L’ULTIMA BEFFA DELLA BABYSITTER COATTA E IGNORANTE ALLE SPALLE DEGLI ITALIANI. CON TUTTI QUEI MILIONI SI POTEVANO ISTRUIRE IN ITALIANO, FORMARE E METTERE A LAVORARE UN MILIONE DI PROFUGHI, CHE SONO QUASI TUTTI LAUREATI, DIPLOMATI O TECNICI. CHI PAGHERA’ LE PENSIONI DI QUI A 30 ANNI, SE CHI LAVORA OGGI E’ APPENA UN TERZO DELLA POPOLAZIONE, NON NASCONO BAMBINI E SIAMO PIENI DI EVASORI FISCALI?

“Migranti in Albania, lo spot di Meloni: spese milionarie per appena 700 posti”

di Alessandra Ziniti

Palazzo Chigi prepara il provvedimento per costruire le strutture

per i richiedenti asilo: servono 100 milioni, il doppio che in Italia.

https://www.repubblica.it/economia/2023/12/04/news/migranti_albania_meloni_costi_spese_posti-421564277/?ref=RHLF-BG-INaN-P5-S1-T1

  • CAZZO CI AVRA’ DA RIDERE COSI’ SGUAIATAMENTE? MAH…
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E LO SPUTTANAMENTOOO… OH OH!

Segreti di Pulcinella.
Il rinvio a giudizio di Delmastro non cambia nulla, perché l’intero governo ha già confessato.

Di Francesco Cundari


Il centrodestra, che da sempre accusa la sinistra di utilizzare le intercettazioni per attaccare gli avversari, continua a rivendicare il proprio attacco all’opposizione sulla base di un’«informativa» della polizia penitenziaria. E questi sarebbero i garantisti.
Non è facile afferrare il punto di tutto il dibattito politico e giornalistico seguito alla notizia del rinvio a giudizio di Andrea Delmastro. Il sottosegretario alla giustizia di Fratelli d’Italia, come è noto, è accusato di avere spifferato al collega di partito Giovanni Donzelli il contenuto di un’informativa della polizia penitenziaria su alcune conversazioni avvenute in carcere tra l’anarchico Alfredo Cospito e altri detenuti condannati per mafia. Notizie che il suo collega (nonché storico coinquilino) ha utilizzato per attaccare l’opposizione in parlamento, in diretta televisiva, in un intervento doppiamente vergognoso.

Brevissima spiegazione dell’ovvio: l’attacco di Donzelli era vergognoso prima di tutto nel merito, perché accusava i parlamentari del Partito democratico di stare dalla parte dei terroristi e della mafia per il semplice fatto di avere esercitato la loro prerogativa di visitare in carcere un detenuto in sciopero della fame (Cospito); ma era altrettanto vergognoso per il metodo, cioè l’utilizzo di conversazioni intercettate dall’amministrazione penitenziaria e finite nella suddetta informativa (ovviamente da lui disinvoltamente piegate allo scopo di insinuare l’idea di una sostanziale collaborazione tra Pd, mafia e terroristi).

La distinzione di lana caprina tra intercettazioni propriamente dette, captazioni, origliamenti, conversazioni ascoltate e sintetizzate più o meno liberamente nel documento la lascio a Delmastro e ai suoi avvocati, perché qui non ha alcun rilievo (ammesso che ce l’abbia da altre parti). L’unica cosa che dovrebbe rilevare qui è che i fatti, nudi e crudi, per come li ho sommariamente riportati, nessuno li ha contestati. Tutta la difesa di Del Mastro ruota infatti attorno alla questione della classificazione formale del documento, in quanto segreto, riservato o a «limitata divulgazione», e dunque sulla liceità o meno del comportamento del sottosegretario. Il fatto che sia stato lui a dare quelle informazioni a Donzelli non solo non è contestato, ma è addirittura rivendicato. Vale dunque la pena di fermarsi un attimo e unire pazientemente i puntini. Procediamo con ordine.

Quel centrodestra che da trent’anni accusa la sinistra di utilizzare le inchieste, i verbali delle procure e in particolare le intercettazioni per attaccare gli avversari politici, attacca in parlamento il Pd utilizzando un’informativa della polizia penitenziaria riguardante le chiacchierate di un detenuto con altri detenuti.

