La cosca del mafioso di Hardcore si sta votando l’ennesima fiducia sulla macelleria sociale e la salvaguardia delle mafie.

Ma che cazzo di opposizione abbiamo? E’ il momento di rovesciare i banchi e aggredire fisicamente questa feccia malavitosa che da 20 anni devasta l’Italia. BASTAAAAAAAA!

BASTA CON QUESTA FARSA ALLUCINANTE DI9 UNA COSCA MAFIOSA CHE SI SPACCIA PER GOVERNO E PER UNA MAGGIORANZA DI MALAVITOSI CHE NON HANNBO LA MAGGIORANZA NEMMENO A CASA LORO! RAPPRESENTANO SOLO SE STESSI E FANNO I PADRONI DI TUTTI NOI…

MA BASTAAAAA

b.cagare

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Poker online, l’azzardo di Stato piace alla criminalità organizzata°°°Altro regalo di B. alle mafie.

Poker online, l’azzardo di Stato
piace alla criminalità organizzata

Allarme della commissione antimafia: la spesa per i giochi è cresciuta del 13%, ma la raccolta fiscale
è diminuita dello 0,8%
. Le mafie attratte dai nuovi giochi. Mentre cresce il numero di ludopatici.

cazzi vostri

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Ma quanto son cazzari gli svizzeri? Condannano Delon per una stronzata e loro sono ricchi grazie alle mafie.

Targhe contraffatte, Delon nei guai

L’attore condannato in Svizzera a una maxi-multa

MILANO – Alain Delon è stato condannato dalla giustizia svizzera per aver utilizzato targhe automobilistiche contraffatte. La più alta giurisdizione della Svizzera, ha condannato in appello l’attore francese ad una multa di 1.500 franchi svizzeri (1.300 euro), secondo quanto si legge nella sentenza del Tribunale federale, citata dal sito internet del settimanale francese Voici.

CONDANNATO – In particolare, i giudici elvetici hanno «respinto» il ricorso dell’attore contro una prima sentenza del settembre 2010. Delon ha immatricolato con targhe intercambiabili, una pratica autorizzata in Svizzera, due veicoli, una Mercedes e una Bmw. Tuttavia, è colpevole di aver realizzato dei doppioni a Parigi, per la sua società di produzione. Obiettivo? Non dover trasferire le targhe da un’auto all’altra. Secondo la sentenza, le targhe realizzate a Parigi «non provengono da un fornitore ufficiale» e sono «contraffatte».

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Come il regime Burlesquoni protegge sfacciatamente le mafie.

Il servizio protezione senza più fondi
scatta la protesta dei pentiti nei processi

Qualcuno è stato sfrattato per morosità perché lo Stato non riesce a pagare l’affitto. Altri sono costretti ad andare a deporre senza neanche l’auto blindata. I tagli al comparto sicurezza stanno esasperando i collaboratori di giustizia e i loro avvocati, che non vengono pagati da mesi. Un gruppo di ex boss di Cosa nostra ha deciso di protestare pubblicamente, prima di ogni deposizione

di SALVO PALAZZOLO

Il servizio protezione senza più fondi  scatta la protesta dei pentiti nei processi La deposizione di un pentito nell’aula bunker romana di Rebibbia

Il servizio centrale di protezione batte cassa, da mesi non ci sono più fondi per i collaboratori di giustizia. Alcuni pentiti sono stati addirittura sfrattati per morosità dalla casa in cui abitavano, in località segrete, perché lo Stato non riesce più a pagare gli affitti ai proprietari. Qualcuno è finito ospite anche di comunità religiose, con tutti i problemi di sicurezza che ne derivano, per il diretto interessato e per gli ignari volontari che si occupano della sua assistenza. E si è arrivati al paradosso che l’ex mafioso catanese Roberto Spampinato non può neanche scontare gli arresti domiciliari, perché dopo lo sfratto non ha più una fissa dimora. Al giudice del tribunale di sorveglianza di Roma non è rimasto che

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“LA MACCHINA DELLA MUNNEZZA”°°°Guidata e depredata da silvio burlesquoni e le mafie.

