Lampedusa. I fascionazisti al potere hanno capito male anche il Vangelo, che dice AMARE IL PROSSIMO e non A MARE IL PROSSIMO!

10 ANNI DOPO LA STRAGE

Bambini, studenti, fiori lanciati in acqua. A Lampedusa l’omaggio alle vittime. E Saied promette l’invasione: 10mila sbarchi dalla Tunisia su barchini, carrette, gommoni.

INDOVINATE CHI SE NE STRAFOTTE E NON SI E’ FATTO VEDERE? ESATTO, IL PEGGIOR GOVERNICCHIO LADRO-MAFIOSO-INCAPACE DEL MONDO.

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DAJE! OLTRE QUESTO NON SANNO ANDARE. L’ITALIA LA STANNO MANDANDO A ROTOLI COME CARTA IGIENICA E QUESTI STURACESSI SONO BENDATI DAL LORO RAZZISMO E DALLA LORO ASSOLUTA INCOMPETENZA.

DAJE! OLTRE QUESTO NON SANNO ANDARE. L’ITALIA LA STANNO MANDANDO A ROTOLI COME CARTA IGIENICA E QUESTI STURACESSI SONO BENDATI DAL LORO RAZZISMO E DALLA LORO ASSOLUTA INCOMPETENZA.

MIGRANTI

MELONI ATTACCA LA SENTENZA CHE ANNULLA I TRATTENIMENTI: “UN PEZZO DI ITALIA AIUTA GLI ARRIVI ILLEGALI”. L’ANM: “RESPINGIAMO CON SDEGNO LE ACCUSE”

L’INTERVISTA

IL COSTITUZIONALISTA CELOTTO: “NON SPETTA A MELONI VALUTARE LA SENTENZA DI CATANIA”

L’INTERVISTA

IL COSTITUZIONALISTA CELOTTO: “NON SPETTA A MELONI VALUTARE LA SENTENZA DI CATANIA”

https://www.repubblica.it/…

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C’ERA UNA VOLTA… LA #ditta.

Arcipelago Schlein.

Il fumoso caminetto di Franceschini e il nulla straziante del Pd.

di Mario Lavia

Il partito democratico non ha nessuna strategia politica, solo manovre interne di piccolo cabotaggio per sostenere la segretaria fino a quando non sarà necessario cambiare rotta.

Tranquilli, non c’è nessun dibattito politico nel Partito democratico. Magari ci fosse. C’è solo una nuova fibrillazione legata al posizionamento delle correnti e dei loro capi: tutti ormai basano i loro ragionamenti guardando alle elezioni europee, e dunque al Nazareno si portano avanti col lavoro e sono già iniziate le grandi manovre. Ma nulla che riguardi la strategia di un partito che in un anno di opposizione – secondo tutti i sondaggi – non ha praticamente guadagnato niente, restando intorno a quel venti per cento con cui fai la birra.

Invece di preoccuparsi di questo, i dirigenti del Partito democratico sono impegnati nel lanciarsi segnali di fumo tra di loro. L’ultima puntata vede la nascita, più che di una corrente, di un patto di sindacato interno alla maggioranza che regge Elly Schlein (ma senza gli schleiniani!) escogitato da Dario Franceschini. Un patto di sindacato chiamato “Arcipelago”, una specie di “caminetto autoconvocato”, il cui senso si può decodificare in un modo e nel modo opposto.

Si tratta di un schieramento a favore di Elly Schlein? O invece di un alert proprio rivolto alla segretaria? Già in questa ambiguità si condensa tutta la povertà di questa “dialettica” interna, ma se dovessimo scegliere opteremmo per la seconda ipotesi. Il cui messaggio, se così si può definire, alla giovane leader è questo: qualunque sarà il risultato delle europee saremo noi “adulti” a decidere il da farsi, e intanto non ti preoccupare che per ora qui ci siamo noi.

