Omaggio a MANI PULITE e ai suoi coraggiosi EROI

DA BERLUSCONI A DELLA LOGGIA TUTTI TIFOSI DEL POOL
Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio per “il Fatto quotidiano”

I commentatori si schierano in grandissima maggioranza dalla parte di Mani Pulite. A cominciare da molti che si trasformeranno, anni dopo, in critici implacabili della magistratura. Fin dal 1992 Ernesto Galli della Loggia, editorialista prima della Stampa e poi del Corriere, definisce i partiti “combriccole di malandrini”. Aggiunge che “tutti hanno rubato”. E sentenzia: “È già molto se, dopo gli estenuanti e annosi riti giudiziari che sono in Italia la regola, dopo gli indulti, le amnistie, i patteggiamenti e gli arresti domiciliari, alla fine si riesce a mandare in galera qualcuno per un lasso di tempo non proprio ridicolo”.

ANTONIO DI PIETROANTONIO DI PIETRO

Ancor più deciso, nell’inneggiare al pool e nell’attaccare i tangentisti, è un docente lucchese di Epistemologia, Marcello Pera, che diventerà parlamentare di Forza Italia e presidente del Senato. “Come alla caduta di altri regimi – scrive per esempio sulla Stampa il 19.7.93 – occorre una nuova Resistenza, un nuovo riscatto e poi una vera, radicale, impietosa epurazione (…). Il processo è già cominciato e per buona parte dell’opinione pubblica già chiuso con una condanna (…). La rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti”.

Vittorio Feltri, direttore de L’Indipendente, esulta a ogni arresto: “Ma questa è una pacchia, un godimento fisico, erotico. Quando mai siamo stati tanto vicini al sollievo? Che Dio salvi Di Pietro” (15.6.92). E quando Craxi, che lui

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Per salutare Bocca, vi rimando all’intervista di Travaglio


Giorgio Bocca, l’ultimo dei grandi

Quando muore un grandissimo, come Giorgio Bocca, che se n’è andato oggi, giorno di Natale, a 91 anni, tutte le parole sono inutili tranne le sue. Ricordiamoci com’era, che cosa diceva, che cosa scriveva e soprattutto come scriveva. Acquistiamo i suoi libri, leggiamoli. Io vorrei ricordarlo con l’intervista che gli feci per il Fatto Quotidiano nel febbraio 2010, in occasione dell’uscita del suo penultimo libro, Annus Horribilis.

Giorgio Bocca, lei ha appena scritto Annus Horribilis (Feltrinelli): ma si riferiva al 2009. Il 2010 si annuncia ancora più horribilis…
Vedremo. Il 2009 mi è sembrato il più orribile per una tendenza irresistibile alla democrazia autoritaria. Più Berlusconi ne combinava di cotte e di crude, più i sondaggi lo premiavano. Ora, con questi ultimi scandali, la gente potrebbe cominciare a stancarsi e capire qualcosa.

Quindi c’è speranza?
Non esageriamo. Qualche barlume. E’ come all’inizio della guerra partigiana, ma allora ero giovane e forte dunque fiducioso. Ora sono vecchio e fragile, mi è più difficile essere ottimista. La cecità degli italiani mi ricorda la Germania all’ascesa di Hitler: tutti potevano vedere che

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Caso Satyricon, Mediaset perde in appello Niente diffamazione per Travaglio

Caso Satyricon, Mediaset perde in appello
Niente diffamazione per Travaglio e Luttazzi

Le origini dell’impero di Belusconi e i suoi rapporti con Mangano: tutto contenuto nel libro “L’odore dei soldi” che l’attuale vice direttore del Fatto andò a presentare il 14 marzo 2001 nella trasmissione satirica di Raidue

Mediaset non fu diffamata nel 2001 da Marco Travaglio e Daniele Luttazzi: è stata la Corte di Appello di Roma a confermare la sentenza di primo grado in merito al “caso Satyricon”, respingendo le richieste della società presieduta da Fedele Confalonieri di condannare il giornalista e il comico a risarcire i danni da diffamazione. La Corte ha di conseguenza condannato l’azienda della famiglia Berlusconi al rimborso delle spese processuali, non solo nei confronti di Travaglio e Luttazzi, ma anche della Rai e della Ballandi Entertainment.

