ADDIO CINECITTA’. La destra di burlesquoni-abete, vanzina-boldi e greggio-banfi, SMANTELLA TUTTO!

Ecco come fa questa destra fetida a uccidere la cultura e l’economia. Quando il Pci era una solida realtà e il cinema italiano conquistava tutto il mondo, Cinecittà dava da vivere a tutta Roma e dintorni. Ora, con un delinquente ladro e ignorante al potere per quasi un ventennio, si sta smantellando anche questa ultima meraviglia. Le nostre maestranze e i nostri tecnici, in assoluto i migliori del mondo, andranno a fare l’Isola dei famosi? 

CINECITTA’, L’ ULTIMO CIAK
Gli studios trasformati in un mega-resort 

Il progetto, avviato dall’Italian Entertainment Group, Luigi Abete, sta per prendere forma. Ristoranti
piscine e alberghi sorgeranno a Castel Romano dove Dino De Laurentis costruì i suoi studi.

cinecittà12 pp

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/29/lultimo-ciak-per-cinecitta-gli-studios-trasformati-in-un-maxi-resort/279499/

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Cinecittà: l’ultimo grande crimine del mafionano ladro e ignorante.

Conto alla rovescia per Cinecittà
Via gli studios, arriva il Luna Park

°°° Il Cinema italiano ha fatto grande l’Italia nel mondo, oltre ad aver portato sempre parecchi punti di Pil. Sempre, finché il gangster volgare e rozzo non ha messo le grinfie anche sul Cinematografo, rendendolo una discarica di ezigreggi e di vanzina. Questo ennesimo scempio non lo possiamo permettere. FACCIAMOCI SENTIRE!

cinecittà

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Burlesquoni ci riprofa a fottere Cinecittà per fare colate di cemento.

Cinecittà, la mannaia della manovra. E spunta l’incognita della speculazione edilizia

La fabbrica del sogno non si occuperà più di produzione. Doveva diventare l’Agenzia del Cinema Italiano e invece da spa a capitale interamente statale è stata posta in liquidazione e trasformata in una srl con un capitale sociale di 15 mila euro. Lavoratori preoccupati per il trasferimento al ministero dei Beni culturali

Cinecittà addio? Forse. L’articolo 14 della nuova manovra rappresenta una mannaia per il mercato della celluloide. Cinecittà Luce – la società nata due anni fa quando Cinecittà Holding ha incorporato Filmitalia e l’Istituto Luce – da Spa, con capitale sociale di 75 milioni di euro, diventerebbe una Srl, con soli 15 mila euro. Questo significherebbe gestire l’Archivio, la distribuzione delle opere prime e seconde finanziate dal ministero, i documentari d’Archivio, la promozione all’estero, ma rinunciare del tutto a occuparsi di produzione con conseguente dimezzamento dei dipendenti.

«La manovra potrebbe distruggere Cinecittà Luce – spiega Umberto Carretti, rappresentante sindacale Troupe Slc/Cgil – e ridurne drasticamente le funzioni. Il governo ci aveva dato ragione di credere che l’avrebbe trasformata nell’Agenzia del Cinema Italiano, ovvero l’ente preposto a indirizzare tutta l’attività del settore, sul modello del “Centre Nationale” francese. E invece, la manovra pone in liquidazione Cinecittà/Luce, Spa a capitale interamente statale, alla Fintecna, una Spa del Tesoro che non ha alcuna competenza in materia di cinema».

Ma a spaventare i dipendenti è soprattutto l’assoluta mancanza di certezze: «Gli articoli che ci riguardano sono pieni di condizionali – continua Carretti –. “Potrebbe, dovrebbe”… Tutta questa confusione non fa che alimentare i nostri timori. Prima di tutto, c’è la questione dei ricollocamenti: Cinecittà Luce oggi ha 120 dipendenti; di questi, si presume che almeno la metà venga assorbita dal ministero dei Beni Culturali, ma con quali mansioni e a che titolo? Poi, c’è il problema del patrimonio immobiliare: Cinecittà Luce dispone di terreni che affitta alla società privata Cinecittà Studios, capitanata da Luigi Abete; un’importante fonte di sostentamento, sul cui destino la manovra di Tremonti non è chiara. La paura è che il Governo possa cederli a privati per realizzare progetti di ristrutturazione che prevedono alberghi, centri benessere, etc.».

Ma proprio sulla questione dei terreni, mercoledì è intervenuto il ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan in audizione in Commissione cultura al Senato: “Nessuno smantellamento per Cinecittà”, ha promesso il ministro. «Ci ha rassicurati – spiega Patrizia Cacciani, rappresentante sindacale per Cinecittà Luce -, ma per il momento sono solo parole. Non ci resta che aspettare il decreto attuativo».

