Matteo Salvini difensore d’ufficio (dei ladroni della Sega nord)

Dio (se c’è) benedica Matteo Salvini per la funzione che si è data di rendere evidenti i peggiori vizi della Lega. Vizi che secondo noi, che non siamo magistrati, sono anche più gravi degli stravizi illegali. Basta pensare alle madornali uscite di Salvini in vari momenti della storia leghista. Quando propose, per esempio che nella metropolitana di Milano ci fossero vagoni per soli milanesi, in modo che gli autoctoni non dovessero più essere costretti a mischiarsi con il resto del genere umano. Poi, naturalmente, sostenne che si era trattato solo di una provocazione, senza peraltro spiegare chi e che cosa intendesse provocare. Perché è tipico dei leghisti restare sempre nella via di mezzo tra il razzismo dichiarato e la violenza verbale, tra la minaccia e la pagliacciata, la pernacchia e l’ingiuria. In modo che possano sempre tirare il sasso e nascondere la mano. E ancora ci provano adesso che sono stati presi con tutte e due le mani nel sacco. Per cui, da un lato dicono (come ha detto Salvini l’altra sera nel programma di Lilli Gruber) che i leghisti non perdonano i ladri, ma quando si scopre che i ladri sono loro, ecco che rispunta la congiura contro il Nord. E addirittura, per sminuire i fatti, Salvini ha sostenuto che il vero furto è quello delle tasse pagate dal Nord e andate a Roma a ingrassare chi sa chi. Invece i soldi di Roma (versati da tutti gli italiani) hanno ingrassato proprio la famiglia del fondatore della Lega, un certo Umberto Bossi, che ora, secondo i suoi difensori, non sarebbe più in grado di intendere, ma di volere sì. Un uomo che ha preteso di farsi partito e territorio, nazione e Stato, ma non è mai stato altro che un incredibile bugiardo, disposto ad allearsi con chiunque pur di “portare a casa” il conquibus. Perché, quando gli serve, viene buono anche il latinorum: come ai tempi di Renzo Tramaglino, c’è sempre qualcuno che ci casca.

Maria Novella Oppo

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