Il che, franceschinianamente, significa questo: se Schlein supererà di un bel po’ il venti per cento (più venticinque che venti) resta leader e lui la condiziona; se andrà sotto, la manderà via. Tipico di Franceschini, da sempre costruttore e distruttore di leader, liste, governi. Fossimo in Elly Schlein, non gradiremmo.

Nel “patto di sindacato” ci sono i soliti: Francesco Boccia, Nicola Zingaretti, la new entry Dario Nardella – riavvicinatosi alla segretaria in vista di una candidatura alle europee dopo averla improvvisamente mollata al congresso – i nuovi arrivati (definiti da qualcuno «quelli in vendita») autoproclamatisi «neoulivisti» (Anna Ascani, Marco Meloni e lettiani vari), si è provato a tirar dentro la sinistra interna ma gli è andata male, forse c’è l’intento di acchiappare in futuro altri esponenti che fluttuano tra la leader e Base riformista, la corrente di Stefano Bonaccini che oscilla tra una linea molto critica verso Schlein (Lorenzo Guerini) e una ben più accomodante (Bonaccini stesso) e deve decidere cosa fare da grande.

In tutto questo ginepraio, la leader va avanti con la sua squadra macinando (e talvolta bruciando) proposte e iniziative. Ieri è stata davanti alla fabbrica della Marelli di Crevalcore che rischia di chiudere. Un gesto significativo. Dalla sua parte c’è sicuramente Pier Luigi Bersani che ieri su Repubblica si è sperticato in lodi per la segretaria bocciando chi la dipinge come «una macchietta», una segretaria che a lui appare come l’ultima spiaggia per salvare il Partito democratico e l’idea del campo largo apertissimo al Movimento di Giuseppe Conte – il quale peraltro continua a ignorare le profferte del Nazareno per intese anche solo sui singoli temi.

Ma a dire la verità la proposta di Bersani è l’unica chiara, mentre le altre correnti vivono alla giornata cercando di assestarsi tatticamente nel panorama interno come meglio conviene. Già pensano al risultati del 9 giugno, mentre il Paese va a ramengo sotto la guida di una destra già in panne. Primum vivere, deinde philosophari, giusto? Una come Elly Schlein dovrebbe lasciarli cuocere nel brodo delle rendite di potere e cercare di aprire, lei, una discussione seria sul futuro di un partito bloccato.

Pexels

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Un anno di (pessimo)governo

Giorgia Meloni, più influencer che premier

Mette empatia nei rapporti internazionali e abilità nel discorso pubblico affidandosi ad una comunicazione di chiaro stampo casaleggiano: non risolve un problema ma si fa vedere sempre vicina. Sulla politica estera non tocca palla. I like arrivano, i rimborsi post-alluvione no.

Matteo Renzi — 26 Settembre 2023

Un anno fa Giorgia Meloni vince le elezioni, ottenendo col solo 26% una maggioranza schiacciante. Chi capisce di politica sa che senza Enrico Letta, la destra non avrebbe mai vinto. Mai. Ma l’autogol del PD del 2022 ormai è cronaca: ci faranno un caso di studio in qualche università francese. Nel frattempo Giorgia si presenta come l’underdog, quella fuori dal giro.
Chi la conosce sa che è una bugia ma le bugie simpatiche sono irresistibili. Altro che underdog: Meloni è una parlamentare alla quinta legislatura, è stata la ministra più giovane della storia con Berlusconi; ha già perso al primo turno le comunali di Roma; è già stata Vicepresidente della Camera grazie a Fini più o meno come accadrà a Di Maio con Beppe Grillo. Meloni si racconta come una che lotta a mani nude contro il sistema quando quel sistema l’ha da sempre beneficiata.

Ma si narra come una outsider e tutti le credono. È come se una magia avesse incantato tutti: oh quanto è brava, coerente, nuova. Lei ci mette empatia nei rapporti internazionali e abilità nel discorso pubblico. Si affida a una comunicazione di chiaro stampo casaleggiano: non risolve un problema ma si fa vedere sempre vicina. E quindi viene via dal G7 lasciando l’Italia senza rappresentante politico quando Biden e Macron incontrano Zelensky: meglio stare con gli stivali in mezzo agli alluvionati. Alluvionati che a distanza di quattro mesi non vedono un euro, se non quelli stanziati da Bonaccini. Ma nel magico mondo dei populisti conta l’immagine, non la sostanza. I like arrivano, i rimborsi no. Un anno dopo la vittoria, Giorgia non ha risolto un solo problema. 

