Da riflettere

Un popolo ignorante rende il re più forte

di Maria Teresa Bertuzzi

A cosa serve studiare? L’istruzione scolastica serve innanzitutto a formare l’individuo come uomo e come cittadino, a fornirgli un bagaglio culturale e conoscitivo sufficiente ad acquisire consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri, a sviluppare senso critico, elasticità mentale e indipendenza di giudizio. Certo, di per sé, non basta, ma per molti è il luogo esclusivo di apprendimento, il luogo che accorcia le distanze sociali e che mimetizza le differenze: è la speranza che tutti ce la possano fare. Il nesso tra istruzione e sviluppo dell’individuo, e quindi della società, è inscindibile: lo è sempre stato, soprattutto nei momenti di maggior crisi sociale, economica e culturale. L’Europa questo l’ha capito da un pezzo e infatti gli «accordi di Lisbona», nel 2000, avevano fissato il 2010 come termine per raggiungere una matura «economia della conoscenza». In Italia, dove già siamo lontani dagli obiettivi di Lisbona per numero di laureati e diplomati, cosa si fa? Si rinuncia, assecondando l’idea di un Paese stanco e vecchio, che non vuole provare a guardare al futuro. L’Italia oggi riduce il “tempo scuola”, lasciando più ore i ragazzi soli, si separano i canali di formazione e si dice loro: «Beh, se non hai voglia di andare a scuola, vai a lavorare!». Sì, vai a lavorare (in un Paese che è nel pieno di un processo di deindustrializzazione!) a 15 anni, anche se però non sai dove andrai a lavorare, dato che in questo Paese i precari sono tali fino a quarant’anni e chi perde il lavoro a cinquanta non riesce più a ricollocarsi.
Il ministro del Welfare ha giustificato l’abbassamento dell’obbligo con l’obiettivo di «consentire il recupero di giovanissimi demotivati attraverso una modalità di apprendimento in un contesto lavorativo». Che ipocrisia! La formazione dovrebbe avvenire in azienda! In realtà, tutti sanno che i contratti di apprendistato comprendono mansioni principalmente collegate a ciò che l’apprendista deve “fare”. Come può questo alimentare la sua curiosità, la sua capacità di elaborazione, la sua autonoma capacità di critica e di proposta? Dietro questa ipocrisia si nasconde la costruzione di un modello sociale che avevamo creduto di aver superato da qualche decennio. Infatti, i provvedimenti sull’istruzione di questo governo sono finalizzati a un obiettivo ben preciso, anche se nell’insieme sembrano confusi: creare il Paese delle differenze, delle opportunità “dispari”, delle rafforzamento delle “caste”! L’abbassamento dell’obbligo colpirà soprattutto i figli di quelle famiglie in cui lo stipendio dei genitori fatica ad essere sufficiente, dove i ragazzi sono culturalmente più fragili e socialmente più deboli, frenando ancor di più la già scarsa mobilità sociale. Dietro la scelta di questo governo io vedo questo pericolo perché, purtroppo, un popolo ignorante rende il re più forte.

°°° E’ semplicemente la parte finale del piano della P2/mafia che si concretizza, grazie al nuovo AD di Cosa Nostra… assurto al potere. Coppola e IL PADRINO gli fanno una pippa.Giustamente, il mondo intero ride di noi e ci schifa.

 

L’OMOLOGAZIONE DELLA MAFIA

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Belle notizie

Scattata in Brasile l’esecuzione di una sentenza che difende le terre degli Indios
Per la prima volta sono i latifondisti
a essere cacciati dall’Amazzonia

Tensione per l’allontanamento forzato dei grandi coltivatori. Il governatore: «Diventerà uno zoo umano»

