Mafiolo, mavaffanculo!!!

Ecco i delinquenti che vengono con i barconi
di Mariagrazia Gerina e Cesare Buquicchio

Il presidente del consiglio Berlusconi dice che sui barconi che in queste ore vengono respinti dalla Marina italiana «ci sono persone reclutate in maniera scientifica dalle organizzazioni criminali», dice che pochissimi di loro «hanno i requisiti per chiedere il diritto d’asilo». Si sbaglia. Su quei barconi c’è stato Tedros, 30enne eritreo laureato ed incarcerato perché non allineato al partito al potere. Proprio ieri ha avuto i documenti da rifugiato politico. C’è stato Saied, adolescente afgano fuggito dalla guerra. C’è stata Aisha scappata dall’Eritrea e picchiata e violentata per mesi in un centro di detenzione in Libia. Ecco le loro storie.

TEDROS
Tedros T. ha 33 anni, è laureato in scienze sociali e nel suo paese, l’Eritrea, si occupava di educazione e assistenza alle persone disabili. È arrivato in Italia l’estate scorsa, il 30 luglio 2008, a bordo di una delle carrette del mare su cui secondo Berlusconi ci sarebbe solo «gente reclutata dai criminali». Sulla sua carretta erano in ventisei, uomini, donne e un bambino. Prima l’arrivo a Lamepdusa, poi il trasferimento nel centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, alle porte di Roma. Proprio ieri il governo italiano gli ha consegnato i documenti che gli consentiranno di restare in Italia come rifugiato politico. Altri, arrivati con lui, stanno ancora attendendo di essere ascoltati dalla Commissione che esamina le richieste d’asilo.
Non esattamente un criminale. E nemmeno un sovversivo. Tedros, Tedy per gli amici, dopo la laurea, come il governo eritreo impone, si è iscritto al partito unico, il Pfdj che sta per «People front for Democracy and Justice»: «Il nome è buono, il resto meno ed è richiesta assoluta obbedienza ai dettami del partito», racconta Tedros, che ha scontato con 8 mesi di carcere l’essere stato giudicato, con un pretesto qualsiasi, non sufficientemente allineato. Uscito da lì, è iniziata la sua fuga. Sulle orme della moglie, che, in Italia dal 2004, lo aveva preceduto nel tragitto dall’Eritrea alla Libia a Lampedusa. Ora lei fa la colf a Genova, e anche lui, con i documenti in tasca, potrà cercare lavoro.

SAIED
Saied è partito dall’Afghanistan che aveva 9 anni e, tappa dopo tappa, ha percorso l’intera odissea dei ragazzi afghani in fuga dalla guerra. Aveva 18 anni Saied, quando, 2 anni fa, nascosto sotto un camion proveniente dalla Grecia, ha raggiunto la destinazione finale: Italia. Anzi, più precisamente: Roma. «Dalla stazione Termini, prendere il 175, scendere alla stazione Ostiense», recitavano con precisione le istruzioni. Pakistan, Turchia, Grecia. Ogni tappa un espediente per mettere da parte i soldi, pagare i trafficanti e proseguire il viaggio fino all’approdo finale, sulle panchine di piazzale Ostiense diventata ormai l’ambasciata on the road della diaspora afghana. Da lì, il passa-parola l’ha portato fino al Centro Astalli, il centro per rifugiati gestito dai gesuiti. Ora Saied, che, rifugiato politico, ha imparato l’italiano e studia per prendere la licenza media, fa il mediatore culturale, ha uno stipendio e da un paio di mesi vive in un appartamento.

AISHA
“Sono scappata dall’Eritrea perché non volevo essere reclutata nell’esercito e mandata nella guerra senza fine contro l’Etiopia. I miei fratelli e sorelle erano nell’esercito e non sono mai più tornati a casa. – a raccontare questa storia è una donna eritrea, la chiameremo Aisha, lei l’ha raccontata a Medici Senza Frontiere in uno dei centri di detenzione per immigrati di Malta ed è raccolta nel rapporto “Not Criminals” -. In Libia sono stata messa in un centro di detenzione dove sono stata violentata e picchiata diverse volte. Sono stata trattata come una schiava dalle guardie e dai soldati. Sono stata una schiava per due anni e non avevo possibilità di fuga – spiega Aisha –. Quando mi sono imbarcata speravo di diventare libera. Poi quando sono stata rinchiusa in un centro di detenzione a Malta ho perso la speranza e ho avuto problemi cardiaci e gastrici. I ricordi delle violenze e delle botte sono riaffiorati ed è stato difficile stare in quel posto con tante altre persone”.