Ha aumentato le accise rispetto agli anni di Draghi. Ha pagato la cambiale a Lotito dando i soldi alla Serie A ma non ha rinnovato la 18App. Ha raddoppia gli sbarchi altro che blocco navale. A ogni catastrofe climatica lei non sbaglia un tweet ma non ripristina l’Unità di Missione contro il dissesto. Ha nominato Nordio ma non gli consente di mandare avanti la riforma della giustizia. L’inflazione picchia duro e lei è bravissima a trovare i colpevoli: la guerra, la Lagarde, il Superbonus. E il bello è che su alcune cose ha pure ragione. Ma il suo governo non ha una strategia. Lei che ironizzava sugli 80€ oggi pagherebbe di tasca propria per inventarsi qualcosa di simile sulle tasse. Nel frattempo i suoi alleati Tajani e Salvini se le danno di santa ragione mentre per sistemare il partito lei sceglie la sorella come per tenere a bada il Governo ha bisogno del cognato capodelegazione.

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Sulla politica estera non tocca palla ma viene bene in foto mentre coccola Biden o scherza con Modi: magari in futuro servirà, al momento non è dato saperlo. Sintesi. Come influencer Giorgia Meloni è promossa a pieni voti. È come premier che proprio non funziona. Gli italiani se ne stanno accorgendo. Lei chissà.

Matteo Renzi

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LA PERFETTA FAMIGLIA PATRIDIOTA:LA SORELLA SPOSATA CON UN IMBECILLE;LEI FIDANZATA DA ANNI CON UN IMBECILLE;SUA MAMMA SI FIDANZA E SI SFIDANZA DA DECENNI. E… IL PADRE? SCOMPARSO? NO…

Meloni e gli affari di famiglia. Tra Spagna e soci misteriosi.

di GIOVANNI TIZIAN, NELLO TROCCHIA E ANTONIO M. VÉLEZ (ROMA E MADRID)
13 maggio 2023
Aggiornato, 29 maggio 2023

La premier e la madre sostengono da sempre di aver tagliato i rapporti con Francesco Meloni nel 1988.
Ora spunta una società di Madrid amministrata (dal 2004) proprio dal padre condannato a nove anni di galera in Spagna per narcotraffico.
Tra i soci c’è Raffaele Matano. Un geometra che al tempo era in affari anche con la madre della premier. Il ruolo delle «sorellastre» della leader di Fratelli d’Italia nella catena societaria.

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CAZZARA E LADRA INCALLITA. La RIDICOLA ministra del Turismo

L’INCHIESTA

Santanchè nei guai anche per Ki Group: la procura di Milano chiede il fallimento, smentite le rassicurazioni della ministra in Senato

di Sandro De Riccardis, Antonio Fraschilla

Daniela Santanchè, ministra del Turismo ed esponente FdI

Esclusivo. Dopo Visibilia, i pm respingono la richiesta di concordato per la società del settore biologico. Tra i creditori ci sono i dipendenti che non hanno ricevuto il Tfr. Dal 2014 l’esponente FdI e il socio Mazzaro hanno incassato milioni di euro di emolumenti.

ROMA – Arriva un’altra grana per la ministra Daniela Santanchè e le sue vicende imprenditoriali. Nonostante le rassicurazioni date in Senato sul risanamento di un’altra società oltre alla sua Visibilia nella quale ha avuto ruoli come socia e come gestione, il gioiello del biologico Ki Group, la procura di Milano con una nota presentata oggi ne chiede il fallimento. La Ki Group è la società del gruppo Bioera che nel 2014 ha visto entrare in maggioranza Santanchè e l’allora compagno Caio Mazzaro. Da allora la società ha appesantito la sua difficoltà a stare in piedi, anche se, come denunciato da una inchiesta di Report, mentre alcuni dipendenti ancora oggi non hanno ricevuto il Tfr dopo essere stati licenzianti, e fornitori sono falliti per i mancati pagamenti, “sia Santanchè sia Mazzaro hanno ricevuto emolumenti per milioni di euro in qualità di componenti dei cda del gruppo che fa capo a Bioera”.

