Non soli preti, anche alcune suore violentano ragazzine.

Andrea Sceresini per “la Stampa

L’avrebbe vessata per anni, fino a condurla all’esaurimento psicologico, e infine al suicidio. Avance sessuali, atti persecutori, violenze, morbosità: una triste storia di pedofilia, maturata nel silenzio della più profonda provincia lombarda, fino al drammatico epilogo. Siamo a Busto Arsizio, ottantaduemila anime nel cuore del Varesotto.

Qui la vittima – una ragazzina all’epoca minorenne, con qualche problema relazionale – frequentava l’oratorio della parrocchia. Ed è lì, tra i campetti di pallavolo, le aule per il catechismo e le sagrestie, che conobbe la sua persecutrice: una insospettabile suora, oggi cinquantaduenne, anche lei nativa di Busto Arsizio.

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Il primo incontro avvenne nel lontano 1997, quando la giovanissima parrocchiana aveva solo 12 anni. Di lì a poco iniziarono i tormenti: il rapporto tra la religiosa e la ragazzina «assunse presto connotazioni sessuali – come si legge in una nota diramata ieri dai dirigenti della questura locale -, sino a trasmodare nel tempo in veri e propri atti persecutori e crescenti violenze fino a quando, nel giugno 2011, la ragazza, in preda ad una profonda crisi morale e psicologica, si tolse la vita all’età di ventisei anni».

 

Il suicidio avvenne per impiccagione, e avviò a una serie di indagini. Gli agenti del commissariato di Busto, coordinati dal pm Roberta Colangelo, cominciarono a esaminare gli oggetti personali della ragazza: il suo diario, le lettere, gli scritti, i file contenuti nel computer, le fotografie. Pian piano, da quella corposa mole di fogli dattiloscritti emersero i contorni della terribile vicenda: fatti, circostanze, episodi, luoghi, date. E poi, soprattutto, il nome e il cognome dell’inimmaginabile persecutrice.

Negli ultimi mesi, grazie all’esame di questo materiale, le indagini hanno subito una rapida accelerazione, fino a culminare, nel pomeriggio di ieri, con l’incriminazione della religiosa: il gip di Busto Arsizio ha immediatamente disposto che la suora venga sottoposta a regime di sicurezza attraverso il ricovero in una casa di cura designata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dove è stata scortata dai poliziotti di Busto Arsizio e della squadra mobile di Varese. La donna, nel corso degli ultimi anni, si era trasferita nel Milanese, dove dirigeva un centro di formazione professionale.

Sottoposta a consulenza tecnica, è risultata pericolosa socialmente e affetta da un disturbo della personalità che incide parzialmente sulle sue capacità di intendere e di volere. L’accusa, nei suoi confronti, è di violenze private e atti persecutori. Un’imputazione gravissima, che ha immediatamente monopolizzato i titoli dei vari media locali. «Indagini shock»: strilla uno dei più quotati giornali online della provincia. Ci vorrà del tempo, prima che placida routine di questi sonnolenti paesotti tra il lago e la pianura torni a scorrere con la consueta calma.

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Come si vede…

… non bisogna essere dei politicanti per delinquere: basta essere di destra.

Milano
I superevasori e l’uomo di Marcella Bella:
ventidue milioni sequestrati
Secondo i pm , Merello, marito della cantante, trovava i clienti che volevano esportare denaro frodando il fisco

MILANO — Ventidue milio­ni di euro in una banca di Busto Arsizio su un conto formalmen­te intestato alla società offsho­re «Menaggio Marketing e Ser­vicos Lda» con sede a Madeira: su segnalazione dell’«Unità in­formazione finanziaria» di Ban­ca d’Italia, li ha sequestrati la magistratura di Milano appena uno studio legale svizzero ha or­dinato alla banca di trasferirli di corsa in Lussemburgo. E, so­prattutto, appena un italiano, che in teoria non aveva legami con quei soldi, si è invece mol­to agitato per il fatto che non stessero partendo a razzo verso il Lussemburgo: al punto che, come rileva il giudice Fabrizio D’Arcangelo nella convalida del sequestro preventivo operato dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, un funzionario della ban­ca testimonia che «rispetto al­l’operazione bloccata Mario Me­rello e suo figlio Giacomo avrebbero esercitato indebite pressioni per dare corso all’ope­razione, addirittura minaccian­do denunce in caso di omissio­ni o ritardi».

Merello chi? Per il mondo del jet-set è l’industriale che l’anno scorso ha battezzato un panfilo da 50 metri con il nome («Marcelita») della sua compa­gna, la cantante Marcella Bella. Per l’anagrafe ha domicilio a Sa­inkt Moritz e residenza a Cara­cas. Per la comunità del busi­ness, è in affari in Svizzera con l’avvocato elvetico Fabrizio Pes­sina e il commercialista Siro Za­noni.

Per chi allena la memoria, è inciampato anni fa con Pessi­na in un insider trading che lo indusse a raggiungere una tran­sazione con la Sec, la Consob americana. E ora rischia d’esse­re la prima «vittima» dei «dan­ni collaterali» inflitti a 180 ita­liani dal computer di Pessina.

Il 2 febbraio, infatti, l’avvoca­to svizzero è stato arrestato — insieme a due ex appartenenti alla GdF passati a lavorare per il primo imprenditore italiano del settore delle bonifiche am­bientali di siti industriali (Giu­seppe Grossi, cliente di Pessi­na) per riciclaggio di 14 milioni di euro (nel frattempo già saliti a 25) provenienti dalla sovrafat­turazione del 30% dei costi del­la bonifica dell’area a Monteci­ty- Santa Giulia, operata dal gruppo Grossi per l’immobilia­rista Luigi Zunino ma con spe­se a carico della Montedison. Si­nora l’inchiesta non è stata in grado di afferrare il filo di even­tuali corruzioni di organi tecni­ci o di dazioni a politici, ma in­tanto ha casualmente imbocca­to un’autostrada parallela spa­lancata dal sequestro, nello stu­dio di Pessina, di un suo com­puter con i dati delle gestioni fi­duciarie dei patrimoni affidati­gli non solo da Grossi ma an­che da almeno altri 180 suoi clienti italiani: per lo più soldi di maxievasori fiscali, secondo uno schema che — stando ad al­tri elementi d’indagine — avrebbe visto Merello raccoglie­re i clienti, il commercialista Za­noni studiare le soluzioni tecni­che per evadere/eludere le tas­se, e l’avvocato Pessina darvi at­tuazione societaria e bancaria. Per paradosso, il sequestro dei 22 milioni è notificato solo a lui perché ufficialmente l’unico de­legato a operare sul conto era Pessina. Che però almeno qui ha un «alibi» davvero di ferro: era già a San Vittore da 2 mesi.

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