“LA MACCHINA DELLA MUNNEZZA”

Il neo-sindaco di Napoli denuncia un sabotaggio contro il suo piano anti-spazzatura. Sotto accusa
il sistema politico-affaristico che lucra sul ciclo dei rifiuti. In città 2mila tonnellate di immondizia°°° la famigghia burlesquoni c’è fino al collo nel business e il povero paolo, cocainomane e stupido, è già stato condannato tre volte al posto del nano.

b.munnezz

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COME LA COSCA bERLUSCONI CONTINUA A LAVORARE PER LE MAFIE.

Ecomafie, nuovo stop per il Sistri
Si riparte a gennaio 2012

Per il sistema di controllo satellitare del percorso dei rifiuti un altro rinvio, il terzo. Doveva partire a inizio giugno, ma se ne riparla il prossimo anno. Il flop della ministra Prestigiacomo

Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo

“Partirà il primo giugno. Nessuno sconto”. Queste le parole del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo nel marzo scorso, quando accompagnò in un tour i giornalisti per spiegare le virtù del Sistri, il suo cavallo di battaglia da quando è diventata titolare del dicastero. Un cavallo di battaglia ancora fermo al palo.

Il Sistri, il sistema di controllo satellitare del percorso dei rifiuti che dovrebbe combattere le ecomafie doveva partire a inizio giugno, ma è

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Meno male che silvio c’è! Le mafie ringraziano. Come sempre, quando c’è lui.

Dalla banca dati del Fisco
la radiografia dell’evasione in Italia

Le nuove tecniche mettono in luce le incoerenze: a Prato
i rifiuti pro capite rivelano che c’è chi lavora in nero

Punte del 66% a Caserta e Messina. Roma e Milano al 10%

ROMA – Il contribuente italiano, in media, evade 17 euro e 87 centesimi per ogni 100 euro di imposte versate al Fisco. Se però si escludono i redditi che non si possono evadere (lavoro dipendente, pensione, interessi su Bot e conti correnti, eccetera) la percentuale sale a ben 38 euro e 41 centesimi. Ma in certe zone questa evasione arriva a 66 euro mentre in altre scende a 10.

Clicca qui per ingrandire la mappa dell'evasione
Clicca qui per ingrandire la mappa dell’evasione

Anche precisando che nell’imposta non versata è compresa pure quella frutto di errori e quella dovuta a mancati pagamenti da parte delle aziende colpite dalla crisi, resta il fatto che parliamo di livelli di evasione comunque molto alti. Dentro c’è di tutto. Si va dagli scontrini e dalle ricevute che non sono stati emessi all’attività svolta completamente in nero, dall’Iva non pagata all’immobile non dichiarato, dalle parcelle richieste sottobanco alle truffe sulle compensazioni fiscali. Insomma, chi non subisce la ritenuta alla fonte e può evadere non ci sta troppo a pensare. E così sottrae al Fisco, in media, ben più di un terzo dell’imposta che dovrebbe pagare, con punte di due terzi e oltre.

Ma come si è arrivati a questi dati? Prendete 50 indicatori statistici di tipo economico, sociale, finanziario, demografico. Seguitene l’andamento dal 2001 a oggi. Incrociateli tra

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Lo schifo del regimetto delle banane in mano a P2 e mafie

Ruby disse: il mio avvocato è Ghedini

Il fidanzato Luca Risso. Una schiera di legali. I milioni e l’ombra del Caimano. La rete di protezione che salva B. e vuole sabotare l’inchiesta

La rete attorno a Ruby si stringe presto, quando ancora nessuno la conosce, mesi prima che scoppi lo scandalo della minorenne che rivela il bunga-bunga di Arcore. È una rete fatta di persone (l’impresario Lele Mora, l’avvocato Luca Giuliante, il “fidanzato” Luca Risso, la “consigliera ministeriale” Nicole Minetti) e di soldi, tanti soldi. E, sopra tutti, Niccolò Ghedini, che veglia silenzioso sulle sorti del presidente del Consiglio.

La rete di protezione e di contenimento scatta dopo la notte in questura, il 27 maggio 2010, quando a tirar fuori dai guai Ruby (ma soprattutto Silvio Berlusconi) viene mandata Nicole Minetti. Poi scattano Mora, Giuliante, Risso. Il culmine dell’“attività inquinatoria” è raggiunto nella notte del 6 ottobre 2010, quando Karima El Mahrough, in arte Ruby, viene “interrogata”, e non dai magistrati. Ora le carte depositate dalla procura di Milano rivelano chi l’ascolta, quella notte, e la interrompe quando arriva “alle scene hard con il Pr…”: l’avvocato Giuliante, alla presenza di Lele Mora, dell’“emissario di Lui” e di una donna che verbalizza.