Dal governo, dunque, arrivano timidi segnali di apertura, anche in seguito al sit in di protesta che i dipendenti di Cinecittà Luce hanno organizzato martedì davanti agli stabilimenti di via Tuscolana. Ma i dubbi e le paure dei dipendenti restano: «In qualità di rappresentante sindacale – continua Patrizia Cacciani –, non posso permettere che i miei colleghi, una volta ricollocati al ministero dei Beni Culturali, vadano incontro al demansionamento, o che alcuni di loro finiscano in cassa integrazione. Poi, c’è la questione della mission di Cinecittà Luce: tenevamo molto a che diventasse un ente, perché questo avrebbe dato all’industria cinematografica italiana maggiore autonomia, garanzie istituzionali di qualità e quantità. La verità è che lo Stato non ha mai dato a Cinecittà Luce una concreta prospettiva di rilancio, né una progettualità che la trasformasse nel famoso ente: per disinteresse, è rimasta la banale somma di tre società, Cinecittà Holding, Film Italia e Istituto Luce».

Al momento, c’è chi ha paura che Cinecittà Luce possa ridursi a una specie di ufficio diritti, che si occupi solo da un punto di vista burocratico di gestire le immagini: «Sarebbe un errore grave – spiega ancora Patrizia Cacciani –, perché solo chi conosce bene questo patrimonio di immagini può occuparsene, anche per quanto riguarda la conservazione. Il ministro Galan ha garantito che Cinecittà Luce continuerà a custodire la library dell’Istituto Luce, a sostenere prime e seconde opere di registi e cineasti emergenti, a promuovere il cinema italiano all’estero. Ripeto, sono solo parole per il momento. Aspetteremo il decreto attuativo».

Per ora, dunque, continuano a tremare gli stabilimenti di via Tuscolana, che per decenni sono stati lo specchio di un Paese: un’Italia che ritrovava la capacità di guardare avanti con ottimismo e leggerezza e che scopriva la gioia di raccontarsi attraverso un film. Un passato lontano, a quanto pare.

Di Giovanni Luca Montanino

°°° La mafia del delinquente Berlusconi tenta di colpire ancora Cinecittà. Dopo averla devastata, ora prova  a truffare tutti preparando l’ennesima speculazione edilizia di cui nessuno sente il bisogno, tranne la sua cosca e le sue cricche. Cinecittà, prima dell’orda barbarica berlusconiana, era una potenza mondiale, una capitale culturale, e dava lavoro a milioni di persone.

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Come la cosca berlusconi ha ucciso la più grande industria culturale italiana: il Cinema

Cinecittà di cemento: via il cinema
arrivano i costruttori

http://www.unita.it/news/culture/104255/cinecitt_di_cemento_via_il_cinema_arrivano_i_costruttori

°°° Io però non me la prenderei solo con questi banditi del regime: il più malavitoso, ignorante e rozzo che si sia mai visto in una democrazia occidentale. Come disse il grande Petrolini a uno del loggione che fischiava: “Io non ce l’ho con te… io ce l’ho con quelli che ti siedono vicino che non ti buttano di sotto!”. Ecco, amici, io ce l’ho che quelle scimmiette decerebrate che hanno votato e che magari rivoterebbero questi delinquenti che hanno devastato loro, le loro famiglie e l’Italia intera!

cazzotto

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Un pensiero a Francesco

FRANCESCO SALIS

Ai media regionali non è fregato niente, impegnati come sono a celebrare qualunque merda inutile e senza pregio, ma due anni fa è mancato il più grande compositore sardo di tutti i tempi e uno dei più grandi chitarristi europei. E’ mancato un uomo buono e meraviglioso. Molto più bravo di me nell’arte della diplomazia, forse troppo. Troppo schivo e timido. Infatti, che fosse un genio della musica lo sappiamo solo io, pochi intimi, Phil Spector, Brian Epstein, George Martin, Fabrizio De Andrè e tutti i più grandi addetti del mondo, oltre ai musicisti italiani bravi e non dei nostri tempi.

Non c’è più mio cugino, che era molto più di un fratello per me. Se n’è
andato FRANCESCO SALIS.

