le minchiate di tvemonti e mafiolo

IL FEDERALISMO SECONDO TREMONTI
di Maria Cecilia Guerra 05.05.2009

Approvata definitivamente la legge delega sul federalismo fiscale, resta ora la partita della sua attuazione. Ed è tutta da giocare perché i principi contenuti nella delega sono molto generali e possono dar luogo a esiti assai differenziati. Come correttamente ci ricorda il ministero dell’Economia, la completa riscrittura della struttura della spesa e delle entrate pubbliche auspicata dalla legge manca ancora sia dei supporti fondamentali di conoscenza sia delle scelte politiche che ne caratterizzeranno il mix finale fra autonomia e solidarietà nazionale.

L’approvazione definitiva della legge delega sul federalismo è stata accolta dall’esultanza della Lega in Parlamento (“una giornata storica”). Molto più cauta la reazione della stampa: “che cosa succederà adesso?” È impossibile al momento prevederlo: i principi contenuti nella delega sono molto generali e possono dar luogo a esiti molto differenziati. Come più volte è stato sottolineato anche in questo sito,l’esame dei possibili effetti della delega manca poi di un supporto cruciale: l’analisi quantitativa delle poste in gioco.
Per capire quanto la partita del federalismo sia ancora tutta da giocare, è interessante leggere la sintetica analisi proposta dalla Ruef – Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica alle pagine 160-162, di cui riportiamo alcuni stralci (in corsivo), con alcune sottolineature (in grassetto).

UNA PREMESSA

La Ruef premette che “Il processo di quantificazione finanziaria degli aspetti connessi all’attuazione del federalismo fiscale, in relazione al testo del disegno di legge delega (…) si presenta come un’operazione oggettivamente molto complessa e ciò anche in considerazione dell’incertezza del relativo quadro di riferimento. Ne deriva che non è possibile determinare ex ante le conseguenze finanziarie dell’intero processo, a causa dell’elevato numero di variabili che dovranno essere definite in sede di redazione dei decreti legislativi di attuazione”.

CLASSIFICAZIONE E DEFINIZIONE DELLE FUNZIONI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI

Un primo problema riguarda la definizione e la classificazione delle funzioni delle regioni e degli enti locali. La delega sul federalismo prevede infatti che mentre per i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) erogate dalle regioni (e che interessano campi rilevanti quali la sanità, l’istruzione e l’assistenza) e per le funzioni fondamentali degli enti locali deve essere previsto il finanziamento integrale del fabbisogno standard, per le altre funzioni regionali e degli enti locali il finanziamento deve avvenire principalmente con entrate proprie, assistite da un fondo di perequazione che elimina solo in parte le differenze fra le capacità fiscali dei diversi territori. In altre parole, per Lep e funzioni fondamentali si cerca di assicurare, attraverso un finanziamento adeguato e una perequazione delle risorse che tiene conto delle diversità nei bisogni, una certa omogeneità di offerta sul territorio nazionale, per le altre funzioni invece gli spazi di autonomia e differenziazione sono molto più ampi.
Ma la Ruef ci ricorda che:“Non risultano agevolmente individuabili le specifiche attività amministrative da ricondurre alle funzioni di competenza delle regioni e degli enti locali, né è chiaro quali attività amministrative siano da ricondurre ai livelli essenziali delle prestazioni per le regioni e quali alle funzioni fondamentali per gli enti locali”.
Più in particolare, secondo la Ruef, l’individuazione dei Lep è “una scelta di definizione degli standard minimi di servizio che, oltre agli aspetti tecnici, potrà riflettere anche più ampi obiettivi di politica economica. Tale valutazione non potrà che aver luogo in sede di confronto tra i rappresentanti dei livelli istituzionali interessati all’attuazione del federalismo fiscale”.
Per ora quindi se ne sa poco o nulla. La delega non detta nessun principio per la definizione di tali livelli, in quanto essi non saranno oggetto di un decreto attuativo ma dovranno essere definiti con legge dello Stato. L’unica cosa che il Mef sembra dare per acquisita è che si tratta di standard minimi: lo slittamento semantico, da livelli “essenziali” a livelli “minimi”, non può infatti essere casuale, dopo un dibattito che dura orami da un decennio sulle diverse implicazioni, in termini di riconoscimento dei diritti di cittadinanza, dell’una o dell’altra definizione.