Ma andiamo per ordine. L’avvocato Giuliante “protegge” Ruby già nel luglio 2010. Ecco che cosa scrivono in un loro rapporto del 31 luglio 2010 i responsabili della

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Altre porcate pericolosissime del mafionano e delle mafie. Aste giudiziarie truccate.

INCHIESTA ITALIANA

Il bluff delle aste giudiziarie
nelle mani di boss e affaristi

L’avvento dei professionisti nel gioco delle acquisizioni ha moltiplicato i vantaggi per pochi e la scarsa trasparenza in un business da dieci miliardi. E per il cittadino diventa impossibile comprare casa

di ENRICO BELLAVIA

Il bluff delle aste giudiziarie nelle mani di boss e affaristi

ROMA – Una casa su dieci passa di mano alle aste giudiziarie. Un mercato nel grande mercato immobiliare. E in costante crescita, con il trenta per cento di transazioni in più ogni anno. Centocinquantamila gli immobili ceduti nel 2010. Con previsioni di ulteriore espansione, considerando che le proprietà a rischio di procedura esecutiva sono più del doppio. Dieci miliardi sui 100 della borsa del mattone vengono già spesi così, all’interno di un sistema che, sulla carta, offre mille garanzie di trasparenza ma che gli operatori per primi considerano una prateria per le scorribande di speculatori affaristi e mafie. I vecchi proprietari rientrano con le buone o con le cattive in possesso degli immobili perduti, i nuovi potenziali acquirenti sono indotti a mollare l’affare o a versare sostanziose tangenti per non incontrare ostacoli. Agenzie che operano alla luce del sole e faccendieri che si propongono come consulenti alle aste si infiltrano tra le pieghe delle regole che governano gli incanti, ne pilotano gli esiti e fanno incetta di immobili.

VIDEO Così la mafia ricompra le case confiscate 1

Per il cittadino qualunque avventurarsi nell’acquisto di una casa o di un terreno messi in vendita dai tribunali equivale a intraprendere spesso un percorso pieno di insidie. Per evitare le quali il ricorso all’intermediazione diventa

l’unica alternativa. Ma come funziona il sistema? Dove sono le trappole? Quali i trucchi?

I SIGNORI DELLE CASE
Un esperto di aste che conosce bene quel mondo confessa candidamente: “Per un acquirente che decida di concorrere da solo, le speranze di concludere positivamente l’affare si assottigliano e di molto e soprattutto si assottigliano le previsioni di strappare un immobile a prezzi stracciati. Quello è mestiere per chi sa tenere a bada le offerte fino a far crollare il prezzo ed entrare in gioco solo quando le decurtazioni hanno fatto precipitare il valore del bene”.

Un gioco di nervi, ma anche e soprattutto di astuzia. Che autorizza metodi spicci, come l’allontanamento preventivo dei concorrenti o i patti di cartello che consentono la turnazione alle aste di gruppi organizzati. Si calcola che a rischio sia almeno il venti per cento delle compravendite, in cifre due miliardi di euro all’anno. Con buona pace del fisco che vedrà volatilizzarsi parte del proprio gettito in favore di una “tassazione criminale”.

Il sistema prevede che la vendita sia gestita da un giudice. Ma, con l’obiettivo di velocizzare le transazioni e smaltire l’arretrato, chiudendo in tempi ragionevoli procedure esecutive che durano anche 15 anni, dal primo marzo 2006 si è introdotta la delega ai professionisti. Avvocati, commercialisti, esperti contabili, oltre ai notai che già operavano in precedenza, possono ora procedere alla vendita.

Le aste sono pubbliche, chiunque può assistervi – gli annunci compaiono sui giornali e su Internet – e chiunque, meno che il vecchio proprietario, può concorrere. Nella vendita senza incanto le offerte arrivano in busta chiusa e rimangono segrete fino alla data fissata per l’aggiudicazione. Nel sistema con incanto, invece, le offerte vengono formalizzate a voce. La procedura prevede un sistema alternato fino a sei tentativi, esauriti i quali l’immobile scende ancora di prezzo e si ricomincia.