Santanchè al Senato: “Sull’avviso di garanzia ho detto la verità. Chi dice il contrario, mente”

La ministra aveva assicurato in Senato che sarebbe stato pagato il Tfr ai dipendenti e salvata la società: notizie che aveva “appreso dal management pur non avendo più lei alcun ruolo operativo e societario”. La procura di Milano con una nota firmata dai pm Luigi Luzzi e Giuseppina Gravina boccia la richiesta di concordato con i creditori (gli ex dipendenti e i fornitori appunto) presentata da Ki Group. E chiede il fallimento per tutto il gruppo, aprendo quindi a nuovi indagini sul passato: la Santanchè è già indagata per le vicende Visibilia, la sua società editrice e la procura anche qui ha bocciato ipotesi di risanamento e ampliato le indagini su una presunta truffa per cassa Covid come raccontato da Repubblica.

Sul concordato presentato da Ki Group la procura di Milano adesso afferma: “Ad avviso degli scriventi non sono state rispettate le condizioni di accessibilità allo strumento del concordato semplificato. In particolare non viene fornita alcuna indicazione in ordine a una effettiva e completa interlocuzione con i creditori, al fine di raccogliere un eventuale consenso”. Il risanamento di Ki Group sarebbe dovuto passare da un intervento pari a 1,6 milioni della capogruppo Bioera. Ma secondo la procura “non è prevista alcuna garanzia”: “La ricorrente non pare abbia fornito un’analisi dei costi e dei ricavi di gestione attesi dalla prosecuzione dell’attività di presa prevista dal piano di concordato, con il fine di evitare un detrimento dei creditori nelle more della dismissione dell’intero patrimonio aziendale”.

Ki Group da Invitalia e dalle banche: la richiesta di ridurre i debiti quando Santanchè era già ministra

di Antonio Fraschilla07 Luglio 2023

Inoltre la Bioera, che dovrebbe salvare l’ex gioiellino del biologico italiano Ki Group è “gravata da una perdita di 5,3 milioni” nell’ultimo bilancio. E anche la società di revisione dichiara di non essere in grado di “esprimere un giudizio sui bilanci della società non avendo “elementi probativi sufficienti ed appropriati su cui basare il proprio giudizio”. Continua così la procura: “Essendo questa la situazione economica di Bioera, di cui questo ufficio chiede la liquidazione giudiziale, non si vede come la stessa possa farsi carico del peso economico del piano proposto da Ki Group. Gli scriventi pertanto concludono rilevando la manifesta inattitudine del piano proposto e la non fattibilità dello stesso con riguardo alle garanzie offerte per assicurare la liquidazione, in palese danno ed in frode ai creditori con conseguente pregiudizio aggravato dalla mancata comunicazione agli organi della procedura di importanti informazioni”. Per questo i magistrati chiedono l’avvio della procedura fallimentare per tutte le società del gruppo, Bioera e Ki Group.

Davide Carbone, avvocato dei dipendenti e delle dipendenti che attendono ancora il pagamento del Tfr chiama in causa la ministra e le sue dichiarazioni in Senato: “Il documento depositato dalla procura con richiesta di fallimento delle tre società rappresenta come le parole del ministro in Senato sul totale saldo dei creditori e degli stessi dipendenti ad oggi siano rimaste solo vane promesse: un esercizio sterile della lingua italiana. Di fatto il fallimento farà sì che i debiti verso i dipendenti verranno saldati dall’Inps e quindi dai cittadini italiani”.

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POVERO, RIDICOLO, MASSONE AL SERVIZIO DEI TRAVAGLI E DELLA MAFIA RUSSA!

