Il ritardato arriva in ritardo

Festa Repubblica, premier in ritardo
causa «telefonate istituzionali»

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è arrivato con circa un quarto d’ora di ritardo alla tribuna d’onore per assistere alla tradizionale parata militare ai Fori Imperiali in occasione della “Festa della Repubblica”.


°°° Ecco in esclusiva il testo di una telefonata istituzionale di Mafiolo:
“Pronto? Mi conscienta… hai un viso angelico… ho appena visto il tuo book fotografico che mi ha portato la servitù di rete 4… lo sciai che potresti fare la velina? Domani ti mando un bombardiere militare a prenderti a Casoria e vieni a trovarmi nella mia villa in Sardegna. Non preoccuparti… niente di depravato o di lecito, solo un rapporto da padre a figlia. Anzi… chiamami “papi”. Parliamo esclusivamente di lavoro e della tua carriera. Porta i tuoi quadernetti, così, mentre noi lavoriamo, ti faccio correggere i compitini dalla Gelmini. Cantiamo il karaoke e ragioniamo dei grandi sistemi. Ah… le manette col peluche le porto io, tu… non mettere le mutandine. Ti baciuo, cara. Ora scusami, ma devo andare a recitare la gag del “grande statista” alla sfilata militare. Spero che non si accorgano che l’ho fatta ridurre ai minimi termini… perché gli automezzi delle forze armate hanno la benzina giusta giusta dal Colosseo a garage militare.”

berlus_cazzaro

GHEDINI, PRONTO AD AGGREDIRE NOI CHE INFORMIAMO

ghedini

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“La sinistra mi odia”

Belpietro: “L’ex fidanzato di Noemi ha avuto una condanna”
E la campagna elettorale del Cavaliere procede in sordina
Berlusconi: “La sinistra mi odia”
Bondi attacca Repubblica a Ballarò
di GIANLUCA LUZI

ROMA – Da qualche giorno il Cavaliere furente evita il contatto con la folla. Insolito per lui e infatti, dopo un periodo di clausura costellato solo di interviste tv e sfoghi con i giornali amici, ha deciso di farsi vedere di nuovo in piazza. Stasera intanto, dopo l’incontro con Zapatero, sarà all’Olimpico per assistere alla finale di Champion’s. Poi, forte della sicurezza di avere con sé gli italiani, sarà venerdì all’Aquila, sabato alla Maddalena per controllare i lavori dopo lo spostamento del G8. Domenica andrà a Bari per un comizio e dopo la parata del 2 giugno ai Fori Imperiali potrebbe intervenire a qualche altra tappa elettorale a partire da Milano. Convinto che ci sia un’offensiva che mette in fila la sentenza Mills e il caso Noemi, Berlusconi si sfoga: “Ogni giorno mi stanno gettando del fango adosso, ma io sono sereno, vado avanti per la mia strada…”.

Di tutto il caso Noemi si è occupata ieri sera una infuocata puntata di Ballarò in cui il ministro Bondi ha attaccato aspramente il nostro giornale e il direttore di Panorama Maurizio Belpietro, polemizzando con il direttore di Repubblica Ezio Mauro, ha sostenuto che l’ex fidanzato di Noemi, Gino Flaminio, sarebbe stato condannato in passato a due anni e sei mesi. La strategia del premier scelta con il suo avvocato-deputato Niccolò Ghedini – che ieri è entrato a Palazzo Grazioli appena il premier è tornato da Arcore – è ormai consolidata: la sinistra allo sbando e a corto di argomenti si butta sul gossip “per inventare storie false, gettare fango. Tutta una messinscena per disarcionarmi”. Questo lo ha detto al telefono a un convegno di partito a Milano. E gli uomini della sinistra – ha rincarato la dose a un’emittente toscana – sono “politici professionisti che non sanno fare altro mestiere se non la politica e che quindi lo fanno non per gli altri ma per se stessi e sono malati di odio politico”.
……………………………………………………………………………….