IKE
“Ero un insegnante di matematica – racconta ancora Ike, somalo, nel rapporto “Not Criminals” –. Tre dei miei colleghi sono stati uccisi, la mia scuola è stata chiusa e ho perso il mio lavoro. Sono scappato dalla Somalia perché la mia casa non era più sicura, una mina è esplosa vicino alla mia casa e mi ha ferito. Altrimenti sarei restato, non sarei arrivato qui”.

TITTY
Titty è giovanissima, ha 21 anni ed è un disertore. In Eritrea anche le donne sono costrette ad arruolarsi e mentre indossano la divisa spesso sono costrette a subire violenza sessuale da parte dei militari uomini. Da tutto questo Titty è fuggita, a bordo di un camion stracarico ha varcato il deserto. Eritrea, Sudan, Libia. E da lì è salpata per l’ultimo viaggio, a bordo di una delle carrette che Berlusconi vuole respingere perché piene di «gente reclutata da criminali». Titty che non si è fatta reclutare nemmeno dall’esercito eritreo a Lampedusa è sbarcata un anno fa. In questi dodici mesi ha imparato l’italiano, ha frequentato un corso per operatore socio-assistenziale, ha incontrato un ragazzo eritreo. Il governo italiano non le ha riconosciuto il diritto all’asilo ma le ha assicurato comunque una «protezione sussidiaria».

SAMA

“Ho attraversato il deserto per sfuggire alla violenza della Somalia e ho raggiunto Tripoli quando la mia gravidanza era quasi al termine – racconta Sama anche lei in fuga dalla guerra e in cerca di un futuro per sua figlia –. Il giorno della mia partenza ho comprato un paio di forbici nuove e le ho custodite con cura. Volevo che restassero pulite. Mia figlia è nata il primo giorno di barca. Un uomo e una donna mi hanno assistita durante il parto: lui mi bloccava le braccia; lei ha tagliato il cordone ombelicale con le mie nuovissime forbici. Eravamo in 77 su quella barca, eravamo talmente schiacciati che non riuscivamo nemmeno a muoverci. I giorni successivi il mare era agitato. L’uomo e la donna si tenevano stretti a me e io stringevo forte a me mia figlia, temevo potesse finire in mare. Nei quattro giorni successivi abbiamo sofferto molto per la mancanza di cibo e acqua, anche mia figlia perché il mio seno era stato asciugato dalla paura e la fame”.

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Vi ricordate del terremoto di San Giuliano in Molise del 2002?
il Presidente del Consiglio di allora era come lo è adesso il Cavalier Silvio Berlusconi, l‘omuncolo che porta più sfiga al mondo… aveva promesso la ricostruzione dei
luoghi colpiti dal sisma in 18-24 mesi, sono passati quasi 7
anni ,cosa è stato fatto ?