Il caso si riferisce alla puntata di Satyricon del 14 marzo 2001: durante la trasmissione, in onda su Raidue (diretta da Carlo Freccero, anche lui denunciato), Luttazzi fa intervenire Travaglio per parlare del libro “L’odore dei soldi”, scritto a quattro mani con Elio Veltri. Una storia non autorizzata, delle origini delle fortune economiche di Berlusconi, dei segreti meccanismi finanziari che sancirono la nascita della Fininvest, oltre che della presenza ad Arcore del mafioso Vittorio Mangano.

Ritenendosi diffamata dalle dichiarazioni, che sollevavano dubbi sul rapporto tra B. e Cosa Nostra e sull’immagine dell’azienda, Mediaset aveva fatto causa, ma il Tribunale le aveva dato torto. Sentenza ora confermata in appello, dato che la Corte ha ritenuto che nella trasmissione “non si parla mai di Mediaset”, escludendo la possibilità che nell’immaginario del telespettatore siano possibili collegamenti tra i fatti illeciti attribuiti al premier e la società.

Travaglio la citò solo a proposito dei benefici ottenuti nel ‘94 grazie alla legge Tremonti varata dal governo del proprietario di Mediaset: “Conflitto d’interessi”, dunque. Ma denunciarlo non è illecito. È “legittima critica”. Ora Mediaset dovrà sborsare ai denunciati circa 100 mila euro di spese processuali.

di Alberto Sofia

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Marina B. la vergogna di plastica (e coca)

Marco Travaglio per “il Fatto Quotidiano

MARCO TRAVAGLIOMARCO TRAVAGLIO “Siamo alle sentenze ad personam!”, tuona Marina Berlusconi in un’intervista-scendiletto gentilmente offerta dal Correre della Sera di cui, essendo consigliera di Mediobanca, è azionista. La nota giureconsulta di scuola arcoriana ignora che tutte le sentenze sono ad personam, nel senso che riguardano sempre una persona fisica o giuridica. Ma forse la signora pretende che, per condannare uno di Milano, i giudici condannino tutti i milanesi onde evitare sentenze ad personam.

I suoi alti lai riguardano la sentenza della Corte d’appello di Milano che ha condannato la Fininvest (da lei presieduta) a risarcire la Cir con 564 milioni per averla scippata della Mondadori (da lei presieduta) con la celebre sentenza del giudice Metta, corrotto da Previti per conto di B.

marina berlusconi GetContent asp jpegmarina berlusconi GetContent asp jpegAnziché vergognarsi di presiedere un’azienda rubata grazie a un giudice corrotto coi soldi e nell’interesse del suo Papi, la Marina sostiene di avere “scoperto un tarlo, una falla clamorosa che mina dalle fondamenta un castello di ingiustizie”. Il tarlo, la falla – come spiega sul Fatto Antonella Mascali – sarebbe un taglio fatto dalla Corte d’appello nel citare il passo di sentenza della Cassazione del 2007: quella sulla richiesta dell’Imi di revocare la sentenza Imi-Sir (l’altro verdetto Metta comprato da Previti, quella volta per conto dei Rovelli) che condannava la banca a un mega-risarcimento non dovuto di 1.000 miliardi di lire.

CARLO DEBENEDETTI E MARINA BERLUSCONICARLO DEBENEDETTI E MARINA BERLUSCONI Secondo la Fininvest, i giudici di Milano, omettendo il riferimento alla revocatoria, avrebbero fatto dire alla Cassazione che non occorre revocatoria per liquidare i danni del caso Mondadori, mentre la Suprema Corte avrebbe detto il contrario. E qui la Berluschina infila uno sfondone dopo l’altro.