°°° Il farabutto è lesso, cotto, finito. Noi tutti sappiamo che non direbbe una verità nemmeno in punto di morte, ma arrivare a partorire un vermetto da formaggio marcio, dopo tutti i brain storming durati due settimane con tutti i “geni” della sua cosca… è davvero sintomo di mesto tramonto definitivo. Poi, per carità: coi tg che oscurano i fatti e col fatto che i suoi elettori – mafie a parte – sono solamente dei poveri analfabeti che si cibano esclusivamente di tv, potrebbe anche arrivare al 40% dei voti. Che però sono sempre forte minoranza nel paese. Ancor più minoranza se si pensa ai carri armati impiegati contro cerbottane e freccette delle opposizioni. Sarà, ma è davvero triste riscontrare che ancora una volta – e ora più che mai – i suoi pappagallini per difenderlo sono stati costretti a scendere nell’abisso della comunicazione, utilizzando metodi da giallo di serie C mescolati coi soliti metodi mafiosi. Ma come si fa a parlare di Gino (l’ex di Noemi) come di un pericoloso rapinatore e con i toni inquisitori usati da belpietro e bondi? Ghedini, come ho sempre pensato, davanti a un avvocato vero, farebbe la misera figura del peracottaro che è. E questo è il migliore che Mafiolo ha… Infine, crede che dare dei “politici professionisti” agli uomini della sinistra sia un’offesa. E per lui lo è, visto che non sa un cazzo nemmeno di politica, visto che ha usato e usa la politica esclusivamente per non andare in galera.

berlus_cazzaro3

surreale

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Un pensiero a Francesco

FRANCESCO SALIS

Ai media regionali non è fregato niente, impegnati come sono a celebrare qualunque merda inutile e senza pregio, ma due anni fa è mancato il più grande compositore sardo di tutti i tempi e uno dei più grandi chitarristi europei. E’ mancato un uomo buono e meraviglioso. Molto più bravo di me nell’arte della diplomazia, forse troppo. Troppo schivo e timido. Infatti, che fosse un genio della musica lo sappiamo solo io, pochi intimi, Phil Spector, Brian Epstein, George Martin, Fabrizio De Andrè e tutti i più grandi addetti del mondo, oltre ai musicisti italiani bravi e non dei nostri tempi.

Non c’è più mio cugino, che era molto più di un fratello per me. Se n’è
andato FRANCESCO SALIS.