Movimento lento.

L’insostenibile inconsistenza politica di Giuseppe Conte

Mario Lavia

Il leader grillino vive ancora di rendita e acquattato assiste al doppio wrestling dialettico tra Meloni, Schlein e Salvini

Assiste al doppio wrestling – quello tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini e quello tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein – rimastica brandelli di propaganda antigovernativa, si affaccia nei pastoni e stasera da Bruno Vespa, politicamente è fermo come un paracarro: bella vita, quella di Giuseppe Conte. Posizionamento tattico ideale, per uno come lui. Completamente afono nei contenuti, lucra sulla crisi del governo e i balbettamenti del Partito democratico specie su temi che fanno male a chiunque vi si accosti a partire dall’immigrazione. 

Tutti, più o meno brillantemente, si stanno scervellando per capire come comportarsi di fronte alla fortissima pressione di queste settimane su Lampedusa e le coste siciliane, si riunisce il Consiglio dei ministri per fare la faccia feroce dei carcerieri, si fanno comizi anti-immigrati come sul prato di Pontida, si riunisce d’urgenza la segreteria del Pd (le altre volte evidentemente fanno con calma) per escogitare una linea che non sia tacciabile di permessivismo né del suo contrario, molte idee ma alla fine l’italiano medio non capisce bene se possano entrare tutti o no e se è no cosa succede. L’unico che sta zitto è il capo del M5s, non si espone, sta al balcone come Eduardo a sorbire il caffè, il ciuffo ribelle e lo sguardo severo come di chi parla di un Paese che non è il suo, fa finta di fare politica ma capisce che non è il momento.

D’altra parte fa così su tutto. Che propone, l’avvocato? Che dice, il Movimento? Zero. Meglio stare sulla riva del fiume, cosa c’è di più comodo? È talmente fuori dal dibattito pubblico, Conte, che ci si è dimenticati di lui, che pure sull’immigrazione ha il torto storico di aver assecondato i famigerati decreti Salvini sotto il suo primo governo, è vero, basterebbe questo per squalificarlo dal dibattito. È stato massacrato, a ragione, sul Superbonus ma lui ha alzato le spalle, tanto il dividendo c’è già stato. 

Vive di rendita, l’avvocato, il salario minimo è un rimpianto per molti e i suoi elettori sanno che è il più professionista di tutti, senz’altro meglio – pensano – della «ginnasiale» (copyright Giuliano Ferrara) che guida un Pd che da qualche tempo ha il terrore di non riuscire a risalire la china, complice anche l’iperattivismo della segretaria che induce confusione, non riuscendo a sfondare il muro dello scetticismo di massa che si erige alto attorno al fortino del Nazareno. 

Pungere Meloni, poi, per un uomo di mondo come Conte è un gioco da ragazzi mentre Carlo Calenda e Matteo Renzi ormai lo ignorano, cordialmente ricambiati. Così, per inerzia, il Movimento 5 stelle cammina radendo i muri come i ladri di notte e riesce a mantenere in questo modo paradossale suoi numeri nei sondaggi, il che è forse il problema numero uno per un Pd che se non arraffa lì dove altro li deve prendere i voti.

La scommessa di Schlein, mai esplicitata, è infatti quella di riportare il suo partito almeno ai livelli di Pier Luigi Bersani (venticinque per cento) senza escludere dunque con un po’ di fortuna di poter diventare primo partito ma se non riesce a scalfire la corteccia contiana l’obiettivo non verrà centrato, e lui lo sa, per questo ha scelto di stare al largo della tempesta nella prospettiva di salvarsi dal naufragio della politica di cui egli è peraltro tra i principali responsabili.

Ecco perché Conte è per Schlein quello che Salvini è per Meloni, per le due leader una concorrenza in un certo senso sleale – entrambi lucrano sulle disgrazie altrui – ma che rischia di funzionare portando ulteriori blocchi di melma nelle due paludi stagnanti del governo e dell’opposizione.

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