L’assalto ai giornalisti

L’assalto ai giornalisti

di GIUSEPPE D’AVANZO (Rep)

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NEMMENO il più ostinato pessimismo poteva attendersi che sarebbe durato un sol giorno lo sbigottimento e il dolore per il volto insanguinato di Silvio Berlusconi. Poche ore per sbarazzarsi, come di un ostacolo ingombrante, di ogni solidarietà umana, pensiero autocritico, reciproco invito a evitare il dissolversi di ogni legame comunitario, ad accettare una responsabilità collettiva in ordine alla promozione del bene comune.

Il volto di Berlusconi, contorto dalla sofferenza inflittagli dalla violenza di un matto, avrebbe potuto (e dovuto) sollecitare ciascuno di noi a sentirsi communis, “colui che condivide un carico”, e tutti noi communitas allegata da un dovere, da un debito, dalla promessa di un reciproco dono (munus) che nessuno può tenere per sé. Quando è durato quest’incanto? Dieci ore, quindici? Appena i luoghi pubblici (il Parlamento, i talk-show televisivi) si sono riaperti, è ritornata la notte abitata dallo spirito di intolleranza, esclusione, violenza che appaiono il segno distintivo di questa cultura di governo. Chi ha armato la mano del matto? Chi è il mandante? Di chi è la colpa? E quindi chi deve essere sorvegliato, punito, imbavagliato, espulso? Quali sono i giornali, i giornalisti, i social network che devono ammutolirsi? Quali regole e controlli dare alle manifestazioni pubbliche? Quali sono i “padri” di quella “cultura responsabile del clima d’odio” da mettere all’indice (e c’è chi già elenca, incauto: Gobetti, Bobbio, Gramsci, Dossetti)?

Sono domande che ripropongono con un’eco funesta “una lotta politica recitata come una parodia dell’eterna guerra civile”. Esaltato da un rancore cieco, da un’inimicizia assoluta e irreparabile, il coro berlusconiano – animato in Parlamento da Fabrizio Cicchitto e, in Rai, da Bruno Vespa – elimina ogni differenza tra la critica legittima e l’aggressione violenta, tra il disaccordo ragionato e la destabilizzazione. Trasforma l’avversario politico in un criminale, il dissenziente in un terrorista. Il mestiere d’informare di Repubblica diventa “disegno eversivo”, minaccia per il legittimo governo del Paese, un intero gruppo editoriale – il nostro – agenzia ostile all’interesse nazionale, più o meno un’association politico-criminelle.

I toni, gli argomenti che si ascoltano hanno molto in comune a una caccia alle streghe. Chiunque in questi mesi si è sottratto alla nobilitazione dell’esistente, al racconto unidimensionale e autocelebrativo del soggetto centrale unico, detentore della verità e del potere, viene iscritto in una black list. Accade al Gruppo Espresso, al Fatto, a Santoro e ad Annozero, ai pubblici ministeri che hanno avuto la sventura di incontrare sulla loro strada il capo del governo o qualche suo amico. Per tutti si annunciano adeguati castighi.

Si distingue in questo lavoro prepotente Bruno Vespa, dimentico di quanta solidarietà e comprensione abbia circondato il premier. Estrapola, da un lungo ragionamento, una frase di Marco Travaglio e lo indica all’opinione pubblica come il mandante morale della violenza subita da Berlusconi. Con un’ipocrita sfrontatezza lo chiama al telefono, durante la trasmissione, per chiedergli se ha qualcosa da dire in quel processo ingiusto, improvvisato alle spalle di un imputato ignaro e assente, non sostenuto da alcuno dei presenti. È la mossa più barbarica cui si è assistito in queste ore. Il metodo e il giornalismo di Marco Travaglio sono discutibili come quelli di chiunque altro – e qui sono stati discussi con severità – , ma egli è soltanto un giornalista. Non ha alle spalle un partito o un’organizzazione qualsiasi. Non è protetto da una scorta. Può contare soltanto sulla credibilità del suo lavoro, sul consenso che ne ricava tra chi lo legge e lo ascolta. Abbandonarlo così indifeso e solitario al conflitto che divide il Paese, è un’irresponsabilità tanto più grave perché matura da una tribuna che dovrebbe mostrare equilibrio e moderazione, essere l’interprete migliore del monito pacificatorio del presidente della Repubblica.