Insieme abbiamo scritto canzoni, quando nessuno in Sardegna scriveva
canzoni. Abbiamo fatto tanti spettacoli live di una dignità e di una
professionalità che qui non si erano mai viste. Ma mica perché eravamo i più bravi di tutti! No, semplicemente – oggi lo posso dire a voce alta – perché abbiamo avuto più coraggio degli altri. Noi siamo andati a IMPARARE, cosa che non aveva fatto mai nessuno prima e che tantomeno fanno i giovani di oggi. Troppo più comodo stare a casetta propria, con la mamma che lava, stira e cucina e babbo che sgancia qualche soldo. Il talento da solo non basta. Il talento è come l’amore: va coltivato, va aiutato a crescere, va coccolato e servito. Ci vogliono sacrifici, tanti, se si vuole mettere a frutto una dote naturale. E ci vuole umiltà. E così, mentre qualche nostro coetaneo andava ancora a scuola e qualcun altro passava le giornate al bar, noi abbiamo fatto fagotto a sedici anni e siamo partiti per Roma. Io facevo il cameriere e studiavo, andavo a vedere tutti i film e tutti gli spettacoli
che potevo per poter “rubare” un po’ di mestiere a tutti quelli bravi.
Volevo fare l’attore. Francesco suonava con tutti i mostri sacri dell’epoca, taliani e internazionali. E anche lui rubava tecniche e mestiere a tutti.
Ricordo ancora che dormivamo in una pensionaccia con uso cucina nei pressi
della stazione Termini. “S’Aquila” chiamavamo la vecchia padrona, perché strillava sempre ed era brutta come una bolletta dell’Enel. Io staccavo a mezzanotte dal mio lavoro alla Taverna Ulpia, che allora era un locale dilusso ai Fori Imperiali, levavo la giacca bianca per indossarne una nera e filavo, elegante come un figurino in smoking, alla volta del Capriccio o del Pipistrello, piuttosto che del Tucano o qualche altro night di via Veneto.
Raccontavo qualche storiella in francese e in inglese, avevo diritto a uno spuntino, verso le due, e al pomicio libero se c’era qualche fata
disponibile. Eravamo in piena DOLCE VITA e tutti gli attori e le attrici più
famosi del mondo erano lì. Sembrava di vivere in un film di Hollywood. Lì c’era anche Francesco che suonava, prima coi Barritas, poi con Edoardo Vianello e infine coi Poker d’Assi, e faceva delle session da capogiro con Riccardo Rauchi o Basso e Valdambrini, piuttosto che con Barny Kessel o Miles Davis o Carosone al piano. Poi, verso le cinque del mattino, rientravamo a piedi e, mentre io e gli altri musicisti andavamo in letargo, lui smontava la chitarra, metteva le corde a bollire poi le asciugava con cura e lerimontava, accordava e – in sordina – provava tutte le cose nuove, gli accordi o i passaggi e le svisature che aveva imparato anche quella notte dai grandi. Io spesso dormivo con un occhio solo e mi addormentavo sorridendo. Chissà quanti dei ragazzi di oggi sarebbero capaci di fare altrettanto. Suonare con amore per dieci/dodici ore di fila, intendo. Oggi vedo molta tecnica e poco cuore nei musicisti nostrani. I ricordi sono troppi. Troppi anni abbiamo vissuto insieme e mai abbiamo trascorso un giorno banale. La mia memoria vola come un’ape e ogni tanto si ferma a succhiare un momento. Rivedo le notti in cui tornavamo da qualche serata nel sassarese o nel nuorese e ci fermavamo a “fare la spesa” in qualche campo di carciofi novelli, ai margini di Santa Giusta. Francesco, col suo spolverino bianco, l’avrebbero visto a un km di distanza, infatti non vedeva l’ora di
smarcarsi dal campo: “Ajò, sussurrava, svitàndi atrus quattru o quìndisci e andàusu” (Dai, svitane altri quattro o quindici e andiamo). Rivedo noi, Salis&Salis ragazzini, quando incidemmo il nostro primo LP a Milano.
Lo producevo io e non avevo tantissimi soldi. Dovevamo fare presto: lo studio di registrazione costava una tombola ogni ora. Finite tutte le basi in un giorno e mezzo (allora c’erano molti colleghi che per fare un disco impiegavano anche tre o quattro mesi di studio), mancava poco alla pausa pranzo e chiesi a Francesco: “O Leo (diminutivo di LEONE DI DAMASCO, come lo chiamava Buscaglione perché, quando partiva con un assolo particolarmente impegnativo aveva la grinta di un leone), te la senti di fare qualche assolo prima di andare a brucare?” E lui, poggiando l’acustica e imbracciando la Fender Stratocaster: “Ehia, dai… due o trenta li proviamo a fare.” Io davo di gomito all’ingegnere del suono, in regia, e gli dicevo di preparare la pista per gli assoli. Ricordo ancora la sua faccia: “In mezz’ora? Ma non fa in tempo a farne nemmeno uno, specialmente se improvvisa.” Lo compatii e scommisi la cena. Leo controllò l’accordatura: perfetta. “Parti con le basi.” Tredici assoli in quaranta minuti. Il tecnico ci pagò una lauta cena.
Qualche anno più tardi, a Roma, io lavoravo e studiavo. Vivevo con una
famosa cantante in piazza Firenze. Lui suonava con Vianello e la Goich e
dormiva a casa della sorella Gianna a Montemario. Ci trovavamo almeno due sere a settimana a piazzale degli Eroi, intorno a mezzanotte. Francesco arrivava con una 500 rossa vecchio modello e parcheggiava sotto un lampione: avevo bisogno di luce. Poche parole. Era un rito consolidato. Apriva il deflettore per permettere al manico della chitarra di uscire, io aprivo il mio blocco e cominciavamo a comporre le nostre canzoni più belle. Una notte di primavera, faceva freschetto ed eravamo imbacuccati, mentre eravamo tutti intenti a scrivere un pezzo per Caterina Caselli, ci compaiono davanti due poliziotti: “Documenti. Patente e libretto.” Tiriamo fuori i documenti, ma uno dei due insiste: “Patente e libretto.” Noi ci guardiamo in faccia e cominciamo a ridere. Una risata nervosa che non finiva mai. Francesco, tra le convulsioni, fa: “Patente a me?! MAI AVUTO PATENTE, IO!” E giù a ridere.
I due agenti, non sapendo esattamente come reagire e non volendo, presumo, danneggiarci, cominciarono a ridere anche loro e quello che sembrava il capo ci rese le carte d’identità e diede una manata alla macchina: “Ma annatevan’affanculo! ‘A stronzi! Forza, sgombrate. Annate a casa a smaltì!” Ce la cavammo, e quella canzone non la incise mai la Caselli, ma “The 5th Dimension”, subito dopo il successo planetario di “Acquarius”. Scusate se è poco.