Prima di farsi avanti, nella prassi, si seguono delle regole. “C’è da sapere intanto – spiega la fonte che opera nel mondo delle aste – a chi appartiene l’immobile. Il nome del proprietario, soprattutto in certi ambienti, può dire molto e un passaparola sotterraneo consente di sapere se non ci sono ostacoli o se ci sono interessi precisi su quella casa, su quel terreno o su quel capannone industriale. La regola, in questi casi, è starsene alla larga il più possibile. Tutto deve svolgersi nella massima segretezza sino al momento dell’asta. Nei fatti però, basta conoscere in anticipo se ci sono altri potenziali acquirenti e avvicinarli, o contattarli appena dopo l’aggiudicazione per costringerli a ritirarsi o a pagare una tangente per ottenere il via libera all’affare e il gioco cambia”.

A CACCIA DI NOTIZIE
Chi opera in quel mercato sa che le informazioni equivalgono a moneta sonante. Accaparrarsele è il primo obiettivo. I fascicoli delle procedure stanno nei tribunali. Hanno accesso a quelle carte giudici e cancellieri. Conoscere per tempo lo stato della pratica garantisce un indubbio vantaggio. Ma l’idea che solo attraverso un’interessata fuga di notizie sia possibile garantirsi il primato è riduttiva. L’avvento dei professionisti nel gioco delle vendite ha moltiplicato, senza risolverli, i conflitti di interesse. Capita che a occuparsi dell’incanto sia lo studio di riferimento di un legale che ha seguito la procedura in passato come avvocato della banca intenzionata a rientrare del mutuo erogato e non pagato. Capita che la stima dell’immobile che deve andare all’asta sia affidata a un tecnico che ha rapporti di parentela diretti o indiretti con chi fatalmente concorre all’acquisto. L’esperienza e l’affidabilità richiesti come requisito per l’affidamento degli incarichi, mostrano come rovescio, la concentrazione in poche mani delle procedure delegate.

Le indagini che hanno gettato luce sul mondo delle aste truccate rivelano la costante presenza di “ganci” interni che offrono su un piatto d’argento informazioni da spendere al banco di intermediari che agiscono quasi sempre in gruppo, con o senza la copertura delle cosche, a seconda dei contesti. Ma sono quasi sempre indagini nate in altri ambiti che poi svelano i meccanismi delle combine. Le intercettazioni si rivelano fonti primarie. A Milano, dove si registra il record di aste, dieci anni fa, fu un giudice a insospettirsi per la presenza costante alle aste di alcuni personaggi. Chiese e ottenne che si aprisse un’inchiesta. Furono piazzate anche delle microspie e si scoprì così che c’era un gruppo capace di scoraggiare gli acquirenti fin dietro la porta del magistrato con minacce esplicite.

L’ultimo caso è di appena qualche giorno fa: a Roma, indagando per una storia di festini e riciclaggio sugli affari del consigliere Pdl Francesco Maria Orsi, i magistrati hanno aperto un capitolo tutto dedicato al monopolio delle vendite di immobili pubblici. Ha raccontato l’immobiliarista Vincenzo La Musta, ex socio di Orsi: “Dopo la pubblicazione dei bandi, chi era interessato all’acquisto di immobili li prenotava presso le cooperative Arca che partecipavano all’asta. Orsi partecipava prenotando più appartamenti con Arca. E a quel punto intervenivo io. Orsi infatti mi propose di partecipare con una delle mie società ai bandi pubblicati da Scip (società per la cartolarizzazione degli immobili pubblici), per quegli stessi immobili che lui aveva prenotato con Arca. I soldi per le offerte me li dava lui con assegni circolari. E il nostro successo era assicurato. Perché al momento delle offerte Orsi era in grado di dirmi per tempo quanto aveva offerto Arca. Una volta aggiudicata l’asta Orsi mi metteva a disposizione la provvista necessaria al pagamento attraverso sue società, tra cui la Loyd Team”.

Da Palermo, a Lecce, passando per Reggio Calabria, tre inchieste nate intorno a vicende di mafia, hanno permesso di ascoltare in diretta come prassi e metodi si pieghino agli interessi più disparati. Ma sono scoperte, per così dire casuali, all’interno di indagini partite per altro.

Ma quali sono i metodi? Chi sono i mediatori? Come agiscono?