1) La sentenza Metta su Imi-Sir divenne definitiva, dunque aveva un senso chiederne la revoca. La sentenza Metta su Mondadori non passò mai in giudicato, perché dopo l’appello lo scippatore Berlusconi e lo scippato De Benedetti (ancora ignaro della corruzione), si accordarono per la restituzione di parte del maltolto. Dunque non c’era materia per chiedere la revoca.

silvio e marina berlusconisilvio e marina berlusconi2) Infatti la Cir non ha chiesto un altro processo per riavere la Mondadori: ha chiesto il danno da reato (la corruzione del giudice Metta che truccò la sentenza). 3) La Corte d’appello non cita la Cassazione del 2007 per affermare che non occorra la revocatoria, ma per dimostrare che basta un giudice corrotto su tre per rendere nulla una sentenza. Quando parla di tarlo e di falla, la signora Marina scambia le mele con le pere.

Raimondo Mesiano Raimondo Mesiano “pedinato” dal Tg54) Per dimostrare che, per liquidare il danno, non occorre revocatoria, la Corte cita un’altra sentenza di Cassazione, la “18.5.1984 n. 3060”. Ma fa anche notare che l’eccezione della Fininvest è “tardiva”, dunque non può essere considerata: andava presentata in primo grado, dinanzi al giudice Mesiano, ma allora i giureconsulti arcoriani, capitanati dall’ex giudice costituzionale Vaccarella, se la scordarono. Ora è tardi. Infatti il presunto tarlo nella sentenza d’appello viene segnalato non nel ricorso in Cassazione, ma al ministro della Giustizia e al Pg della Cassazione perché puniscano disciplinarmente i giudici cattivi che fanno sentenze ad personam.

Primo caso al mondo di una parte che perde una causa e, anziché impugnare la sentenza, va a piangere dal ministro (che, fra l’altro, dipende da Papi). Del resto è dal 1990 che l’affare Mondadori si gioca su tavoli truccati. La corruzione del giudice Metta. Le leggi ad personam per mandare in fumo il processo. Il linciaggio del giudice Mesiano per porto abusivo di calzini turchesi. L’incredibile sospensiva concessa alla Fininvest dopo la prima condanna a rifondere 750 milioni alla Cir.

Vittorio Mangano in tribunale nel 2000Vittorio Mangano in tribunale nel 2000I maneggi della P3 per influenzare la Corte d’appello. La legge vergogna per chiudere con 8,6 milioni il contenzioso da 173 della Mondadori col fisco. E ora le minacce ai giudici d’appello in base a tarli e falle inventati di sana pianta: cose che capitano alle ragazze che, da piccole, Papi faceva accompagnare a scuola da Vittorio Mangano perché non facessero brutti incontri.

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Ego nos absolvo (Marco Travaglio)

Ego nos absolvo

L’altra sera al Tg1 una minzolina bionda presentata come “nostra inviata” nel senso che la paghiamo noi, interrogava severamente il procuratore di Napoli, Lepore, come se fosse lui l’imputato. Il tono era quello del “come si permette di convocare il premier?”. L’alto magistrato tentava di difendersi come poteva, ma l’impressione che i telespettatori ne ricavavano era che fosse (lui) reticente. Non si batteva il petto, non si discolpava, non chiedeva scusa per aver osato tanto.

Intanto, dalle nuove intercettazioni, oltre alla conferma che aveva ragione l’Espresso sulla telefonata in cui B. istiga Lavitola alla latitanza, si scopre che gli ha pure garantito l’assoluzione: “Vi scagiono tutti”. Ecco, oltre all’imputato, al testimone e al pagatore dei medesimi, ora fa pure il

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Fiamme Marron di Marco Travaglio