La scheda sui popoli indigeni che abitano nella zona di Raposa-Serra do Sol

Prima di lasciare le loro proprietà bruciano tutto, per non lasciare niente agli Indios. Per la prima volta a essere cacciati dalla loro terra, nell’Amazzonia brasiliana, non saranno gli indigeni: sono loro ad avere vinto, per la prima volta, una battaglia legale che riconosce i loro diritti e vieta ai latifondisti di frazionare un’altra fetta di foresta. A dover fare le valige, con le buone o con le cattive, sono i bianchi. Scaduta la data limite di 45 giorni per il ritiro volontario dei non-indios, la polizia federale brasiliana ha infatti cominciato le operazioni di espulsione dei grandi coltivatori di riso (arrozeiros), dei latifondisti e dei contadini che ancora occupano abusivamente la terra indigena Raposa/Serra do Sol, nello stato amazzonico settentrionale di Roraima.

LA RESISTENZA DEI LATIFONDISTI – Il capo degli “arrozeiros”, Paulo Cesar Quartiero, accusato di molteplici episodi di violenza contro i nativi locali e di danni all’ambiente, ha resistito quasi 12 ore allo sgombero opponendosi a una pattuglia di 25 agenti. La sua Fazenda Providencia, riferiscono i giornali brasiliani, è stata assegnata dal “tuxaua” (capo indigeno) Avelino Pereira della comunità di Santa Rita a dieci famiglie di nativi che vivranno di agricoltura. Le autorità locali stimano che il ritiro forzato degli occupanti da Raposa si protrarrà, tra le tensioni, almeno per due settimane.

LA DECISIONE DELLA CORTE – Con una decisione che avrà ripercussioni anche sulle terre indigene ancora da demarcare, il Supremo tribunale federale brasiliano si era pronunciato a metà marzo per l’allontanamento dei bianchi confermando l’omologazione in area continua e senza frazionamenti di Raposa, 1,7 milioni di ettari abitati da 17.000 indigeni Macuxi, Wapixana, Ingariko, Patamona e Taurepang, già firmata dal presidente Lula nel 2005 a conclusione di un iter legale durato quasi 30 anni.

IL GOVERNATORE: «DIVENTERA’ UNO ZOO UMANO» – A peggiorare le cose è intervenuto anche il governatore di Roraima, José de Anchieta Júnior, da sempre contrario ai diritti degli Indios. Nelle dichiarazioni al quotidiano “Globo” non ha certo nascosto il suo disappunto per la decisione della Corte suprema: « Non pretendo nè voglio discutere oltre. Ne abbiamo già parlato a fondo. La riserva indigena di Roraima si trasformerà in un autentico zoo umano. Senza contatto con i Bianchi, quelli che vedremo vivere là saranno animali umani».

NUOVE INSIDIE PER GLI INDIOS – Nella sentenza ci sono comunque alcune clausole che potrebbero avere gravi conseguenze per gli Indiani in tutto il Brasile. I giudici della Corte Suprema hanno infatti stabilito che i governi federali dello stato brasiliano – alcuni dei quali notoriamente anti-Indiani – dovrebbero essere coinvolti in modo più attivo nei processi di demarcazione dei territori indigeni. La loro partecipazione potrebbe rendere le demarcazioni più lente e difficoltose. La sentenza sancisce anche che i popoli indigeni non debbano essere consultati su progetti di sviluppo che, pur riguardando le loro terre, vengano dichiarati “di interesse nazionale”. I giudici hanno anche stabilito che i territori indigeni che sono già stati demarcati (e mappati) non devono essere ampliati. Questo preoccupa in modo particolare tribù come i Guarani, a cui sono state riconosciute legalmente solo piccole aree di terra prima della costituzione del 1988 che garantisce i loro “diritti originali” sulle terre ancestrali. Ana Paula Souto Maior, avvocato della ONG brasiliana ISA (Istituto Socio Ambientale), ha commentato: «Alcune di queste condizioni sono allarmanti e non resta che vedere che tipo di impatto potranno avere sui numerosi territori che ancora aspettano di essere demarcati o ampliati».

Stefano Rodi

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