La violenza e l’intolleranza di queste ore smascherano l’insincerità dei falsi pacificatori e ripropongono il paradigma di una politica che si alimenta non di unità, ma di divisione; non di ordine, ma di disordine. È un dispositivo di governo che giustifica e potenzia se stesso nell’eccitare i conflitti più aggressivi che circolano nella società, tra la società e lo Stato, nello Stato. Lungo queste continue “linee di frattura” che di volta in volta individuano un “nemico” (quanti ne possiamo contare dall’inizio della legislatura, dai “negri”, ai “froci”, ai “fannulloni”?), si potenzia un progetto politico che pretende di esercitare la sovranità senza limiti, in nome del “potere costituente del popolo”, con una “decisione” che lascia indistinto il diritto e l’arbitrio, l’eccezione e la regola. Il pazzo gesto di Massimo Tartaglia, rafforzato dalle emozioni che hanno smosso, appare al coro berlusconiano un’eccellente occasione per rilanciare l’obiettivo di ridurre i poteri plurali e diffusi a vantaggio di una forma politico-istituzionale accentrata nella figura di un premier che può fare a meno di ogni contrappeso, di ogni controllo di garanzia, di ogni soggezione alla legge. La follia di un uomo diventa addirittura l’opportunità per riscrivere il pactum societatis che definisce le condizioni del nostro stare insieme. Non si comprende che cosa c’entri il gesto di un matto con la necessità di una riforma costituzionale. Si comprende benissimo come, in questa metamorfosi della nostra democrazia, l’informazione possa essere un inciampo da rimuovere, un attore da minacciare, un “nemico” da indicare con nome, cognome e società di appartenenza alla vendetta del “popolo sovrano”. Già lo si è letto, purtroppo: “In una democrazia non spetta ai giornali giudicare chi governa”. Al contrario, noi crediamo che, quale che sia l’idea di democrazia che si ha in testa, tutti i modelli prevedono l’esistenza di uno spazio al quale i cittadini accedono attraverso lo scambio di informazioni e il confronto degli argomenti, per farsi un’opinione delle questioni di interesse generale.
Alimentare di informazioni la sfera pubblica, arricchirla di notizie, ragioni e argomenti è il nostro lavoro. Piaccia o non piaccia al piduista Cicchitto, al servizievole Vespa, al coro che si dice “della libertà”, continueremo a farlo.

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La menzogna al potere

L’ANALISI
Il nuovo volto del potere
di GIUSEPPE D’AVANZO

IL “caso Berlusconi” svela da oggi anche altro e di peggio. Ci mostra il dispositivo di un sistema politico dove la menzogna ha, non solo, un primato assoluto, ma una sua funzione specifica. Distruttiva, punitiva e creatrice allo stesso tempo. Distruttiva della trama stessa della realtà; punitiva della reputazione di chi, per ostinazione o ingenuità o professione, non occulta i “duri fatti”; creatrice di una narrazione fantastica che nega eventi, parole e luoghi per sostituirli con una scena di cartapesta popolata di fantasmi, falsi amori, immaginari complotti politici.

