Napoli. Lite per il super compenso a Vecchioni

Lite per il super compenso a Vecchioni

«Al cantautore di sinistra 220 mila euro». De Magistris: cifre diverse . Il Pd: «Una sola parola d’ordine: austerità».

NAPOLI – E sempe senza sape’ pecché/ tenimm’a meglio spigola p’o Re… Adesso, venticinque anni dopo quei versi d’amore per la sua Napoli (pur cresciuto a rime e nebbia sulla collinetta di San Siro, è comunque figlio di un commerciante di San Giorgio a Cremano e di una pasticciera del Vomero), c’è chi sostiene che per assecondarne le pretese ci voglia altro che una spigola reale. Duecentoventimila euro per due anni da presidente del Forum delle culture, mica uno scherzo in questi tempi di magra. I giornali d’ispirazione berlusconiana, che non gli hanno perdonato la performance sanremese sul « bastardo che sta sempre al sole » (verso mai del tutto chiarito e politicamente velenosetto nella canzone con cui ha vinto l’ultimo Festival), scrivono che ha trovato «l’oro a Napoli» (Marotta nella tomba li perdonerà per l’approssimazione).

LUI: «DEMAGOGIA E ILLAZIONI» – E molti rovesciano su di lui, Roberto Vecchioni, il menestrello che ha fatto innamorare tre generazioni con la colonna sonora di Luci a San Siro , un luogo comune un po’ retrò ma sempre efficacissimo: se sei «compagno», i soldi per te devono essere sterco del demonio. «Demagogia e illazioni», lascia filtrare il Professore , ormai ammutolito nel suo sdegno, mentre attorno le polemiche gli sibilano da destra a sinistra come sampietrini. Perché, sì, il suo sbarco ai piedi del Vesuvio su chiamata del sindaco de Magistris un effetto l’ha ottenuto: sollevare polvere e mugugni bipartisan sopra una città sempre pronta a esplodere, con i disoccupati di nuovo minacciosamente in strada ad attendere un cenno della camorra e la mondezza che incombe per la prossima eventuale crisi natalizia.

MA PER STRADA C’E ANCORA L’IMMONDIZIA – Per dire, i ritardi nel Piano rifiuti potrebbero costare prima o poi una multa europea di seicentomila euro al giorno: parametrato all’aritmetica delle sciagure, il compenso di Vecchioni diventa suo malgrado una specie di metafora delle malattie partenopee. La sua prima dichiarazione all’atto della nomina, «l’ho fatto per amore», non aiuta. Con questi quarti d’ora, nulla di bizzarro che anche il Pd campano si ritrovi in trincea: «Noi abbiamo una sola parola d’ordine: austerità. L’abbiamo detto a de Magistris», sostiene Enzo Amendola, il segretario regionale. E persino i blog del Fatto , il giornale più vicino a Gigino ‘a manetta , sindaco giustizialista, trasudano scetticismo: «Largo ai giovani!», ghigna Sfascio repubblicano (Vecchioni ha passato i 68…); «Quanto costa, quanto rende e quanta immondizia c’è ancora per strada?», s’interroga Angelo51. Una fetta dell’ intellighenzia è perplessa. Sprezzante Raffaele La Capria: «Un canzonettista per la città di Croce? Mah! A Napoli le canzoni le fa il popolo, e sono bellissime». Ironico Mimmo De Masi: «Dovessimo fare motociclette, capirei uno di Milano. Ma qui abbiamo i Martone, i Servillo… Soprattutto ci vorrebbe qualcuno che sia intellettuale e manager, diciamo Menotti. Lei lo vede il mix?». Tempi difficili.

IL FORUM? NON E’ UNA FESTICCIOLA – «Il Professore ha dieci miliardi di impegni e niente da dichiarare», mormora gentile una collaboratrice di Vecchioni. In realtà trapela che «nulla è deciso» e molti a Napoli assicurano che alla fine il cachet sarà ben più basso della prima cifra richiesta e filtrata malandrina dal consiglio d’amministrazione del Forum. Ma il danno d’immagine è fatto. L’uomo che ha spiegato latino e greco agli studenti del Parini e del Beccaria, e le malinconie d’ogni giorno ai ragazzi di tutt’Italia, ora deve trovare la maniera di dirci perché, per la manifestazione più importante messa in calendario per il 2013 dalla città del suo sangue, s’è buttato a far calcoli come il più pignolo dei ragionieri e, quando gli hanno chiesto uno sconticino, ha lasciato balenare lo spettro di apparizioni part time: «Sono pronto a rivedere gli emolumenti, ma è chiaro che il mio impegno dovrà essere compatibile», ha detto sul Corriere del Mezzogiorno. «Il Forum non è una festicciola di quartiere, non sono nozze da fare con i fichi secchi», è sbottato in un’intervista al Matti no. In verità a palazzo Santa Lucia, sede della Regione, qualche vocina di dentro sostiene che, in un mese dalle dimissioni del predecessore, s’è visto sì e no una volta «e non si riusciva nemmeno a organizzarci la conferenza stampa». Cattiverie? Può darsi. E comunque in quei soldi devono starci lo staff, le tasse e chissà cos’altro… Ma accorgersi che il cantore di Milady e di Velasquez s’è trasformato in una specie di contabile dei nostri sogni, sarebbe per molti di noi come scoprire che Robin Hood era un informatore dello sceriffo di Nottingham.

