Pentito a pm, la “ndrangheta tiene in mano la Lega”

“Il partito che odia i terroni ce l’abbiamo in mano”. E’ la frase che, stando al racconto di un pentito di ‘ndrangheta, avrebbe pronunciato, circa 6 anni fa, un boss della mafia calabrese nel corso di un summit con i rappresentanti di altre ‘famiglie’. E l”anello di congiunzione’ tra gli interessi delle cosche e persone vicine al Carroccio,

http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=165067

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Un pentito di mafia: “Le stragi del ’93 chieste da Berlusconi e da Dell’Utri”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/28/un-pentito-di-mafia-le-stragi-del-93-chieste-da-b-e-da-dellutri/194251/#.T00MS9UkEq8.facebook

°°° Mi son levato la soddisfazione, nelle ultime serate che la mafia mi ha consentito di fare in teatro e in due programmi televisivi (Zelig, ad esempio) di fare questa battuta, tagliata inopinatamente in tv:

“Arcore, anni 90. Berlusconi arriva alla reggia, seguito da dell’utri, e si chiudono in tutta fretta nello studio. Burlesquoni intima al suo segretario di non essere disturbato per nessun motivo. Passa qualche ora e la porta dello studio si spalanca. Il segretario ha i capelli dritti e balbetta: “Do-dottore… dottore…”

“Cribbio! – esclama il boss – Ma non sono stato chiaro? Non avevo detto che non volevo essere disturbato?!”

“Sì, padrone, mi scusi… ma è successa una cosa terribile!”

“E che sarebbe questa COSA TERRIBILE?”

“Dottore… ehm… è saltato in aria il giudice Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e tutta la scorta…”

Burlesquoni resta un attimo basito, poi fissa dell’utri e fa:

“CAZZO! Ma sono già le sei meno un quarto?!”

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Mafia, il pentito Lo Verso: “Il boss Mandalà mi disse ‘abbiamo nelle mani Schifani’”

Mafia, il pentito Lo Verso: “Il boss Mandalà
mi disse ‘abbiamo nelle mani Schifani’”

Il collaboratore di giustizia ha ripercorso ciò che successe dopo le stragi di mafia del ’92 e ha tirato in ballo vari esponenti politici di primo livello, tra cui il senatore Marcello Dell’Utri, secondo cui l’ex boss “non merita altro che una risata”

Il senatore mafioso Marcello Dell’Utri

“Non merita altro che una risata”. Marcello Dell’Utri ha risposto così, a distanza, alle accuse dell’ex boss di Ficarazzi, Stefano Lo Verso, che oggi ha testimoniato al processo Mori di Palermo. “Nicola Mandalà (boss mafioso ndr) mi disse che avevamo nelle mani Renato Schifani, Marcello Dell’Utri, Totò Cuffaro e Saverio Romano” ha detto davanti ai giudici il pentito di mafia, che poi ha spiegato: “Mandalà mi disse di stare tranquillo, perché eravamo coperti sia a livello nazionale che a livello locale. A livello nazionale con Schifani, che era collega di suo padre. A livello locale con Cuffaro e Romano”. Nel corso della sua deposizione che