E’ stato per primo Silvio Berlusconi a muovere. Si scopre vulnerabile nelle condizioni di instabilità provocate dalle parole della moglie (“frequenta minorenni”, “non sta bene”) e fragile per la sua presenza nella peggiore periferia di Napoli a una festa di compleanno di una minorenne. E’ dunque costretto a mostrare, senza finzioni ideologiche, il suo potere nelle forme più spietate dell’abuso e della pura violenza. E’ già un abuso di potere (come ha scritto qui Alexander Stille) in un pomeriggio di autunno telefonare, da un palazzo di Roma e senza conoscerla, a una ragazzina che sta facendo i compiti nella sua “cameretta” per sussurrarle ammirazione per “il volto angelico” e inviti a conservare la sua “purezza”. E’ un abuso di potere ancora maggiore imporre ai genitori della ragazza di confermare la fiaba di “una decennale amicizia” con il premier, nata invece soltanto sette mesi prima grazie a un book fotografico finito non si sa come sullo scrittoio presidenziale.

E’ pura violenza pretendere che gli si creda quando dice: “Io non ho detto niente”. Tutti abbiamo sentito Berlusconi dire, spiegare, raccontare in pubblico e soprattutto contraddirsi e mentire. Ora egli pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. Esige che noi dimentichiamo ciò che ricordiamo e crediamo vero ciò che egli dice vero e noi sappiamo bugiardo. Non ha detto niente, no? Berlusconi chiede la nostra ubbidienza passiva, l’assuefazione a ogni manipolazione anche la più pasticciata. Reclama una sterilizzazione mentale (e morale) dell’intera società italiana.

Già basterebbe questo atto di pura violenza per riproporre le dieci domande a cui il capo del governo non vuole dare risposta da più di due settimane perché, palesemente, non è in grado di farlo. Se lo facesse, potrebbe compromettere se stesso, rivelare abitudini e comportamenti in rumorosa contraddizione con il suo messaggio politico (Dio, patria, famiglia).
C’è altro, però. Berlusconi sa che questa prova di forza non lo mette al sicuro dal potenziale catastrofico della “crisi di Casoria”. Sa che spesso i fatti sono irriducibili e hanno la tendenza a riemergere. Sa che per distruggere quella realtà minacciosa, deve distruggere presto e nel modo più definitivo chi la può testimoniare. Anche in questo caso il premier ha deciso di muoversi con un canone di assoluta violenza. E’ quel che accade in queste ore. Per raccontarlo bisogna ricordare che i giorni non sono passati inutilmente perché hanno offerto a chi ha voglia di sapere e capire qualche accenno di “verità”.
Veronica Lario dice a Repubblica che il premier “frequenta minorenni”. Berlusconi nega dinanzi alle telecamere di Porta a porta di frequentare minorenni.
Mente, ora è chiaro. Ci inganna intenzionalmente e consapevolmente, ben sapendo che cosa vuole deliberatamente nascondere. Ha frequentato la minorenne di Napoli come altre minorenni hanno affollato le sue feste e affollano i suoi weekend nella villa di Punta Lada in Sardegna. Dov’erano quelli che oggi minimizzano la presenza di ragazzine alla corte di un anziano potente di 73 anni quando quel signore negava di “frequentare minorenni”?

Un secondo punto, fermo e indiscutibile, è l’inizio dell’amicizia con Noemi, la ragazza napoletana. La retrodatazione del legame tra il premier e la famiglia della ragazza al 1991 si è rivelata posticcia e contraddittoria. I suoi incontri con la minorenne, anche in assenza dei genitori, sono stati documentati (Villa Madama; Capodanno 2009 a Villa Certosa). L’inizio dell’affettuosa e paterna amicizia tra il capo del governo e la minorenne è stata testimoniata dall’ex-fidanzato della ragazza, confermato da una zia di Noemi, fissato nell’autunno del 2008.

Contro questi “punti fermi”, che lasciano il premier nudo con le sue bugie, si è scatenata una manovra utile a scomporre, ricomporre e confondere i fatti in un caleidoscopio mediatico di immagini false dove l’arma è la menzogna e gli armigeri sono i giornalisti stipendiati dal capo del governo, dimentichi di ogni deontologia professionale e trasformati in agenti provocatori; i corifei del leader, forti dell’immunità parlamentare e disposti a ogni calunnia. Buon’ultima Daniela Santanché che accetta di fare, nell’interesse del Capo, il lavoro sporco di diffamarne la moglie (“ha un compagno”). Chiunque, in questo affare, abbia portato il suo granellino di verità viene ora sottoposto a un pubblico rito di degradazione fabbricato con un violento uso della menzogna.

