Il ritorno di Dalemoni
Ben altre sono le priorità dalemiane: eliminare “la confusione tra indipendenza della magistratura e difese corporative” che consente “a ogni sostituto procuratore di fare quel che vuole: questo è anarchismo distruttivo, altro che indipendenza. Bisognerà mettere mano a una riforma” puntando “sulla responsabilità dei capi degli uffici, perché se ogni pm fa come vuole non serve avere i capi”. È la fotocopia della “riforma epocale della giustizia” (cioè delle procure) annunciata due anni fa da B&Alfano e fortunatamente abortita. Il potere “diffuso” di ogni pm di aprire indagini su ogni notizia di reato è il naturale corollario dei principi costituzionali di indipendenza e autonomia di ogni singolo magistrato e di obbligatorietà dell’azione penale: ma è già stato duramente limitato dall’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella, approvato dal centrosinistra con la complicità della destra nel 2007-2008. Quella controriforma – votata anche dall’allora ministro D’Alema, forse a sua insaputa – già aumenta a dismisura il potere dei capi delle procure a scapito dei sostituti, secondo il modello verticale degli anni ’50, quelli dei porti delle nebbie e delle sabbie, quando bastava controllare un pugno di capi per imbavagliare tutti i pm: infatti si indagava solo sui delitti dei poveracci e mai su quelli dei colletti bianchi.
Il programma minacciato da D’Alema è ancor più pericoloso se