Fiamme Marron

Dice Tremonti, ministro dell’Economia e dunque responsabile politico della Guardia di Finanza, che smise di abitare “in albergo o in caserma” perché lì “non ero più tranquillo: mi sentivo spiato, controllato, persino pedinato”. Ora, siccome la caserma in cui viveva era della Guardia di Finanza, se ne deduce che a “spiarlo, controllarlo, persino pedinarlo” non potevano essere che esponenti della Guardia di Finanza. E, siccome nessun finanziere sano di mente prenderebbe l’iniziativa di spiare il ministro da cui dipende il Corpo, non si scappa: a ordinare di spiarlo non può essere stato che il vertice. Il quale vertice, come ha raccontato Tremonti ai pm di Napoli, è diviso in due “cordate”: una fedele a lui e al fido Milanese (ex finanziere), l’altra a Berlusconi (quella che fa capo al generale Adinolfi): “Alcuni rappresentanti di quel Corpo sono in stretto contatto col presidente del Consiglio”.

Tant’è che Tremonti – lo conferma lui stesso – affrontò a brutto muso B. per denunciare le manovre della cordata berlusconiana ai suoi danni. E lo avvertì che non avrebbe accettato di cadere vittima del “metodo Boffo”. Dove per “metodo Boffo” non intendeva tanto gli attacchi del Giornale e di Libero, che per lungo tempo l’han tenuto nel mirino, com’era accaduto a Boffo. Intendeva piuttosto il dossieraggio che mescola fatti veri e falsi per ricattare. Dunque, se le parole e la logica hanno un senso, Tremonti sta accusando la cordata berlusconiana di averlo “spiato, controllato, persino pedinato”. Nell’interesse o per ordine del presidente del Consiglio.

Sempre su Repubblica, Tremonti ammette di aver fatto “una stupidata” facendosi ospitare dall’amico Milanese e pagando l’affitto brevi manu, in contanti (“ma non in nero”, precisa). Ma, ammesso che sia solo una stupidata, qui c’è ben di peggio. Se il ministro delle Finanze sospetta che qualcuno della Guardia di Finanza lo spii, dovrebbe correre in Procura a denunciare il reato. E cacciare su due piedi i generali che giudica infedeli, riferendo in Parlamento sui gravissimi motivi che l’hanno spinto a quella decisione (come fece il compianto Padoa-Schioppa, che nel 2007 cacciò il generale Speciale, poi condannato per peculato dunque promosso deputato dal Pdl). Ma avrebbe dovuto riferire anche i suoi sospetti sul mandante di quelle spiate, o almeno le sue certezze sulle liaison fra il suo premier e una “cordata” della Finanza.

Infatti B. non dovrebbe avere alcun rapporto con le forze armate e dell’ordine, visto che la Polizia ricade sotto il ministero dell’Interno, i Carabinieri sotto la Difesa, la Finanza sotto l’Economia. Dietro un generale fellone si nasconde sempre un premier golpista, sia pur all’italiana. Invece Tremonti, avvolto da quel tintinnar di sciabole e da quel gracchiar di barbefinte, pensò di risolvere il tutto con una sfuriata a B. e un trasloco chez Milanese. Ora che è tutto sui giornali, e che il sottosegretario Crosetto aggiunge di temere pure lui la Gdf dipingendola come un’associazione a delinquere, la storia non può finire con le scuse di Tremonti per la “stupidata”.

La Guardia di Finanza, composta da migliaia di uomini che per poche centinaia di euro al mese scovano miliardi di evasione, merita di meglio. Così come i cittadini che assistono attoniti a quest’ennesimo film horror, ultimo sequel degli scandali petroli, Cerciello e Speciale. Chiedere a Tremonti o a B. di bonificare le Fiamme Sporche è come chiedere a Moggi di risanare il mondo del calcio. Dovrebbe pensarci il capo dello Stato, che è anche il comandante supremo delle Forze Armate. Per cacciare i generali felloni da un Corpo che dovrebbe garantire assoluta trasparenza e imparzialità, fedele alla Costituzione e alla Legge, non a B. o a Tremonti. In caso contrario, quando un finanziere andrà a ispezionare un’azienda, l’ispezionato potrà cacciarlo a pedate dicendosi “spiato, controllato, persino pedinato”. Se della Guardia di Finanza non si fida il ministro delle Finanze, perché dovremmo fidarcene noi?