Il primo assalto è toccato a Repubblica investita, dall’editore all’ultimo cronista che si è occupato del “caso”, da un’onda di panzane. Prima il complotto politico (ma la polemica sulle veline è stata sollevata dal think tank di Gianfranco Fini). Poi la bubbola del pagamento del testimone (Gino Flaminio) che colloca la prima telefonata di Berlusconi a Noemi alla fine del 2008. L’accusa la grida in tv il ministro Bondi. Qualche giorno prima che un allegro commando di redattori del giornale della famiglia Berlusconi si scateni contro Flaminio allungandogli un paio di centoni “per l’incomodo” e realizzando la ridicola impresa di essere i soli a pagare l’ingenuo Gino. Che, anche se spaventato e intimorito, dice, ridice e conferma in tre occasioni di “non aver avuto un centesimo da Repubblica”. Non è finita. Uguale trattamento viene inflitto al fotografo che ha immortalato, nell’aeroporto di Olbia, lo sbarco da un aereo di Stato delle ragazze (alcune, appaiono da lontano minorenni) invitate a allietare il fine settimana del presidente del consiglio. Infilato prima in una trappola dall’house organ di Casa Berlusconi, denunciato poi per truffa (improbabile reato) dall’avvocato del premier, la procura di Roma decide di sequestrare sia le immagini illegittime (scattate verso il patio di Villa Certosa) sia le foto legittime (raccolte in un luogo pubblico).

Siamo solo all’interludio perché il colpo finale, la menzogna usata come manganello punitivo, viene riservato alla prima e più autorevole testimone dell’instabilità psicofisica del premier e dei suoi giorni con le minorenni: Veronica Lario. Daniela Santanché (non è un’amica della Lario, non frequenta la villa di Macherio) svela a Libero che “Veronica ha un compagno”. E, se “Veronica ha un compagno”, come possono essere attendibili i suoi rilievi al marito? Il cerchio ora è chiuso. Il pestaggio menzognero è completo, anche se non concluso. Ciascuno ha cominciato ad avere quel che si merita.

Questo spettacolo nero ha il suo significato politico. Berlusconi vuole insegnarci che, al di fuori della sua verità, non ce ne può essere un’altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si scorge nella “crisi di Casoria” un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l’irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura l’impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del premier come fabbrica di menzogne punitive di chi non si conforma (riflettano tutti coloro che ripetono che ormai il conflitto d’interesse è stato “assorbito” dal Paese). E’ il nuovo volto, finora nascosto, di un potere spietato. E’ il paradigma di una macchina politica che intimorisce. C’è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip e non la storia di un abuso di potere continuato, ora anche violento, e quindi una questione che scrolla la nostra democrazia?


°°° NON AGGIUNGO UNA SOLA VIRGOLA…

APTOPIX ITALY BERLUSCONI

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Altri disastri…

… creati dalla devastazione della cosca berlusconi e dalla miseria in cui ci ha precipitati. UNA VERA GUERRA FRATRICIDA TRA POVERI. QUANDO SI SCAGLIERANNO CONTRO IL VERO COLPEVOLE DI TANTO DISASTRO?

cobas

Torino, i Cobas contro la Fiom
Rinaldini buttato giù dal palco
La fotosequenza dell’assalto

Forte tensione alla manifestazione nazionale. I sindacati autonomi hanno fischiato a lungo il discorso del segretario e poi hanno dato l’assalto. Pugni a Rinaldini (che, comunque, ha ripreso a parlare) e una cinghiata a Peverati (Uilm). I Cobas hanno quindi improvvisato il loro comizio

brunetta-merdasecca

tremonti-merdasecca

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