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Il mafioso dell’utri

Un uomo colto. Sul fatto
di Marco Travaglio

Ci sia consentito di ringraziare dal più profondo del cuore il sen. Marcello Dell’Utri, noto pregiudicato e soprattutto bibliofilo tra i più raffinati. Grazie perché non delude mai: trent’anni dopo la prima intercettazione che lo immortalò a colloquio con l’eroico Mangano, continua a ricevere mafiosi e a farsi beccare al telefono senza usare precauzioni. L’altro giorno, quando girava voce di un misterioso senatore sorpreso a colloquio con uomini della ‘ndrangheta, ci siamo detti: no, non può essere ancora lui. Basta con questa cultura del sospetto che associa il suo nome a qualunque scandalo dell’orbe terracqueo. Ogni tanto si riposerà anche lui, che diamine. Invece s’è scoperto che l’uomo al telefono col bancarottiere Aldo Miccichè, latitante in Venezuela, era Dell’Utri. L’uomo che riceveva nel suo studio Antonio Piromalli, reggente del clan calabrese impegnato nei brogli esteri, e suo cugino Gioacchino, avvocato radiato dall’Ordine per una condanna di mafia, era ancora lui. L’uomo che poi ringraziava Miccichè per avergli mandato a casa quei «due bravi picciotti», era sempre lui. Grazie senatore per agevolare, con la sua sostenibile leggerezza dell’essere, gl’investigatori. La prima volta fu nel 1980, quando si fece sorprendere al telefono con Vittorio Mangano a parlare di «cavalli». La seconda nel 1986, quando il Cavaliere lo chiamò per informarlo di una bomba appena esplosa nella villa in via Rovani: ma «fatta con molto rispetto, quasi con affetto», un «segnale acustico» tipico dell’eroico Mangano (che fra l’altro non c’entrava perché era in galera). La terza un mese dopo, quando il mafioso Tanino Cinà gli telefonò per annunciargli l’arrivo di quattro cassate: una per lui, una per suo fratello, una per Confalonieri, una extralarge da 10 chili per Silvio. Le rare volte in cui non parla al telefono, le sue agende parlano per lui: due appunti del novembre ’93 («2-11, Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale»\, «Mangano verso il 30-11») rivelano che, mentre dava gli ultimi ritocchi a FI, riceveva a Publitalia il solito Mangano, reduce da 11 anni di galera per mafia e droga. Altre volte, al telefono, parlano di lui gli amici degli amici. Come due uomini legati alla mafia catanese, Papalia e Cultrera, che il 25 marzo ’94 si preparano alla prima vittoria azzurra: «Il giorno in cui Berlusconi salirà, come ho detto in una cena alla presenza anche di Marcello, si dovranno prendere tante soddisfazioni… fra cui l’annientamento dell’amministrazione (la giustizia, ndr), perché sono gruppi di comunisti!». Marcello è lo stesso che il 12 ottobre ’98 riceve nell’ufficio di via Senato a Milano Natale Sartori (socio della figlia di Mangano in una coop di pulizie), pedinato dalla Dia in un’indagine per droga. Due mesi dopo, 31 dicembre, la Dia filma Dell’Utri mentre incontra a Rimini il falso pentito Pino Chiofalo, che organizza un complotto per calunniare i veri pentiti che accusano Marcello. Maggio ’99: Dell’Utri è candidato in Sicilia all’Europarlamento: un picciotto di Provenzano, Carmelo Amato, vota e fa votare: «Purtroppo dobbiamo portare a Dell’Utri, se no lo fottono. Pungono sempre, ‘sti pezzi di cornuti (i giudici, ndr). Questi sbirri non gli danno pace». Maggio 2001: il boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, parla col mafioso Salvatore Aragona: «Con Dell’Utri bisogna parlare», «alle elezioni ’99 ha preso impegni» col boss Gioacchino Capizzi «e poi non s’è fatto più vedere». Aragona rivela: «Io sono stato invitato al Circolo, che è la sede culturale e intellettuale di Dell’Utri in via Senato, una biblioteca famosa». Nel 2003 Vito Roberto Palazzolo, condannato per narcotraffico, imputato per mafia e rifugiato in Sudafrica, aggancia Dell’Utri e la moglie perché premano sul ministro di Giustizia – scrivono i pm – «per ammorbidire le richieste di rogatoria e di estradizione». Nel 2005 la Procura di Monza intercetta due finanzieri, Savona e Pelanda, che parlano del Ponte sullo Stretto e il secondo ha appena saputo dall’amico Dell’Utri che «la gara d’appalto la vince l’Impregilo». Profezia puntualmente avverata. Nel 2005, scandalo scalate & furbetti. Mica c’entrerà Dell’Utri anche lì? No, nelle intercettazioni lui non parla e nessuno parla di lui. Ma poi arrestano Fiorani, e questo parla di 200 mila euro da sganciare ai senatori forzisti Grillo e Dell’Utri. Nessun reato, stabiliscono i giudici. Ma il suo motto è quello di Piercasinando: «Io c’entro». Sempre. Come diceva Montanelli, « Dell’Utri è un uomo colto. Soprattutto sul fatto».

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