Insieme abbiamo scritto canzoni, quando nessuno in Sardegna scriveva
canzoni. Abbiamo fatto tanti spettacoli live di una dignità e di una
professionalità che qui non si erano mai viste. Ma mica perché eravamo i più bravi di tutti! No, semplicemente – oggi lo posso dire a voce alta – perché abbiamo avuto più coraggio degli altri. Noi siamo andati a IMPARARE, cosa che non aveva fatto mai nessuno prima e che tantomeno fanno i giovani di oggi. Troppo più comodo stare a casetta propria, con la mamma che lava, stira e cucina e babbo che sgancia qualche soldo. Il talento da solo non basta. Il talento è come l’amore: va coltivato, va aiutato a crescere, va coccolato e servito. Ci vogliono sacrifici, tanti, se si vuole mettere a frutto una dote naturale. E ci vuole umiltà. E così, mentre qualche nostro coetaneo andava ancora a scuola e qualcun altro passava le giornate al bar, noi abbiamo fatto fagotto a sedici anni e siamo partiti per Roma. Io facevo il cameriere e studiavo, andavo a vedere tutti i film e tutti gli spettacoli
che potevo per poter “rubare” un po’ di mestiere a tutti quelli bravi.
Volevo fare l’attore. Francesco suonava con tutti i mostri sacri dell’epoca, taliani e internazionali. E anche lui rubava tecniche e mestiere a tutti.
Ricordo ancora che dormivamo in una pensionaccia con uso cucina nei pressi
della stazione Termini. “S’Aquila” chiamavamo la vecchia padrona, perché strillava sempre ed era brutta come una bolletta dell’Enel. Io staccavo a mezzanotte dal mio lavoro alla Taverna Ulpia, che allora era un locale dilusso ai Fori Imperiali, levavo la giacca bianca per indossarne una nera e filavo, elegante come un figurino in smoking, alla volta del Capriccio o del Pipistrello, piuttosto che del Tucano o qualche altro night di via Veneto.
Raccontavo qualche storiella in francese e in inglese, avevo diritto a uno spuntino, verso le due, e al pomicio libero se c’era qualche fata
disponibile. Eravamo in piena DOLCE VITA e tutti gli attori e le attrici più
famosi del mondo erano lì. Sembrava di vivere in un film di Hollywood. Lì c’era anche Francesco che suonava, prima coi Barritas, poi con Edoardo Vianello e infine coi Poker d’Assi, e faceva delle session da capogiro con Riccardo Rauchi o Basso e Valdambrini, piuttosto che con Barny Kessel o Miles Davis o Carosone al piano. Poi, verso le cinque del mattino, rientravamo a piedi e, mentre io e gli altri musicisti andavamo in letargo, lui smontava la chitarra, metteva le corde a bollire poi le asciugava con cura e lerimontava, accordava e – in sordina – provava tutte le cose nuove, gli accordi o i passaggi e le svisature che aveva imparato anche quella notte dai grandi. Io spesso dormivo con un occhio solo e mi addormentavo sorridendo. Chissà quanti dei ragazzi di oggi sarebbero capaci di fare altrettanto. Suonare con amore per dieci/dodici ore di fila, intendo. Oggi vedo molta tecnica e poco cuore nei musicisti nostrani. I ricordi sono troppi. Troppi anni abbiamo vissuto insieme e mai abbiamo trascorso un giorno banale. La mia memoria vola come un’ape e ogni tanto si ferma a succhiare un momento. Rivedo le notti in cui tornavamo da qualche serata nel sassarese o nel nuorese e ci fermavamo a “fare la spesa” in qualche campo di carciofi novelli, ai margini di Santa Giusta. Francesco, col suo spolverino bianco, l’avrebbero visto a un km di distanza, infatti non vedeva l’ora di
smarcarsi dal campo: “Ajò, sussurrava, svitàndi atrus quattru o quìndisci e andàusu” (Dai, svitane altri quattro o quindici e andiamo). Rivedo noi, Salis&Salis ragazzini, quando incidemmo il nostro primo LP a Milano.
Lo producevo io e non avevo tantissimi soldi. Dovevamo fare presto: lo studio di registrazione costava una tombola ogni ora. Finite tutte le basi in un giorno e mezzo (allora c’erano molti colleghi che per fare un disco impiegavano anche tre o quattro mesi di studio), mancava poco alla pausa pranzo e chiesi a Francesco: “O Leo (diminutivo di LEONE DI DAMASCO, come lo chiamava Buscaglione perché, quando partiva con un assolo particolarmente impegnativo aveva la grinta di un leone), te la senti di fare qualche assolo prima di andare a brucare?” E lui, poggiando l’acustica e imbracciando la Fender Stratocaster: “Ehia, dai… due o trenta li proviamo a fare.” Io davo di gomito all’ingegnere del suono, in regia, e gli dicevo di preparare la pista per gli assoli. Ricordo ancora la sua faccia: “In mezz’ora? Ma non fa in tempo a farne nemmeno uno, specialmente se improvvisa.” Lo compatii e scommisi la cena. Leo controllò l’accordatura: perfetta. “Parti con le basi.” Tredici assoli in quaranta minuti. Il tecnico ci pagò una lauta cena.
Qualche anno più tardi, a Roma, io lavoravo e studiavo. Vivevo con una
famosa cantante in piazza Firenze. Lui suonava con Vianello e la Goich e
dormiva a casa della sorella Gianna a Montemario. Ci trovavamo almeno due sere a settimana a piazzale degli Eroi, intorno a mezzanotte. Francesco arrivava con una 500 rossa vecchio modello e parcheggiava sotto un lampione: avevo bisogno di luce. Poche parole. Era un rito consolidato. Apriva il deflettore per permettere al manico della chitarra di uscire, io aprivo il mio blocco e cominciavamo a comporre le nostre canzoni più belle. Una notte di primavera, faceva freschetto ed eravamo imbacuccati, mentre eravamo tutti intenti a scrivere un pezzo per Caterina Caselli, ci compaiono davanti due poliziotti: “Documenti. Patente e libretto.” Tiriamo fuori i documenti, ma uno dei due insiste: “Patente e libretto.” Noi ci guardiamo in faccia e cominciamo a ridere. Una risata nervosa che non finiva mai. Francesco, tra le convulsioni, fa: “Patente a me?! MAI AVUTO PATENTE, IO!” E giù a ridere.
I due agenti, non sapendo esattamente come reagire e non volendo, presumo, danneggiarci, cominciarono a ridere anche loro e quello che sembrava il capo ci rese le carte d’identità e diede una manata alla macchina: “Ma annatevan’affanculo! ‘A stronzi! Forza, sgombrate. Annate a casa a smaltì!” Ce la cavammo, e quella canzone non la incise mai la Caselli, ma “The 5th Dimension”, subito dopo il successo planetario di “Acquarius”. Scusate se è poco.