Il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2011

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Marco Travaglio: E io pago (Edificante)

Marco Travaglio

E io pago

L’altra sera, all’ingresso del mio spettacolo a Carpi, alcuni giovani del Pdl (si fanno chiamare Giovane Italia, per la gioia – immagino – di Giuseppe Mazzini) distribuivano un volantino intitolato “Una carriera travagliata”, con la mia foto segnaletica e il riassunto, un po’ fantasioso un po’ vero, delle cause civili che ho perso in tribunale. Ebbene sì, lo confesso: dopo 28 anni di carriera, 15-20 mila articoli, 150 trasmissioni tv, 2 mila conferenze e 30 libri, ho perso alcune cause civili.

La prima fu con Previti: avevo scritto che era indagato, e lo era due volte, ma l’avvocato dell’Indipendente (giornale nel frattempo fallito), smise di difendermi e non portò le carte al giudice, così fui

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Marco Travaglio, sputtanamento di d’alema

Marco Travaglio

25 giugno 2011

Max The Fox

“Ora è molto tardi per fare una legge sulle intercettazioni e del tutto inopportuno intervenire per decreto. Ma il problema c’è: non è giusto mettere sui giornali la vita privata delle persone. Leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che fare con vicende penali, ma sono sgradevolmente riferite a vicende personali. Non è una cosa positiva. Occorre proteggere i cittadini”.

Chi l’ha detto? Massimo D’Alema naturalmente. Puntuale come una merchant bank, ogni qualvolta B. è travolto in uno scandalo, arriva la Volpe del Tavoliere a levarlo d’impaccio. O almeno a fare pari e patta. Fa sempre così, da 17 anni.

Breve riepilogo delle puntate precedenti.

Nel ‘94 B. finisce nei guai a Milano per le tangenti alla Finanza: D’Alema finisce nei guai a Bari per un finanziamento illecito di 20 milioni dal re delle cliniche pugliesi, l’imprenditore malavitoso Cavallari (prescrizione).

Nel ’96 B. è politicamente morto e l’Ulivo di Prodi si accinge a una sonante vittoria: Max va in pellegrinaggio a Mediaset per esaltarla come “grande risorsa del Paese” e garantire che non la sfiorerà nemmeno con un dito. B. medita di ritirarsi a vita privata: D’Alema s’inventa la Bicamerale per riscrivere “insieme” la Costituzione, specie sulla giustizia, lo trasforma in padre ricostituente e manda in soffitta il conflitto d’interessi.

Nel ’98 Prodi e Ciampi portano l’Italia in Europa: Bertinotti li rovescia in men che non si dica e l’indomani D’Alema è già pronto con una maggioranza alternativa, rimpiazzando Rifondazione coi ribaltonisti di Mastella, Cossiga e Buttiglione e dichiarando morto l’Ulivo.

Nel ’99 Rete 4 perde la concessione, ma D’Alema – impegnatissimo a sponsorizzare i “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti e Consorte per l’assalto a Telecom – la salva regalandole la licenza per trasmettere in proroga sulle frequenze che spettano a Europa7.

Nel 2001 B. risorge dalle sue ceneri e governa cinque anni: unica opposizione i girotondi, i pacifisti, i no global, infatti D’Alema raccomanda di evitare la piazza.

Nel dicembre 2005 B. è alla canna del gas, dopo aver perso le amministrative e le europee, mentre l’Unione di Prodi ha 15 punti di vantaggio in vista del voto politico del 2006: ma ecco saltar fuori le intercettazioni sull’ultimo colpo di genio di Max, l’appoggio alla scalata illegale dell’Unipol di Consorte alla Bnl (“Vai, Gianni, facci sognare!”). Pari e patta con le scalate di Fiorani e Ricucci ad Antonveneta ed Rcs sponsorizzate dal centrodestra. Così l’Unione si mangia quasi tutto il vantaggio e Prodi vinciucchia per 25 mila voti, troppo pochi per governare senza i ricatti dei partitini.