Quel ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che da trent’anni passa per fior di garantista, e che in nome di tale trentennale battaglia vorrebbe riformare l’intero sistema giudiziario, non solo non ci trova nulla da ridire, ma si arrampica sugli specchi per difendere il suo sottosegretario, distinguendo speciosamente tra documenti segreti, riservati e a limitata divulgazione, avallando così la bizzarra teoria secondo cui se in un documento è scritto «a limitata divulgazione» non significa che il suo contenuto non possa essere declamato pubblicamente in parlamento, per giunta in diretta tv.

Quello stesso governo che ogni due giorni denuncia complotti della magistratura per farlo cadere – da ultimo con il ministro della Difesa, Guido Crosetto – difende e rivendica l’utilizzo di simili strumenti per colpire i suoi avversari.

Questi sono i fatti, non controversi e non contestati da nessuno. Fatti che a me paiono peraltro assai gravi, perché indicano una spregiudicata inclinazione a utilizzare nella lotta politica tutti gli strumenti disponibili, mettendo a rischio la terzietà delle istituzioni e la divisione dei poteri.

Come tutto questo possa cambiare di una virgola perché un gup ieri o un collegio giudicante domani dice che in italiano «a limitata divulgazione» significa da non divulgare, o invece da affiggere ai muri, sinceramente fatico a capirlo.

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GIORNALISTI CHE CREDONO AI GIORNALASTRI E AI SONDAGGI DELIRANTI IMPOSTI DALLA MAFIA RUSSA. E SE RENZI NON FOSSE AL 3% MA GIA’ AL 13% DI VOTI VERI ALLE URNE? POI, “SENZA TRUPPE” LO DITE VOI. NOI VEDIAMO SEMPRE UN MARE DI CITTADINI AD OGNI SUA APPARIZIONE IN PUBBLICO E SAPPIAMO DEI PUNTI DI SHARE IN PIU’ CHE PORTA ALLA POCHE TRASMISSIONI TV CUI PARTECIPA. QUINDI: CALMA E GESSO. (L.S.)

Così Renzi usa la leva della giustizia

di Stefano Folli

Un’opposizione fatta di precisi rilievi e di proposte alternative può essere efficace anche se a scendere in campo è un singolo uomo senza truppe al seguito. (MA DOVE? MA QUANDO?)

Come è noto, Matteo Renzi è un personaggio totalmente inviso a sinistra, in particolare all’attuale gruppo dirigente del Pd. I suoi errori sono stati rilevanti e gli precludono qualsiasi via di ritorno nell’alveo di uno schieramento che nel frattempo si è radicalizzato.

L’idea riformista che alimenta ancora i laburisti inglesi, prossimi alla vittoria contro i conservatori, non ha insegnato granché all’asse Pd-5S-SI-Verdi.

Si preferisce l’intransigenza e talvolta la retorica che infiamma i militanti, ma non si sa quanto seduca un elettorato più ampio, bisognoso di risposte chiare e di un progetto per la società di domani.

Quindi Renzi con il suo 3 per cento si direbbe del tutto fuori gioco e probabilmente lo è. Del velleitario “terzo polo” sono rimaste le macerie e Calenda segue la sua strada con l’obiettivo di essere l’ala destra della sinistra. Renzi ovviamente no. Non crede più che questa sinistra abbia un futuro se non in chiave estremista.

Certo, il salario minimo è una proposta popolare, se si dimentica che non è stato approvato quando i progressisti erano al governo. Oggi è soprattutto una bandiera da sventolare in faccia al destra-centro.

Tuttavia fare l’opposizione in modo coerente è più complicato, richiede una duttilità e una capacità di cogliere i punti deboli dell’avversario che l’attuale Pd sembra non possedere. O magari non è interessato.

Chi conosce le tattiche e le astuzie dell’opposizione è invece Renzi. Con il suo partitino personale, che al momento non raggiungerebbe nemmeno il quorum alle elezioni europee, si è messo in cammino per destabilizzare la maggioranza.

Si dirà che è una missione impossibile, data l’esiguità delle forze. Ma un tattico astuto sfrutta le fragilità della controparte, si trasforma all’occorrenza nella zanzara che infastidisce l’elefante.

