E questa ve la ricordavate?

Un distinto signore entra in un ristorante e si mette a sedere. Subito arriva il cameriere che gli porge il menù. Ma il signore risponde: “No grazie, mi porti la forchetta”. Il cameriere, un po’ stupito, gli porta la forchetta e il signore dopo una rapida annusata riesce a riconoscere tutti i primi contenuti nel menu solo dall’ odore e ne ordina uno. Al momento di ordinare il secondo il cameriere riporta il menù, ma il signore rifiuta e chiede il coltello. Con la stessa precisione di prima indovina tutti i secondi del menù e ne sceglie uno. Il cameriere allora va in cucina e dice alla cuoca: “Mariarita, di là c’è uno che indovina il menù solamente annusando le posate pulite”. E lei: “Dammi il cucchiaino per il dolce che gli facciamo un bello scherzo”. Detto questo prende il cucchiaino e se lo struscia sulla fica. Quindi il cameriere porta il cucchiaino al signore e questo annusandolo sembra che esiti, ha un momento di sconforto e poi di ce con molta gentilezza: “Scusi, ma Mariarita lavora qui?”.

caldo


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Brunetta pranza a L’Aquila. Ma il menu è sgradito°°° Senza vergogna. Ma con che faccia?!

Critiche roventi: «Pane raffermo, salame rancido, speck mediocre e fettine di ananas (che nemmeno gli inglesi..). Posso garantirvi che il catering che avete offerto sarà ricordato a lungo dal ministro Brunetta»
Il ristoratore aquilano a cui era stato affidato il catering è rimasto di sasso e ha cercato di rispondere: «Io ho offerto gratis alla Regione il nostro lavoro, gli ospiti dovevano essere 150 e invece sono arrivati in 300, il ministro è arrivato in ritardo».
Fra l’altro il nostro era un buffet per gli ospiti di serie A, posso immaginare com’era quello di serie B». Una severità non mitigata dalla situazione della città: «Terremotati? Ma è passato un anno e mezzo». Considerazione indicativa della consapevolezza che i ministri hanno della situazione aquilana, delle centinaia di esercizi commerciali chiusi, del centro storico zona rossa, off limits per abitanti, uffici e ristoranti. INNOVAZIONE, NON RICOSTRUZIONE «Ma noi – replica Pezzuto – abbiamo fatto molto per l’Aquila, dopo il terremoto». Ed enumera: «Chiavette e Pc per l’università, abbiamo regalato migliaia di volumi di Franco Maria Ricci». Volumi di Franco Maria Ricci? «Sì, una donazione che avevamo in deposito». Ma a L’Aquila c’è la biblioteca “Salvatore Tommasi”, ricca di codici miniati e musicali, trecentine e cinquecentine, la più importante biblioteca provinciale d’Italia, eppure essendo la sua sede storica, in piazza Palazzo, inagibile, il suo destino incerto. Altri meriti del ministro Brunetta: «L’Aquila sarà un laboratorio per l’innovazione con un progetto anti-crash che consentirà, anche in caso di sisma, ai servizi informatici di continuare a lavorare». Purtroppo, però le esigenze della città terremotata non sono da risolversi fra 10 anni, sono esigenze immediate. Paolo De Santis è presidente dell’ordine degli ingegneri: «La conferenza stampa di Brunetta con Chiodi e Cialente è uno spot. Qui tutto è fermo. Noi portiamo a mano le pratiche dei progetti sugli edifici da ricostruire. Il ministro dovrebbe chiedere quante linee telefoniche ha il comune dell’Aquila, perché qui per allacciare una linea telefonica si deve sostenere una battaglia. Senza contare che da quando siamo terremotati l’unico mezzo di comunicazione è il cellulare e le compagnie di Tlc mobile potrebbero adoperarsi per dare ai residenti delle tariffe speciali». Quanto al buffet cattivo, «io non sono stato invitato», precisa De Santis, «altrimenti avrei spiegato al ministro con quali problemi dobbiamo combattere». «Vorrà dire che la prossima volta lo inviteremo a via Veneto con qualche bella donna», si fa sfuggire l’ingegnere: «la verità è che quel buffet è una spia del disagio in cui viviamo». Ma gli aquilani, anche se terremotati, sono ospitali, oltre che orgogliosi della loro cucina, dello zafferano, dei salumi dop, delle crespelle e delle chitarrine. Ieri, sul Messaggero edizione abruzzese, hanno invitato di il ministro a tornare e fare la pace davanti a un buon pranzo.

°°° Invece di pigliarlo a calci nel culo, come merita, si sono dimostrati ancora una volta mille volte più signori del soprammobile schifoso quanto presuntuoso.

brunetta

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Spartaco, sei tu?