CLASSIFICAZIONE E QUANTIFICAZIONE DEI TRASFERIMENTI ERARIALI

La delega prevede la soppressione dei trasferimenti erariali esistenti e la loro sostituzione con compartecipazioni o tributi propri. Poiché però i trasferimenti attuali servono per finanziare tipologie di spesa diverse che, come si è detto, con l’attuazione del federalismo fiscale saranno assistite da garanzie di copertura finanziaria differenziate, occorre “una puntuale identificazione delle finalità per le quali tali trasferimenti sono attualmente erogati e delle loro fonti di finanziamento. Si tratta di un’operazione che dovrà realizzarsi in un contesto caratterizzato da una serie di finanziamenti senza vincolo di destinazione o destinati ad interventi molto specifici nei singoli territori, rendendo così impegnativo ricondurre i medesimi trasferimenti ad una delle tre tipologie (Lep, non Lep e interventi speciali) previste dal disegno di legge”.

SUPERAMENTO DEL CRITERIO DELLA SPESA STORICA A FAVORE DEI COSTI STANDARD

La delega richiede che la quantificazione dei fabbisogni di spesa per i Lep e per le funzioni fondamentali avvenga con riferimento ai costi standard per la loro erogazione. Per valutare tali costi è indispensabile conoscere, quantomeno, la spesa storica per ciascuna funzione. Le informazioni finanziarie di base dovrebbero essere rilevate dai bilanci dei diversi soggetti istituzionali. A questo proposito, però, la Ruef ci ricorda che “i bilanci regionali risultano fortemente disomogenei e scarsamente confrontabili, mentre i bilanci degli enti locali sono classificati secondo uno schema omogeneo e sono oggetto di rilevazione da parte del ministero dell’Interno. Anche per questi ultimi, in ogni caso, si rileva una certa disomogeneità delle metodologie contabili adottate, per ciò che, in particolare, attiene l’applicazione della classificazione funzionale e il diversificato ricorso alle esternalizzazioni dei servizi”.

I COSTI DEI SERVIZI ESTERNALIZZATI

La delega prevede infatti che, ai fini della determinazione del fabbisogno finanziario, si tenga conto della spesa relativa a servizi esternalizzati, o svolti in forma associata, per la rilevante incidenza che tale fenomeno ha presso gli enti territoriali. “Un elemento di criticità deriva dal fatto che non sono disponibili bilanci consolidati degli enti locali e delle loro società ed aziende partecipate, per cui non risulta possibile definire con precisione il livello di spesa pubblica degli enti territoriali. Inoltre, nei casi in cui gli enti hanno esternalizzato anche le fonti di finanziamento, i bilanci sono ancor meno rappresentativi delle attività svolte a livello locale”.
Insomma, come correttamente ci ricorda il Mef, la completa riscrittura della struttura della spesa e delle entrate pubbliche auspicata dalla delega sul federalismo manca ancora sia dei supporti fondamentali di conoscenza sia delle scelte politiche che ne caratterizzeranno il mix finale fra autonomia e solidarietà nazionale.

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I colpevoli del disastro

La Procura dell’Aquila acquisisce il carteggio tra Regione ed enti locali.
«Intervenite o crolla tutto»: ai pm il dossier segreto che annunciava il disastro
La Protezione civile censì gli edifici nel 2005. «Ecco chi poteva salvare scuole e ospedali»

L’AQUILA — Avevano compilato le schede di valutazione, individuato le «criticità», elencato gli interventi da effettuare e persino l’entità dei fondi da stanziare. Ma quelle indicazioni fornite nel 2005 dai tecnici della Protezione civile dell’Abruzzo guidati dall’ingegner Pierluigi Caputi sono rimaste sulla carta. E le decine di edifici inseriti nella lista di rischio sono venuti giù con la scossa della notte del 6 aprile, provocando in alcuni casi anche morti e feriti. La procura dell’Aquila acquisisce il carteggio finora segreto tra Regione ed enti locali, e apre il capitolo delle responsabilità dei pubblici amministratori. Perché quelle schede consentono di individuare chi doveva intervenire e invece non ha dato seguito alle segnalazioni. Basta scorrere la lista per capire quanto dettagliate fossero state le ispezioni. E basta guardare quel che resta dei palazzi del centro storico della città per capire che cosa non abbia funzionato.