La promessa di Berlusconi: in 24 mesi una città satellite a L’Aquila. Stessa promessa nel 2002 dopo il sisma in Molise. E non la mantenne
di Gianluca Di Feo
New L’Aquila: una città tutta nuova in 24 mesi, al massimo in 28. La promessa di Silvio Berlusconi nel giorno del dramma abruzzese ha il fascino degli effetti speciali. Il presidente del Consiglio la chiama «new town», termine britannico per indicare gli insediamenti satellite, ma che in italiano ha un grande modello concreto: Milano 2, la prima creatura del Cavaliere, l’inizio della sua epopea. Le frasi pronunciate dal premier a L’Aquila hanno però qualcosa di déjà vu: «Entro due anni gli abitanti riavranno le case». Ricordate? Era lo choc di San Giuliano, il paesino del Molise dove il 31 ottobre 2002 il terremoto si era accanito contro la scuola uccidendo 27 bambini e la loro insegnante. Tre giorni dopo la strage, il premier convocò una conferenza stampa: «Mi sono intrattenuto con degli amici architetti per mettere a punto un’ipotesi di progetto per la costruzione di una nuova San Giuliano».
Anche allora il disegno era quello della new town, la città satellite: «Un quartiere pieno di verde con la separazione completa delle automobili dai percorsi per i pedoni e per le biciclette. Un progetto che potrebbe portare in 24 mesi a consegnare agli abitanti di San Giuliano dei nuovi appartamenti funzionali, innovativi, costruiti secondo le nuove tecniche della domotica».
Non sembrava un’impresa difficile: nel paese colpito gli abitanti erano soltanto 1.163 e gli edifici poche centinaia. «Vorrei in questa occasione dare risposte con dei tempi assolutamente contenuti e certi», ribadì il premier. E tutto il governo mostrava ottimismo, come sottolineò il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu davanti al Parlamento: «Il presidente del Consiglio ha assicurato che entro 24 mesi il comune verrà riconsegnato alla completa e normale fruibilità degli abitanti».
Ma sette anni dopo, la ricostruzione di San Giuliano è ancora lontana dalla fine. E di domotica, ossia di edifici ‘intelligenti’ ad altissima tecnologia, non se n’è vista proprio. Persino per completare la nuova scuola – questo sì un istituto d’avanguardia, definito ‘il più antisismico d’Italia’ – di anni ce ne sono voluti quasi sei. Berlusconi ha fatto in tempo a finire il governo, lasciare la poltrona a Romano Prodi e tornare a Palazzo Chigi: è stato lui a presenziarne l’inaugurazione nello scorso settembre. Come è lontano quell’autunno del 2002 quando il premier volò a San Giuliano con il suo architetto di fiducia, quel Giancarlo Ragazzi che è stato uno dei progettisti di Milano 2 nel lontano 1970 e che dieci anni dopo aveva replicato l’opera con Milano 3 di Basiglio, altra new town del Biscione alla periferia del capoluogo lombardo. A dimostrazione del ruolo di progettista di corte, due anni fa Adriano Galliani spiegò a ‘L’espresso’ di avere nel cassetto un piano di Ragazzi per rifare anche lo stadio di San Siro. L’incarico al ‘triplicatore di Milano’ fu poi formalizzato dal sindaco molisano nel maggio 2003 assieme all’arrivo delle prime sovvenzioni statali: sei mesi erano già stati bruciati per definire la forma giuridica degli interventi.
A quella data, molte cose erano risorte grazie alla sottoscrizione popolare Un aiuto subito lanciata dal ‘Corriere della sera’ e Tg5: un complesso scolastico prefabbricato e 150 chalet del ‘villaggio provvisorio’. Tutto realizzato in legno e considerato molto funzionale dagli abitanti. Le prime vere case sono state consegnate cinque anni dopo la scossa, quando 500 persone vivevano ancora nel villaggio provvisorio mentre un altro centinaio si era trasferito nei comuni vicini, meno danneggiati. Adesso si marcia verso il settimo anniversario e molte delle palazzine sono ancora un cantiere, con gli enti locali sul piede di guerra per ottenere altri contributi destinati alla ‘ricostruzione pesante’ del centro storico. Di soldi in realtà ne sono stati spesi tanti. Il Comune ha preventivato un costo di circa 250 milioni di euro. Nei primi cinque anni poco meno di 100 milioni sono andati per rifare le opere pubbliche e le infrastrutture, altri 70 per le case private. Il resto è oggetto del contendere tra sindaci, regioni e governo Berlusconi che nell’ultima Finanziaria ha decurtato le disponibilità. Ma sono in molti a parlare di sprechi nell’uso delle risorse. La Corte dei conti, per esempio, due anni fa ha aperto una istruttoria sulla Regione Molise che aveva ottenuto stanziamenti pari a 700 milioni.
Finora ne sono stati erogati ben 550, spesso investiti in modo discutibile: reti wifi anche per chi vive nei prefabbricati, finanziamenti per il turismo, la sponsorizzazione di un reality show estivo di Mediaset e delle selezioni di Miss Italia

°°° Com’è evidente e dimostrato da decenni: silvio berlusconi è solo uno sporco sciacallo CAZZARO!!!

b-piduista

b-osso

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