È l’arte in cui Renzi eccelle, trovando nella premier una figura con cui ama duellare. Giorni fa in Senato ha ricevuto una risposta sarcastica dalla presidente del Consiglio («ne parli con il suo amico Bin Salman»), ma solo perché l’aveva messa in difficoltà sulle promesse non mantenute. Promesse specifiche, per esempio abbassare le accise sulla benzina e quindi il prezzo.

L’aveva fatto il governo Tambroni nel ‘60, ma allora non si chiamava populismo. Sta di fatto che Meloni ha risposto d’impeto: «Io non ho la bacchetta magica», per sottolineare che i Paesi produttori si fanno pagare caro il petrolio.

L’episodio è secondario, ma serve a ricordare due punti. Il primo è che la premier è molto sensibile alle accuse d’incoerenza, se sono ben circostanziate.

Il secondo è che la frase: «Io non ho la bacchetta magica» equivale a un altro passo nel mondo del realismo. Lo stesso realismo per cui non era possibile attendersi una vittoria di Roma nel concorso per l’Expo 2030.

Ma per tornare a Renzi, un’opposizione fatta di precisi rilievi e di proposte alternative può essere efficace anche se a scendere in campo è un singolo uomo senza truppe al seguito.

Perché parla all’opinione pubblica più che ai parlamentari. E sembra ingiusta l’accusa all’ex premier di voler banalmente puntellare il destra-centro per poi essere invitato a bordo.

Al contrario, lui ha l’ambizione, forse velleitaria, di far deragliare il trenino. Per questo ha scelto il tema della giustizia, lo stesso a cui si aggrappa Forza Italia.

E per questo appoggia Nordio e la sua riforma liberale, insabbiata al momento da Palazzo Chigi nel punto cruciale: la separazione delle carriere. Anzi, arriva a giustificare Crosetto per la sua mini-crociata contro i magistrati faziosi.

In sostanza usa la giustizia come leva per incrinare le certezze di un governo che ha abbandonato l’enfasi sulla riforme (salvo il “premierato”) tipica dell’atmosfera in cui nacque l’esecutivo Meloni.

RICORDIAMOCI SEMPRE LE ANALISI DEL SAGGIO PIU’ LUCIDO D’ITALIA:

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ECCO UN ALTRO DEI “MIRACOLI” DI #RENZI, NATO PER SUA VOLONTA’ DURANTE L’EXPO’ PIU’ IMPORTANTE DI SEMPRE A MILANO. DOVE PORTO’ IL MONDO INTERO.

GRAN MILANO

Il ritorno dei “cervelli” abita qui, tra lo Human Technopole e il MIND

DANIELE BONECCHI 18 NOV 2023

Viaggio nell’area innovativa della Milano dei saperi, che in pochi anni sta mantenendo tutte le promesse del progetto

Sullo stesso argomento:

Stefania Giussani è una dei cento ricercatori che popolano il pianeta di Human Technopole e come molti altri giovani sta percorrendo a ritroso la strada dei cervelli in fuga, che terrorizza il mondo dell’impresa italiana, e anche di più, e con meno costrutto, quello mediatico. Stefania da Como – classe 1991 – ha fatto l’università a Varese, frequentando il corso triennale di Biologia all’Insubria, per proseguire al Molecular Biology and Genetics dell’Università di Pavia (corso in inglese). “Poi – spiega – ho svolto un dottorato presso un’azienda di Siena, per tre anni. Ho iniziato a studiare il sistema immunitario del cervello in un laboratorio di Oxford grazie a tre anni di studi come ricercatore dopo il dottorato. Un’esperienza formante, anche perché vivere all’estero è stato importante. Non mi è pesato perché mi piace viaggiare anche se nel periodo del Covid è stato più complicato tornare a casa di tanto in tanto, ma anche vedere ciò che succedeva in Italia senza poter far nulla”. Ma che cosa spinge i giovani “cervelli” a fare esperienze di studio e lavoro all’estero? “L’esperienza, quella di Oxford mi ha permesso di conoscere molte persone, fare conoscenze in giro per l’Europa, insomma mi ha formato. Ma la mia idea era di tornare sul continente: Germania o Svizzera. È arrivata inattesa l’opportunità di Human Technopole a Milano e ho deciso di provare col gruppo di Oliver Harschnitz (Group Leader al Centro di ricerca per la Neurogenomica), che a me interessa molto e il tipo di scienza che pratica mi è piaciuta subito. Si tratta di ricerca su cellule staminali e il sistema immunitario nel cervello, quindi neuroimmunologia”. A cosa sta lavorando? “In particolare sto studiando le interazioni tra neuroni e cellule del sistema immunitario che risiedono nel cervello per capire come rendere questa malattia meno invasiva, infatti questa malattia provoca deficit a lungo termine e quindi è necessario cercare di capire come evitare questi deficit neurologici”, conclude Stefania Giussani.