Chiudo il librone dei ricordi con le ultime immagini che ho di Francesco.
Due anni fa, mi ha convinto a riprovare a comporre insieme. Aveva tante
bellissime musiche e tanti spunti e in Sardegna, ripeteva, non c’era nessuno in grado di scrivere parole come si deve. “Forza, Di Santa, aberri su bloccu magicu! Faimmì sognài.” (Forza, Di Santa – un nome d’arte ridicolo che mi ero inventato quando volevo fare l’attore a Cinecittà: LUCIO DI SANTA (sottinteso: GIUSTA) – apri il blocco magico e fammi sognare.)
Era scarno e affaticato, sembrava Eduardo quando da vecchio faceva il vecchio. Gli occhi gli brillavano solo quando arrivavo io a casa sua e poteva rimettere in funzione chitarra e registratore.
Abbiamo composto quindici bellissime canzoni in meno di un mese: la più scarsa potrebbe agevolmente vincere un qualunque Sanremo.
Forte del mio nome, ho mandato i CD dei provini a tre delle maggiori multinazionali del disco. Cercavo un editore e un contratto, almeno per Francesco, ché non poteva campare con due soldi di pensione. Gli avevano aperto il petto già tre volte e nessun chirurgo ci voleva più mettere le mani. I politicanti sardi, sempre pronti a foraggiare
dei lestofanti cagliaritani o nuoresi senza arte né parte, ignoravano
Francesco. Spero che il sindaco di Santa Giusta, si ricordi di intitolargli
almeno una strada. Mandai i CD, dicevo, e questi boss della editoria
musicale, molto cortesemente, ascoltarono il materiale e mi risposero nel
giro di una settimana. Sconfortante. Il più intelligente fra loro, il capo
della Sony, mi disse: “Ma, Lucio, che roba mi hai mandato? Senza
arrangiamenti, così miserine. Noi stiamo cercando roba alla Britney Spears!”
“E chi è? Ma sei un editore o cosa? I brani devono vivere anche chitarra e voce. Le cagatine che dici tu, quando gli togli gli arrangiamenti e la gazzosa non esistono. Io ti ho mandato dei pezzi che saranno validi anche tra cinquant’anni. Pensaci bene: chi cazzo te lo paga lo stipendio? Te lo dico io, non certo Britney Spears, i Beatles te lo pagano, Modugno te lo paga! Scemo!”
Scusami, Francesco, questa volta non ce l’ho fatta a fare la magia.

Lucio

°°° Amici, perdonatemi questa botta di nostalgia. Grazie.

francesco-tonietto

salis

checco

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