E chi cazzo vuoi che sia, vecchio rincoglionito! E’ lui il protagonista del film! Va bene che i sacerdoti dei polpettoni storici erano sempre vecchi e mezzo rincoglioniti. Nulla a che vedere coi grandi sacerdoti di oggi, vaticano e cei in primis. però… se il film si intitola Spartaco e vedi un omaccione pieno di denti e di steroidi che ti solleva come un fuscello, non è mica Brunetta, non è certo Gasparri, o no? Come minimo è Spartaco. Oppure, oltre essere rincoglionito, non hai letto nemmeno il copione? E sì che a quei tempi i copioni si scrivevano. Magari male, magari di sei paginette, ma cazzo! Roma ci campava con quelle minchionate! Ho ancora una foto di quando mi imbucai a Cinecittà per fare la comparsa. Peccato che proprio in quella foto, ci siano due ragazze, nel gruppo, che mi dimostrarono grande generosità in capo a una settimana, ma non io. La foto dove c’ero io se l’era ciulata una di loro. Ero sfigato, col cinema-polpettone storico, dico: andavano di moda gli Steve Reeves e tutti gli Schwarzenegger dell’epoca: ragazzoni che recitavano, si fa per dire, a livello di “Io Tarzan, tu Jane” (tutto copiato da noi sardi: i milanesi copiavano i nuraghi per fare i panettoni e “Jane” è evidentemente un clamoroso plagio delle nostre JANAS!). Tutti giovanotti alti (autentici giganti per i sardi. Io ero lungo e magro, mi chiamavano “Schidoni”… non c’era possibilità di fare s’attori. Al massimo avrei potuto fare il plebeo. Erano tutti alti e massicci. Autentici armadi. Anche per me che ero già un metro e ottanta sul livello del mare…) e… CON TUTTI I DENTI!!! Da noi era una cosa rarissima: al primo “daboredd’è casciali, subito alla mutua a fare l’estrazione. Credo di essere stato uno dei pochi ad aver conservato tutti i miei denti fino ai 18 anni. Comunque, ero scappato a Roma solo per fare l’attore. Al cinema di Oristano, dove non mi perdevo una “prima” (che poi erano sempre sette o dieci: dato che le pellicole arrivavano qui usurate, sfinite, e ballavano o si spezzavano di netto già dai titoli di testa, e noi che manco avevamo pagato il biglietto…c’era una vecchia maschera che impiegava due minuti a controllare l’unico nostro biglietto, e nel frattempo sgattaiolavamo alla marines almeno in dodici.), nei film “romani”, nei gialli, e nei film western, per noi, c’erano sempre “s’attori” (il protagonista) e “su traittori” (l’antagonista). Noi eravamo sempre tutti dalla parte de s’attori. E battevamo forte i piedi sull’assito e strillavamo “SU DINAI! SU DINAI!” ogni volta che si spezzava la pellicola. Anche se non avevamo pagato. Era un casino per la cassiera, forse una zia di Tremonti: non le tornavano mai i conti. Dicevo, ero a Roma ed ero ricco. Dopo la scuola alberghiera ad Assisi e dopo una stagione colà al Ristorante POSTA (dove lavoravo come un negro, studiavo nel tempo libero, e tenevo alto il vessillo sardo con molte ragazzine e mamme di ragazzine, almeno un paio…) ero finito a Roma per fare l’attore. L’unico modo per mantenersi, allora, senza rubare o entrare in politica, era appunto FARE IL CAMERIERE: vitto, alloggio, stipendietto e mance. Una pacchia. E un giorno di riposo settimanale. Per coltivare un hobby, andare alle Maldive, spianare il Vietnam o trombarsi Jane Maynsfield. Io, dopo i consigli di vecchie volpi del settore, evitai con cura i ristoranti di lusso e mi infiltrai in una trattoria fuori porta che faceva sei matrimoni a settimana. Un mese di sala e, grazie ad altri consigli, mi autodeclassai alla cucina. Lavavo i piatti. Un re! Mangiavo solo cose buone, mi grattavo il culo a piacimento, fumavo a volontà e, quando sparecchiavo, mi facevo più soldi del titolare. Come? Un vecchio marpione che mi aveva preso a benvolere più dei suoi piedi piatti, mi svelò l’arcano:”Qui venghino la povera ggente. – mi spiegò – Nun je pare vero da magnà ar ristorante. Quanno te chiedono un pezzo de carta pe’ ‘ncarta’ l’avanzi per cane, te je venni un ber pezzo de carta oleata. 100 lire, dugento… a siconno…”
Vista e presa. Mi ero comprato duemila lire di fogli di carta oleata (dove er bujaccaro (il macellaio) incartava le fettine o il bottegaio la mortadella) e la rivendevo a centomila. A ogni panzone imbriaco, a ogni carampana coi porri sul viso, il menu sul davanzale, e il rossetto sfatto che mi chiamava: “A regazzi’! Che c’hai mica ‘n pezzo de carta pe ‘sta robba da porta’ ar cane?”… io facevo il problematico, tentennavo, finché l’offerta della mancia (anticipata) arrivava alla ragguardevole cifra di due/trecento lire, e solo allora correvo in cucina e tornavo col pezzo di carta agognato. Capitavano anche scene del tipo: Lui: “A regazzi’! Giovaneee! Che me porti un pezzo de carta? Ce metto ‘sti avanzi per cane.” La moglie: “Ma si manco ce l’avemo ‘n cane?!” Lui. “E sta zitta! Mo’ me lo compro!”
Insomma ero a Roma, ero giovane, forte, ed ero invincibile! Ora sono solo un vecchio coglione che deve guardare, a Sadali, questi film d’epoca alla tv. Film scarsi e melensi dove, su traittori, in qualunque modo morisse: sparato, trafitto da una daga, sepolto da un masso, travolto da un rapido, ecc. aveva SEMPRE un filo di vernice rossa che gli colava da un angolo della bocca e… minca! prima di schiattare davvero, faceva sempre in tempo a salutare tutti i parenti fino alla settima generazione, raccomandare la sua anima, ordinare una capricciosa, tenere un comizio tra le bare, e persino regalare una dentiera a una vecchia terremotata. Sono a Sadali, ragazzi!

soldarto

appia

steve

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