Fatalmente è dalle indagini di mafia che arrivino le informazioni più aggiornate sulle storture del sistema. Svelano l’esistenza di colletti bianchi, professionisti al servizio di cosche più o meno organizzate che mettono a disposizione informazioni ed esperienza per pilotare il sistema.

COLLETTI BIANCHI
A Palermo, nel 2008, era il potente clan dei Madonia a giocare con un misterioso avvocato mai individuato per assicurarsi di rientrare in possesso degli immobili finiti in una procedura fallimentare. Beni per milioni che, riacquistati all’asta, attraverso prestanome sarebbero sfuggiti così alle misure di prevenzione patrimoniale a carico dei padrini.

In Calabria, dove periodicamente, si sono accesi i riflettori sulle aste, a giugno scorso, l’indagine del Ros dei carabinieri, Meta, coordinata dal procuratore Giuseppe Pignatone ha permesso di accertare che intorno alle aste due cosche un tempo rivali, quelle degli Imerti-Condello e quella dei De Stefano-Tegano-Libri, sotto l’egida di Cosimo Alvaro di Sinopoli avevano siglato un patto di non belligeranza in nome degli affari.

Compravano come immobiliari capaci di stare sul mercato con una solvibilità immediata. Gestivano il riacquisto per conto degli affiliati ma avevano allargato il giro stimato in cento milioni di euro, proponendosi come veri intermediari.

Perno fondamentale era l’avvocato Vitaliano Grillo Brancati: non uno ‘ndranghetista, ma un colletto bianco molto utile, “capace di spianare la strada” per le aggiudicazioni. Un professionista, un esponente della zona grigia che “supportava”, come ha spiegato il procuratore nazionale Pietro Grasso, le operazioni della criminalità organizzata. Vitaliano Grillo Brancati avrebbe mandato avanti la moglie Anna Maria Tripepi, anche lei avvocato, a fare incetta di immobili.

Non solo mafia anche in Calabria. A Vibo Valentia, nel maggio dello scorso anno, in cinque sono finiti arrestati dopo la scoperta di un carico di marijuana nel capannone del responsabile delle vendite giudiziarie. Si è ricostruita da lì una combine delle aste soprattutto dei beni mobili. Il resto lo ha spiegato un imprenditore che aveva perso la propria casa a un’asta beffa.

Nella intermediazione pura erano specializzate due famiglie pugliesi, una guidata da Salvatore Padovano di Gallipoli, l’altra dai Coluccia di Galatina, i cui affari sono stati radiografati a novembre 2010 dalla procura di Lecce guidata da Cataldo Motta. Gli emissari dei clan costituivano agenzie di mediazione capaci di restituire i beni agli insolventi, dietro pagamento di una provvigione. L’indagine ha subito una brusca accelerazione per una fuga di notizie che vedeva sospettato un ufficiale dei carabinieri. Ed è stata ritrovata anche un’agenda sulla quale il mediatore alle aste, Giancarlo Carrino di Nardò, aveva annotato tutti i suoi interventi. In una intercettazione il boss gli ricordava: “Noi siamo legati da complicità”.

OBIETTIVO RICICLAGGIO
C’è poi l’aspetto del riciclaggio del denaro. Tra cauzione e oneri, per partecipare a un’asta, bisogna disporre di denaro contante: il dieci per cento subito, il saldo dall’aggiudicazione con assegni circolari in un periodo che va dai venti ai sessanta giorni. Tempi troppo stretti se si considerano quelli medi per ottenere un mutuo.

All’acquisto si arriva con assegni circolari emessi dagli istituti bancari. E qui c’è un’altra possibile falla: “Il sistema dei controlli – spiega il professionista delle aste – è assolutamente inesistente. A partire dalla provenienza dei soldi che arrivano a costituire il capitale di acquisto. Basta aggirare le norme antiriciclaggio, con la complicità di una mano amica dietro allo sportello, per trasformare il denaro contante di dubbia provenienza in assegni circolari, e trovarsi in mano soldi puliti con i quali comprare all’asta un bene che rientra nel circuito legale. Nessuno va veramente a controllare come si sia costituito quel capitale: se provenga da un mutuo, da risparmi o dalla massiccia immissione di contante ripulito in banca”. La lavanderia ha così il bollo del giudice.

(25 febbraio 2011)

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