Una class action contro la Siae: “Il sistema ruba a manetta e premia gli amici degli amici”

Una class action contro la Siae
“Il sistema premia i più ricchi”

Umberto Palazzo, cantautore e disc jockey, lancia la sua proposta su Facebook, raccoglie consensi e cerca altri partecipanti. Sotto accusa il sistema di ripartizione dei diritti per le serate dal vivo: “Suonare le proprie canzoni per far arricchire i big è intollerabile”di ROBERTO CALABRÒ

Una class action contro la Siae "Il sistema premia i più ricchi"Umberto Palazzo

HA SUONATO con alcune delle più importanti band indipendenti italiane: gli Allison Run, i Massimo Volume, il Santo Niente. Ha curato la colonna sonora di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Adesso, oltre ai suoi progetti Santo Niente/Santo Nada e al primo album da solista Canzoni della notte e della controra che sta presentando in giro per l’Italia, Umberto Palazzo ha deciso di indossare le vesti di paladino della categoria.

Qualche giorno fa ha lanciato su Facebook una proposta di class action contro la Siae. L’idea sta facendo il giro della rete, raccogliendo consensi da più parti. Il perché è presto detto: per la stragrande maggioranza dei musicisti la società degli autori ed editori italiani è un’istituzione iniqua che prende ai poveri per dare ai ricchi, che cioè premia gli autori più ricchi e famosi con un meccanismo di ripartizione dei proventi totalmente sbilanciato.

A farne le spese sono le migliaia di artisti e

gruppi indipendenti che ogni sera suonano in giro per l’Italia pezzi di propria composizione e non solo le cover dei grandi successi. E che alla fine si vedono riconosciuti pochi spiccioli.

Si sa che i soci Siae sono divisi in due fasce. Una prima fascia formata dagli autori più noti nelle cui casse finisce la gran parte dei proventi e una fascia B composta da 20/30.000 autori e compositori minori a cui toccano soltanto le briciole di una torta multimilionaria.

“Penso a un’azione politica che porti al cambiamento di questa palese ingiustizia tramite un nuovo regolamento e propongo che si inizi con una class action. Questo è il momento giusto: si parla di modernizzare il Paese e di scardinare vecchi e ingiusti privilegi”, afferma Palazzo.

L’oggetto del contendere è il modo in cui la Società Italiana degli autori ed editori raccoglie i dati e ripartisce i proventi delle migliaia di serate in cui si propone musica, trasmessa o dal vivo. Qual è la procedura attuale? Ogni sera nei locali italiani dove si suona dal vivo o si tengono dj set c’è l’obbligo di compilare i borderò con i programmi musicali: i famosi fogli verdi e rossi.

Nei primi il disc jockey deve indicare i brani che ha suonato quella sera, nei secondi è il gruppo o l’artista che si è esibito a indicare le canzoni che hanno composto la scaletta del concerto. I gestori dei locali pagano una quota per ogni borderò consegnato e l’intero ammontare dovrebbe poi essere diviso equamente sulla base delle indicazioni in essi contenute. Ma, in genere, non avviene così. Perché ci sia una ripartizione corretta dei proventi, i dati presenti nei borderò andrebbero riportati fedelmente su un database e le percentuali spettanti ad ogni autore calcolate in base a questi.

La Siae procede, invece, con un controllo a campione. Per un puro calcolo statistico è chiaro che questo meccanismo favorisce gli autori più conosciuti, visto che il ricavo annuo di tutte le feste da ballo che si tengono in Italia viene poi ripartito fra i pezzi più suonati in quelle serate scelte a campione. Dal 2007, anche per il 75 percento dei concerti (contrassegnati dai borderò rossi) la ripartizione si fa con il metodo a campione, mentre il restante 25 per cento è analizzato ad estrazione.

“Praticamente – denuncia il musicista – non si prende neanche in considerazione l’idea che ci siano artisti che suonino solo musica di propria composizione. Questo va cambiato perché non è tollerabile suonare dal vivo per far arricchire ulteriormente gente come Zucchero, Ligabue, Vasco, a scapito di tutti gli altri”. Riuscirà Davide a spuntarla contro Golia? “Se saremo in tanti a supportare la class action faremo rumore, non spenderemo un patrimonio e forse avremo una chance di cambiare questo iniquo status quo”.

°°° Sono iscritto alla Siae da 50 anni esatti. Ho venduto cento volte più dischi di gigi d’alessio e di al bano, ma mi arrivano sempre pochi spicci, anche quando le mie canzoni spopolavano per anni in tutte le reti rai. Facciamola questa class action, anche all’Imaie, dove gli amici di gasparri e alemanno si sono fottuti 130 milioni nostri!

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