Chiudo il librone dei ricordi con le ultime immagini che ho di Francesco.
Due anni fa, mi ha convinto a riprovare a comporre insieme. Aveva tante
bellissime musiche e tanti spunti e in Sardegna, ripeteva, non c’era nessuno in grado di scrivere parole come si deve. “Forza, Di Santa, aberri su bloccu magicu! Faimmì sognài.” (Forza, Di Santa – un nome d’arte ridicolo che mi ero inventato quando volevo fare l’attore a Cinecittà: LUCIO DI SANTA (sottinteso: GIUSTA) – apri il blocco magico e fammi sognare.)
Era scarno e affaticato, sembrava Eduardo quando da vecchio faceva il vecchio. Gli occhi gli brillavano solo quando arrivavo io a casa sua e poteva rimettere in funzione chitarra e registratore.
Abbiamo composto quindici bellissime canzoni in meno di un mese: la più scarsa potrebbe agevolmente vincere un qualunque Sanremo.
Forte del mio nome, ho mandato i CD dei provini a tre delle maggiori multinazionali del disco. Cercavo un editore e un contratto, almeno per Francesco, ché non poteva campare con due soldi di pensione. Gli avevano aperto il petto già tre volte e nessun chirurgo ci voleva più mettere le mani. I politicanti sardi, sempre pronti a foraggiare
dei lestofanti cagliaritani o nuoresi senza arte né parte, ignoravano
Francesco. Spero che il sindaco di Santa Giusta, si ricordi di intitolargli
almeno una strada. Mandai i CD, dicevo, e questi boss della editoria
musicale, molto cortesemente, ascoltarono il materiale e mi risposero nel
giro di una settimana. Sconfortante. Il più intelligente fra loro, il capo
della Sony, mi disse: “Ma, Lucio, che roba mi hai mandato? Senza
arrangiamenti, così miserine. Noi stiamo cercando roba alla Britney Spears!”
“E chi è? Ma sei un editore o cosa? I brani devono vivere anche chitarra e voce. Le cagatine che dici tu, quando gli togli gli arrangiamenti e la gazzosa non esistono. Io ti ho mandato dei pezzi che saranno validi anche tra cinquant’anni. Pensaci bene: chi cazzo te lo paga lo stipendio? Te lo dico io, non certo Britney Spears, i Beatles te lo pagano, Modugno te lo paga! Scemo!”
Scusami, Francesco, questa volta non ce l’ho fatta a fare la magia.

Lucio

°°° Amici, perdonatemi questa botta di nostalgia. Grazie.

francesco-tonietto

salis

checco

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