Per tutti, sardi e visitatori, leggete e incazzatevi!

La Tirrenia versione sicula. E i sardi restano a guardare

di Paola Medde
“Dottò, accostatevi meglio”: per anni i sardi imbarcati sui traghetti Tirrenia sono stati accolti dall’accento dei marinai napoletani, che in cambio delle indicazioni per il parcheggio chiedevano la mancia per il caffè. Adesso quell’accento potrebbe diventare siculo, se andrà in porto l’acquisizione della compagnia di navigazione pubblica da parte della Mediterranea Holding, cordata guidata dalla Regione Sicilia. Ufficialmente si tratterebbe della privatizzazione dell’ultimo carrozzone di Stato, che sta al mare come l’Alitalia sta al cielo: indebitamento alle stelle – 520 milioni di euro – e costi del personale di almeno venti punti sopra i concorrenti privati. Il fatto è che quando, sotto i ripetuti ammonimenti di Bruxelles, il ministero dell’Economia ha dovuto mettere in vendita la flotta di Stato, si è fatto il vuoto intorno e alla gara per la privatizzazione – pur caricandoci sopra una dote di 72 milioni di euro di aiuti pubblici – si è presentata solamente la Mediterranea Holding, una newco apparecchiata nel marzo scorso apposta per concorrere all’acquisizione di Tirrenia, di cui la Regione Sicilia possiede il 37 per cento delle quote e l’armatore Lauro il 18,5. Si sono defilati concorrenti di rango come la private equity Cinven e l’armatore Vincenzo Onorato, patrono della Moby Lines, il quale, fortemente attratto dalle redditizie rotte sarde, non voleva accollarsi però il fardello della sorella minore della Tirrenia, la Siremar, compagnia ben più onerosa e poco efficiente che collega gli isolotti della Sicilia. Il pacchetto tutto-compreso messo sul piatto della bilancia è servito così a sbaragliare la concorrenza e a lasciare un uomo solo al timone: la Mediterranea Holding, appunto.
Se la Fintecna, il braccio operativo del Ministero dell’Economia, dirà sì all’offerta in salsa siciliana – che porta in dote appena 10 milioni di euro per risanare le malconce linee targate Tirrenia – l’operazione, più che di una privatizzazione, avrà il sapore di un’originale forma di federalismo demaniale, in cui a essere devoluta non è una caserma o un’isola, ma un’intera flotta di 44 navi. Per i sardi, invece, avrà il sapore di una beffa. Perché una compagnia di navigazione che manda – più avanti che indietro – eserciti di lavoratori, studenti, viaggiatori della speranza e migranti loro malgrado sarà comandata a Palermo secondo logiche siciliane. Altro che continuità territoriale: cadrà pure quell’ultimo brandello di equità per il quale i sardi – unici contribuenti che non potranno sperare nemmeno in un ponte per raggiungere Roma o Milano – hanno sempre rivendicato la necessità di essere collegati alla Penisola a costi contenuti e in condizioni dignitose. Per non parlare dei flussi turistici, che potrebbero essere dirottati su ben altre linee e altre mete.
Basta contare il numero delle tratte da e per la Sardegna – otto – garantite oggi dalla Tirrenia e quelle da e per la Sicilia – tre – per rendersi conto della sproporzione e capire che il core business della compagnia è tutto lì, tra la Sardegna e la Penisola, non a latitudini più basse. Eppure è Raffaele Lombardo che ha alzato la mano per aggiudicarsi i traghetti di Stato, è Raffaele Lombardo che ha brindato al ritorno a casa, dopo cento anni, di una compagnia nata in Sicilia, mentre Ugo Cappellacci non ha mosso un dito, non ha fiatato, troppo impegnato a risolvere le faide interne di una maggioranza dilaniata.
Vista la sfortunata esperienza degli sgangherati traghetti Tirrenia, per anni spietata monopolista di molte tratte da e per la Sardegna, e visto il confronto con le scintillanti Moby, Grimaldi o Sardinia Ferries, i sardi ci avevano sperato che “privatizzazione” significasse efficienza, innovazione, abbattimento dei prezzi. Invece no, ora si scopre che si tratta solo di una partita di giro – da pubblico a pubblico – o forse peggio: da uno Stato patrigno a una Regione sorellastra.

cappellaforas

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