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Persone in gamba, non fessi

La partita delle riforme: un’opportunità per molti

Scrive Andrea Ruggieri — 10 Novembre 202

“A naso, non mi sembra una grande idea quella di poter sostituire il premier eletto con un altro parlamentare di maggioranza, per sbarrare la strada ai governi tecnici. Perché i segretari di partito puntano dichiaratamente (si è già visto nelle ultime tornate) a riempire il Parlamento di gente anonima, a volte persino mediocre o fessa, che come unico pregio ha quello di non poter mai fargli ombra. Non vorrei dunque si potesse arrivare mai al paradosso di ritrovarsi, al posto di un premier eletto, un suo sostituto inadeguato, magari ritenuto più governabile. Abbiamo bisogno di persone in gamba, non di fessi!”

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Berlusconi, Dell’Utri e i rapporti con i boss: UNA SENTENZA ALL’ACQUA DI ROSE PER I PEGGIORI CRIMINALI DEL DOPOGUERRA.

DELL’UTRI HA SOLAMENTE MESSO IN CONTATTO #BONTADE, #RIINA E #BAGARELLA COL SIOR SILVIO. DOPODICHE’ HA FATTO SOLO IL FATTORINO E HA DATO QUALCHE IDEA: QUELLA DEI #GEORGOFILI, PER ESEMPIO. QUESTE RICOSTRUZIONI FANNO ACQUA DA TUTTE LE PARTI. O MI VOLETE CONVINCERE CHE IL DOTTO SIOR #RIINA SAPEVA QUALCOSA DEI #GEORGOFILI DA ATTACCARE? UN VILLANO MAI USCITO DAL SUO CORTILE, SE NON PER ANDARE A QUALCHE SUMMIT IN VIA ROVANI E AL RISTORANTE SOTTOSTANTE COL MAFIONANO E LE DUE #CUPOLE A MILANO? E DUNQUE HO RICICLATO IO – FIN DAL 1975 – LE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI MILIARDI SPORCHI DI SANGUE PER ACQUISIRE UN IMPERO TELEVISIVO, I PIU’ CARI CALCIATORI DEL MONDO, MAGISTRATI, GENERALI IN UNIFORME, COMIS DI STATO GRANDI E MEDIE SOCIETA’ CON LE BUONE O CON LE CATTIVE?

Berlusconi, Dell’Utri e i rapporti con i boss

Nessuna condotta perseguibile sulla trattativa Stato-Mafia per il braccio destro di Silvio Berlusconi, ma l’evidenza che l’ex Presidente del Consiglio non poteva non sapere dei rapporti di Dell’Utri con i boss, soprattutto nelle prime fasi di Forza Italia, il periodo precedente e successivo alla sua discesa in campo. “Sarebbe, parimenti, illogico sostenere che Dell’Utri, che pure aveva avuto un ruolo determinante della fondazione di Forza Italia, non abbia riferito nulla dei suoi contatti per un possibile sostegno elettorale con esponenti di vertice di Cosa nostra all’amico imprenditore Silvio Berlusconi… L’interlocuzione tra Berlusconi e Dell’Utri su tali argomenti, del resto, non poteva che essere diretta, esclusiva e riservata… Escludere Berlusconi dai rapporti pericolosi intrattenuti da Dell’Utri con i vertici mafiosi significherebbe, dunque, irrazionalmente immaginare che l’imputato abbia deciso da solo, senza avvertire il suo dominus, su questioni di così vitale importanza, che riguardavano la sicurezza collettiva, in ragione della sempre incombente minaccia di nuove stragi, e che coinvolgevano anche la tenuta della coalizione di maggioranza”.

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