raiStoria parla del mio amico Faber. Pochi lo conoscevano come me. Vi racconto una storia.

 

Fabrizio De Andrè- Riccardo Mannerini

 

Nel 1968 ero a Milano e dirigevo, ragazzino, la Belldisc Italiana  che stava diventando la Produttori Associati. Il titolare era un vecchio imbroglione che non capiva niente di musica e mi aveva fatto penare prima di firmare il contratto a Faber. Non lo volle firmare invece, poco tempo dopo, per il mio amico Rino Gaetano. Un giorno, entra nel mio ufficio laura Angeli, la mia segretaria per l’Italia, una romagnola giunonica poco più vecchia di me, e mi annuncia un signore un po’ schizzato che vuole vedermi subito. Il signore si chiamava Riccardo Mannerini e affermava due cose: di aver vissuto nella stessa stanza con Fabrizio da ragazzi e che Fabrizio gli aveva copiato i testi di Spoon River. “Tu li hai solo tradotti” gli obbietto io, una volta che si sfoga sul divano scuro del mio ufficio. “Vieni con me!” mi fa lui. Mi trascina nel grande ufficio degli “schiavi” (a sinistra dell’ascensore c’era il mega ufficio del padrone, poi il mio, e una stanzetta per l’ufficio stampa; dall’altra parte del pianerottolo lo del 3° piano c’erano gli impiegati, i contabili, il centralino, i grafici, le segretarie).  Mannerini si butta per terra, spalle a terra, e mi prega di fargli passare sopra tutto il personale. Sul petto. Mima una specie di trance e noi lo accontentiamo. “Visto?! – esulta lui, dopo. “Non mi avete fatto male!” Solo allora mi accorgo che è cieco. Parlo con Faber e decidiamo di aiutarlo.

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Ricordi

domenica, gennaio 11, 2009
FABER
Categoria: Blog
Sto vedendo, con grande malinconia, fazio e la sua cosca imbrattare il Nome e l’Opera di Fabrizio De Andrè. La Ghezzi fa il suo mestiere di erede dei diritti e quindi… ma che cazzo c’entrano l’ipocrita fazio o la volgare litizzeto con un mostro sacro come Faber?! Conoscendolo, sarebbe saltato sul palco e gli avrebbe sputato in faccia. Raccontavo poco fa a Lena di una cosa che non sa nessuno, tranne Arnaldo Morosi: allora amministratore unico della Belldisc, poi Produttori Associati. Dunque, io dirigevo la casa discografica e stavo allestendo un festival di voci e gruppi nuovi a Pesaro, per trovare qualche talento. Morosi sarebbe venuto con me: lui era quello che poteva firmare i contratti. Ci piomba in sede Faber, appena arrivato da Genova. Fa alcune telefonate, poi se ne viene nel mio ufficio… affranto. Non ve la sto a menare. In pratica, attraversava un momentaccio con la moglie e aveva inventato una scusa di lavoro per incontrare una sua fan milanese che voleva assolutamente conoscerlo; gli aveva scritto parecchie lettere, anche esplicite, e quindi lui – vincendo la sua proverbiale timidezza – aveva deciso il gran passo. Bene, anzi, male… arrivato da noi e chiamato il numero della ragazza… scoprì subito che si trattava di una dodicenne! Ricordo ancora che rispose la madre e disse che XXX era a scuola. “Ah, insegna?” chiese Fabrizio. “No, è in seconda media.” Ci rimase così male, ma così male, che restò tutta la mattina inebetito. Poi andammo a pranzo e ci chiese se poteva venire con noi a Pesaro: doveva giustificare il viaggio e non aveva nessuna voglia di tornare a casa. Ok. Partimmo per Pesaro e lui presenziò seminascosto all’esibizione di gruppi e cantautori. Dico seminascosto, ma in realtà non lo conosceva quasi nessuno, come immagine. Finita la serata ed espletati i nostri compiti, tornammo in albergo e decidemmo di cenare lì. Eravamo troppo stanchi, sia io che Arnaldo Morosi sapevamo bene che negli alberghi non si dovrebbe mai mangiare. Invece ci andò bene. Anzi, il maitre ci disse anche che sotto c’era un night… Fabrizio non se lo fece ripetere due volte:
“Andiamo a berci un whiskino!” sollecitò. Scendemmo al night e bevemmo un paio di drink. Lui però si portò avanti di almeno tre beveraggi, rispetto a noi. Poi… la tragedia: l’orchestrina, senza nemmeno sospettare lontanamente la presenza dell’autore, attacca “LA CANZONE DI MARINELLA” e il chitarrista sbaglia un accordo. Scatta come una molla Faber e, dalla penombra, si materializza nel cono di luce del palcoscenico e si scaglia contro il musicista. Quello, più per la sorpresa e per istinto di autodifesa che per cattiveria, cerca di colpire ripetutamente Fabrizio alla testa col manico della Fender. Scatto anch’io, da ragazzo di strada abituato alle risse, e arriva anche il marchigiano Morosi. Pigliamo Faber di peso e lo portiamo a dormire. Non prima di una breve colluttazione nel corridoio del terzo piano, con lui che sbraitava a voce altissima: “Levami le mani di dosso, sardo di merda!” Una signora si affacciò in vestaglia per informarci che erano quasi le quattro del mattino. Ridemmo molto di questa scena il giorno dopo e i giorni a venire. Dopo che gli fu passata la sbronza, naturalmente. Ciau, Faber!

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