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L’esempio più eclatante è quello della scuola elementare De Amicis di San Bernardino. Il grado di vulnerabilità assegnato dagli esperti era 36, il più alto. Nella tabella sui livelli di pericolo erano previste tre opzioni: danno lieve, danno severo, collasso. E così il grado di resistenza assegnato nell’ipotesi di sisma più grave era 0,099, cioè nullo. Al di là dei numeri e dei calcoli matematici la conclusione era chiara: così come era costruito, il palazzo non avrebbe potuto resistere a un terremoto di forte intensità. Esattamente quello che è avvenuto, il tetto è crollato e le mura sono pericolanti. Stesso discorso per la casa dello Studente, per la prefettura, per l’ospedale San Salvatore. Perché anche in questi casi la «vulnerabilità» era stata ben evidenziata dai tecnici, ma gli enti gestori non hanno provveduto a sanare le carenze.

Nella relazione preliminare che dovrà essere esaminata dal procuratore Alfredo Rossini e dal suo sostituto Fabio Picuti è ricostruita la storia di un disastro purtroppo annunciato. Una devastazione della quale si chiederà conto nei prossimi giorni alle imprese edili che hanno costruito i palazzi senza rispettare la normativa e a chi avrebbe dovuto vigilare perché questo fosse evitato. «Nell’anno 2001 — è scritto nel documento — il Dipartimento della Protezione civile diffondeva a tutti gli enti pubblici i risultati di una sua campagna di indagine, svolta negli anni 1997-1999 relativa a valutazioni di vulnerabilità sismica su edifici pubblici, strategici e speciali ricadenti nell’Italia Centro-meridionale ». Ed ecco il passaggio chiave: «L’analisi era posta a disposizione dei soggetti pubblici proprietari di immobili per le eventuali attività di prevenzione». È proprio a questi «soggetti» che i magistrati chiederanno conto. Ma non solo. Nel documento si rintracciano gli indizi per individuare la catena di responsabilità. Perché si specifica che «gli obblighi di messa a norma degli edifici e infrastrutture destinati ai diversi usi resta, in termini generali, in carico ai singoli soggetti proprietari, così come peraltro ribadito dall’Ordinanza della presidenza del Consiglio 3274/2003 che avviava il programma generale di messa in sicurezza in relazione alla emanazione della nuova normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica».
Ma la relazione fornisce anche altre informazioni utili all’indagine: «Nell’anno 2004 si avviava altresì una analoga indagine finalizzata alla migliore allocazione delle risorse finanziarie che man mano si sarebbero rese disponibili per la messa in sicurezza sismica degli edifici e delle infrastrutture di carattere strategico e rilevante. Anche tale attività vedeva il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti proprietari di immobili, in una prima fase per l’individuazione e la caratterizzazione di massima degli edifici, e in una fase successiva per il reperimento della documentazione tecnica disponibile e per il supporto tecnico-logistico durante l’esecuzione dei sopralluoghi. Sulla base dei risultati di detta attività e delle priorità discendenti, negli anni 2005-2007 sono stati definiti (con fondi sia regionali che attribuiti dalle Ordinanze della presidenza del Consiglio dei ministri 3602/2004 e 3505/2005) due distinti programmi di verifica sismica delle strutture censite, attribuendo ai soggetti proprietari risorse per le verifiche di adeguatezza sismica rispetto alla nuova normativa». L’obiettivo è specificato: verifiche nel territorio regionale su circa 280 edifici e su circa 100 ponti e viadotti. Palazzi e infrastrutture che in molti casi non hanno retto al terremoto di dieci giorni fa.

Fiorenza Sarzanini
17 aprile 2009

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