L’ASSE DELLE MOGLI – Folgorato da de Magistris in campagna elettorale, Vecchioni s’è diviso tra il palco napoletano e quello milanese di Pisapia, sempre accompagnato dall’arancione voluto dalla moglie Daria come colore del riscatto antiberlusconiano. Una vulgata vuole che l’asse tra Daria e Maria Teresa, consorte di Gigino, sia stato determinante nelle decisioni sul Forum, davanti a una pizza al Borgo Marinaro. Ora si balla sulle cifre. Il governatore Caldoro frena, pur non volendo rompere col sindaco un’intesa cordiale nata nella gestione dei disastri ereditati dai predecessori. «Gigino, qua i guai sono sanità e rifiuti. Dobbiamo ragionare sulla base dei 55 mila euro che prendono i nostri manager…», deve avergli sussurrato: non è tempo di largheggiare. Ai taccuini dichiara diplomatico: «Le cifre che ho sentito sono incompatibili, ma vedrete che troveremo un accordo». Il cerino dei 220 mila euro, nella nuova stagione di Mario Monti, scotta. E de Magistris è lesto ad allontanarsene: «Sono orgoglioso di avere scelto Roberto», premette sul suo blog, «lontano da logiche partitocratiche». Ma, naturalmente, il suo compenso sarà «adeguato alla condizione economica del Paese e di Napoli in particolare». E, a scanso di equivoci, «c’è un vespaio attorno a cifre che mai, dico mai, sono venute a mia conoscenza!». Deciderà alla fine una cabina di regia con dentro tutti (anche la Provincia, la Curia, il ministero degli Esteri e chissà chi altri): così tanti che non sapremo chi ha deciso. Ma almeno di questi contorcimenti non dovrà stupirsi uno che aveva capito la politica così bene da scrivere Canzonenoz nac : dove il leader della parte chiara e quello della parte scura erano poi la stessa persona, capace di mettere e togliere la barba secondo convenienza.

Goffredo Buccini

°°° Con tutti i miliardi che si rubano quelli della cosca Burlesquoni, con tutti i miliardi che si rubano le cricche e i figli ritardati/parenti/e affini della feccia che ha devastato l’Italia negli ultimi 30 anni… rompono i coglioni per un misero compenso  a Vecchioni?! MA NE VOGLIAMO PARLARE?

vinile

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La ciofeca mogol

Mogol: costretto a censurare
il mio brano per Celentano

«Diffidato con una lettera, Adriano mi vieta di usare il suo nome»

MILANO – Una canzone su Adriano Celentano. L’ha scrit­ta Mogol. Ma non la sentirete mai. Almeno nella sua ver­sione originale. Il destina­tario si è arrabbiato per il ritratto e l’autore si è au­tocensurato. La storia inizia lo scorso anno quando Mogol è al lavoro con gli Audio2. Sta compo­nendo i testi delle can­zoni e una melodia («Parto sempre da lì, mai da una storia o da un soggetto») gli suggerisce la parola Adriano: «Così ho pen­sato di scrivere una cosa per un amico. Con affetto e ironia, intesa non come presa in gi­ro ma come alleggerimento di caratteristiche del perso­naggio che magari non sono apprezzate da tutti».

Nel testo Mogol scherza sul volontario isolamento che tiene Adriano lontano dal pubblico: «Anche un ca­stello diventa prigione/ Se ti rinchiudi fra divani e pol­trone/ Esci e non solo nel tuo giardino/ Tutta la gen­te ti vuole vicino». C’era pure una bonaria presa in giro dei tic dell’amico: «E prova a dirmi una sola paro­la/ Poi fa una pausa di al­meno mezz’ora». E anche un accenno al disprezzo per i politici e alle batta­glie contro il degrado urba­nistico e la caccia. Quindi l’omaggio diretto: «Oh Adriano/ Dammi la tua mano/ Oh Adriano». Alla fine della stesura Mogol spedisce un provi­no a Celentano. Che gli ri­sponde con una letterac­cia: «Ti diffido dall’utiliz­zare il mio nome. Quella canzone dedicala a Va­sco Rossi». E così, nell’al­bum in uscita a maggio e che verrà lanciato pro­prio da questa canzone, il nome del Molleggiato non verrà pronunciato. Sparito. La nuova versio­ne prevede un «Lo dico piano/ Un aeroplano/ Non si abbassa con la mano» e un nuovo tito­lo, «La voce di un amico». Per­ché? «Sono a posto con la mia coscienza, ma per non contra­riarlo ho deciso la modifica» di­ce con gran pudore Mogol. E aggiunge: «Da quella lettera emergeva chiaramente che si sentiva offeso. Eppure quelle cose gliele dicevo anche di per­sona, come si fa con un fratello o un figlio. Mi è spiaciuto quel­lo che mi ha fatto Celentano. Fa male essere fraintesi: io vole­vo fargli una carezza e in cam­bio ho ricevuto una sberla». A spingere verso la scelta prudente anche la Carosello, etichetta del progetto Mogo­lAudio2. Lo spiega il mana­ging director Claudio Ferran­te: «Da un controllo effettuato dai nostri avvocati è emerso che ‘Adriano’ è un marchio re­gistrato che non può essere usato in contesti musicali con riferimento diretto a Celenta­no. Curioso che il deposito ri­salga a tre mesi fa, tempo do­po i contatti fra i due. Aveva­mo il disco già pronto e abbia­mo dovuto rifare la registra­zione ».

