria saltò addosso a nonno Serra (in sardo): “Ma ita sesi, scimpru? Cussu non s’had pagàu mancu s’atra ‘estimenta pro s’altru fillu!” (Ma che sei scemo?! Quello non ci ha pagato nemmeno il vestito che gli hai fatto per l’altro figlio!) Nonno la guardò, sorrise, e le disse, senza togliersi il filo di bocca: “O Maria, e se non ce l’ha pagato vuol dire che ne hanno meno di noi.” Morì poco tempo dopo e io aprivo il corteo, portando la corona con un mio amico: c’erano più di tremila persone ad accompagnarlo al cimitero. E Santa Giusta faceva 800 abitanti, inclusi i neonati e i bambini dell’asilo, che allora erano molti.

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