Scappa come un coniglio

Numerosi i cambi di programma. Salta la conferenza stampa finale
Il premier ha incontrato esponenti del centrodestra e imprenditori
Visita di Berlusconi all’Aquila
Evitati giornalisti e contestatori
Il presidente della provincia chiede un maxi-emendamento al decreto

Berlusconi all’Aquila

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L’AQUILA – Uno slalom tra giornalisti e contestatori. La 14esima visita di Silvio Berlusconi all’Aquila, dopo il terremoto del 6 aprile scorso, somiglia più a una corsa a ostacoli che altro.

Si inizia poco dopo le sedici quando i giornalisti vengono allontanati dall’aeroporto di Preturo, dove è previsto l’arrivo dell’elicottero del premier, per motivi di sicurezza.

Il programma ufficiale prevede che dall’aeroporto Berlusconi vada alle piattaforme antisismiche sulle quali saranno costruiti gli edifici della “città nuova”. Ma arriva subito il cambio di programma: il premier sorvolerà le piattaforme compiendo una ricognizione dall’alto.

Intanto all’esterno della caserma della Guardia di Finanza di Coppito, dove il presidente del Consiglio deve incontrare imprenditori ed esponenti del centrodestra locale, si radunano alcuni sfollati e gli operai della Transcom, gli stessi che avevano manifestato ieri a Roma a Montecitorio e a Palazzo Grazioli. Ma Berlusconi “dribbla” i dimostranti che chiedono una ricostruzione partecipata e trasparente. Il premier, infatti, arriva in caserma direttamente in elicottero.

Inizia l’incontro con i politici del centrodestra e gli imprenditori che hanno vinto gli appalti per la ricostruzione. L’obbiettivo è completare al più presto tutte le opere essenziali. “Turni no stop, anche di 24 ore”, chiede il premier. La polemica sul decreto terremoto però non si arresta. Il presidente della provincia dell’Aquila, Stefania Prezzopane, vuole attraverso l’approvazione di un maxi-emendamento al decreto garanzie per una ricostruzione realmente efficace.

Nel frattempo le forze dell’ordine allontanano dalla sala stampa una delegazione di tre persone che volevano chiedere al premier di finanziare la ricostruzione con entrate certe. E le sorprese non sono finite: alla fine salta anche la consueta conferenza stampa conclusiva. Nel giorno in cui a Bari scoppia l’ennesimo scandalo in cui sarebbe coinvolto, Berlusconi decolla senza incontrare i numerosi cronisti che lo aspettavano.

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New town (ultima minchiata)

Per avere un quadro dei danni ci vorranno tre mesi
di Roberto Rossi inviato a L’Aquila

A Coppito, all’interno della Scuola della Guardia di Finanza, centro operativo della Protezione civile, si fa la conta. Geometri, architetti abilitati, ingegneri, tutti in fila per assumere il ruolo di “verificatore”. Molti volontari, in parte precettati, saranno loro ad analizzare la stabilità degli edifici rimasti in piedi. La ricostruzione dell’Aquila e il destino di oltre 25mila sfollati e senza tetto passa attraverso il loro grado di giudizio. Guido Bertolaso ne ha promessi 1400. La Provincia ne ha calcolati 700. Fino a ieri, comunque, erano in 600. Cartine alla mano, andranno a censire gli immobili a gruppi di due. 50 squadre sono già operative. Se sarà possibile, se i vigili del fuoco daranno il via libera, già da oggi. Altrimenti si aspetteranno i funerali di Stato in programma domani.

Il loro compito, però, si presenta arduo. L’Aquila si è sbriciolata. Sotto colpi di costruttori senza scrupoli e leggi mai applicate. «Vorremmo – ha spiegato il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, ieri in visita – che la città fosse un modello di cantiere sicuro. Basterebbe applicare le norme vigenti». Già, ma quali? In Italia le norme antisismiche, che il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta vorrebbe rafforzare nel Consiglio dei ministri di oggi, sono state completamente riviste nel 2005, subito dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia, ma mai entrate in vigore. Da allora hanno avuto tre proroghe – due sotto il governo Prodi, una sotto il governo Berlusconi -, che ne hanno rimandato l’applicazione al giugno del 2009. Fuori tempo massimo.

Nel frattempo ci si è arrangiati come si poteva. Approfittando della lacuna normativa, tra le regioni italiane ha prevalso il fai da te. Alcune, come il Friuli Venezia Giulia, l’Umbria le Marche o anche il Piemonte, che ha bassi livelli di rischio, nel migliore dei modi. E cioè con l’aggiornamento delle carte sismiche o l’approvazione di regole e prescrizioni per la realizzazione degli edifici, scuole, ponti, capannoni. Altre invece hanno manifestato vistosi ritardi. Tra queste l’Abruzzo e in particolare l’Aquila la cui Provincia aveva un budget di appena trenta mila euro da dedicare alla Protezione civile.

ACQUA PASSATA

Ma quella è acqua passata. Oggi si pensa a dare una nuova vita a chi l’ha persa in dieci secondi. Secondo i calcoli della Provincia ci vorranno tre mesi per censire tutti gli immobili privati. In questo lasso di tempo, ammesso che la tabella di marcia venga rispettata, si dovranno trovare i fondi necessari per affrontare la ricostruzione vera e propria. Quanto serve? Per ora in pochi azzardano cifre. Sabato la regione a Pescara proverà a fare due conti con i costruttori. C’è un riferimento non troppo lontano nel tempo che può aiutare a capire: il terremoto dell’Umbria e delle Marche del 1997. Per rimettere in piedi piccoli paesi come Colfiorito o Sellano, per ricostruire la basilica di San Francesco ad Assisi, si impiegarono 4,3 miliardi di euro. In dieci anni tutti gli sfollati tornarono nelle loro case. Rispetto al terremoto dell’Aquila, però, sono le dimensioni a non collimare. Per quanto violenta la scossa del ’97 colpì una zona tutto sommato poco abitata. Ma oggi è diverso.

Oggi forse il governo rivede le normative mentre lo spettro della “New Town” si aggira per le tendopoli.

All’estero nessuno pensa più alle new town perché sono state un fallimento: non sono né città né campagna. Anche dal punto di vista sociale non funzionano. Non bastano un laghetto o un giardino per fare una città. Massimiliano Fuksas, architetto, 7 aprile

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