Mogol e Celentano si cono­scono da decenni e negli anni 90 hanno costruito, assieme a Gianni Bella, quattro album che hanno lasciato il segno nelle classifiche: 4 milioni di copie vendute e successi come «L’emozione non ha voce». «Ci siamo aiutati vicendevol­mente. Lui ha dato ai miei la­vori un’interpretazione di pe­so e fascino. Per ora non abbia­mo altri progetti assieme, ma non serbo rancore e lo consi­dero ancora un amico». Lettera a parte non c’è stato nessun contatto. «Non sento il bisogno di parlargli — preci­sa l’autore —. Quello che dovevo dirgli è scritto nella canzone. Dove, non a caso, di­co ‘ma non riconosci la voce di un amico’. Avevo anche pensato di buttare via tutto, ma poi ho pensato che non c’era nessu­na offesa». Dal Celentano e dal Clan nessuna replica. Per Mogol il giudizio finale è nelle mani del pubblico: «Sarà la gente a valutare se sono stato affettuo­so o offensivo. Spero solo che Adriano non sia stato influen­zato da nessuno».
Andrea Laffranchi

°°° L’ho detto e scritto parecchie volte, ma non credo di averlo mai fatto qui, nella mia casa virtuale. Questo fascistone di mogol… alias Giulio Rapetti non ha mai scritto nemmeno un biglietto d’auguri. E’ un bluff come antonio ricci: quello che mi ha fottuto i testi del Drive in e Striscia la notizia e che fotte tutti i filmati di Paperissima dalle tv di tutto il mondo… coprendo pacchianamente il logo delle stazioni originali col suo scarabocchio di merdaset. Ricci NON ha mai scritto un cazzo, così come mogol NON ha mai scritto una bella canzone! Non è capace. Passa per il miglior autore italiano di canzoni… ma per piacere!
Mi hanno dato cinque premi della critica da ragazzo, come autore di canzoni, e non ero nessuno. Non conoscevo nessuno. Ho conosciuto il padre di questo attrezzo, il grande Mariano Rapetti, ex direttore della Ricordi di Milano. Lui sì che era qualcuno. Rapetti chiese a me di andare a lavorare con lui, di fargli da assistente e da “autore principe”. Diceva proprio così. Perché non lo chiese a quella capra di suo figlio? Dopo un anno, lui sarebbe andato in pensione e io sarei diventato il direttore della Ricordi. Questa la sua proposta. Un sogno. Ma rifiutai. Stavo troppo bene a fare il gallo nel mio pollaio della Belldisc – Produttori Associati. Io sapevo scrivere. Mio figlio sa scrivere. Ho prodotto Fabrizio De Andrè, che mogol non lo vedeva nemmeno col microscopio. E dove mettiamo i testi di Dalla, De Gregori, Guccini, Vecchioni, Jannacci, Paolo Conte, ecc.? Ma persino Masini, Venditti, Fossati, e cento altri… sono anni luce al di sopra di questo scribacchino banale e vanesio. Battisti, dite? Ma era Lui il genio, mica questo stalentato, che pigliava i testi di sfigatelli (che inondavano le Edizioni Ricordi di poesie e canzonette dalla melodia incerta, ma con alcune buone idee) e li copiava pari pari, storpiandoli per giunta! Ma rileggete le minchionerie che scrive, nemmeno bondi, burlesquoni, o gasparri scriverebbero stronzatine del genere:

«Anche un ca­stello diventa prigione/ Se ti rinchiudi fra divani e pol­trone/ Esci e non solo nel tuo giardino/ Tutta la gen­te ti vuole vicino»«E prova a dirmi una sola paro­la/ Poi fa una pausa di al­meno mezz’ora»«Oh Adriano/ Dammi la tua mano/ Oh Adriano».

Cioè, Melina ha nove anni, ma scrive molto meglio.

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