Nel 2009 B., dopo un anno di governo, è già alla frutta per lo scandalo D’Addario-Tarantini: ben presto si scopre che “Gianpi” le mignotte le portava nei giorni pari a Palazzo Grazioli e in quelli dispari a Sandro Frisullo, vicepresidente della giunta Vendola e dalemiano di ferro. Una Bicamerale a luci rosse.

Nel 2010 B. è di nuovo sputtanato dalle rivelazioni di Wikileaks: Max non può mancare e infatti salta fuori un cablo dell’ambasciatore Spogli a Washington su quel che gli ha confidato D’Alema nel 2007: “La magistratura è la più seria minaccia per lo Stato italiano”. Infatti i giudici baresi arrestano anche l’altro assessore dalemiano di Vendola, Alberto Tedesco, provvidenzialmente rifugiatosi al Senato.

Nel 2011 B. perde comunali e referendum: D’Alema offre un bel governo istituzionale col Pdl. Scandalo P4: Bisignani trafficava con vari ministri, ma accompagnava pure il gen. Poletti da D’Alema (e da chi, se no?). Ora B. ci riprova col bavaglio ai giornali che pubblicano intercettazioni pubbliche. Max The Fox concorda, ma dice che “per una legge è tardi”. Ci penserà lui quando tornerà al governo. Per lui la missione del centrosinistra è sempre stata questa: completare l’opera del centrodestra. Il guaio è che quegli stronzi degli elettori non l’hanno ancora capito.

Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2011

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Buonanotte a tutti! Il cetriolo nano. (Marco Travaglio)

Marco Travaglio

Il cetriolo nano

No, non è un buon momento per Lui. Un comunista sindaco di Milano, un magistrato sindaco di Napoli, il G8 con figuraccia, i referendum alle porte con quell’Annozero micidiale e quel Celentano che è quasi suo coetaneo e sembra suo nipote, ma soprattutto quel Ferrara che non si leva di torno portando una sfiga terrificante, e poi Tremonti che fa la fronda, Bossi che gli dà del “bollito” (senti chi parla), i Responsabili che si ripresentano alla cassa.

Non bastando la politica, ci si mette pure la cronaca. Per esempio il cetriolo che si aggira per l’Europa e da qualche parte dovrà pure infilarsi: ecco, una metafora così sinistra era difficile immaginarla. Se aggiungiamo che le vittime della truffa Aiazzone si mettono d’accordo per recuperare il maltolto con una rapina proletaria, e presto De Benedetti potrebbe fare altrettanto a 22 anni dallo scippo della Mondadori, il presepe è completo.

L’unica consolazione viene da D’Alema, che è sempre un

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Un finanziere agli arresti domiciliari per “spiate illegali” a un “giornalista”. Indovinate chi lo pagava…

Informazioni su politici a un giornalista. Un finanziere agli arresti domiciliari

ROMA – Un militare della Guardia di Finanza in servizio a Pavia è stato posto agli arresti domiciliari su ordine della magistratura di Milano, per una seria di accessi abusivi agli archivi informatici delle Fiamme Gialle, “in violazione dell’articolo 615 ter del codice penale. Reato, precisa il Comando provinciale della Guardia di Finanza di Pavia, “per cui è competente la Procura della Repubblica di Milano”. Il finanziere è accusato di aver eseguito, tra il gennaio 2008 e l’ottobre 2009, non per motivi di servizio, “numerose interrogazioni al terminale, passando poi le informazioni riservate a terze persone”. Le “terze persone” sarebbero in realtà un giornalista, a cui sarebbero state girate informazioni riservate riguardanti una serie di noti personaggi, tra cui: componenti della famiglia Agnelli, Antonio Di Pietro, Luigi De Magistris, il giudice Mesiano, Beppe Grillo, Marco Travaglio e la escort Patrizia D’Addario.

b-cesso

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