Nonno Salis

Mio nonno, quando andava al bar la domenica mattina a bere le sue due o trenta vernaccine (la nostra vernaccia è tipo il brandy invecchiato), appena il barista gli metteva davanti il bicchierino tipico (formato ditale)… prendeva con calma il bicchiere e lo metteva fuori, sul marciapiede: “Tu sei troppo piccolo e non puoi entrare.”

Nonno Francesco era un bellissimo uomo, alto, profumato, con gli occhi chiari e i capelli sale e pepe. Aveva 70 anni quando l’ho conosciuto io e mi insegnava a bere vino di nascosto. Pantaloni di fustagno, scalzo, cinturone di pelle, camiciona bianca immacolata e corpetto nero. Era rimasto vedovo da giovane e a 87 anni è morto, lasciando sconsolate le sue fidanzate del circondario. La più giovane aveva meno di 20 anni. Ma lui era potente e arzillo, nature: senza cocaina né pozioni magiche. Mica impotente, cazzaro, e fasullo come chi sapete voi.
Nonno era Capitano della draga dello stagno, pescatore, e Capitano dei Barracelli (cittadini che si costituiscono in ronde e girano per le campagne, per combattere l’abigeato, i bracconieri, e le devastazioni dei raccolti ad opera dei ladri e dei cacciatori incivili). Tutti giravano armati, i barracelli, lui no. Ma quando era di servizio lui nessuno si azzardava a commettere illeciti e persino i merli e i corvi riportavano la frutta e le sementi rubate l’anno prima. Amatissimo e rispettatissimo, non ha mai mancato un solo giorno di lavoro. Si imbrilliva solo il sabato, ma beveva più alcool lui che tutti i discotecari del sabato sera in tutta Italia, isole comprese. Salvo qualche sana scazzottata con i soliti bulli che venivano da fuori a rompere i coglioni (ma nonno Francesco li stendeva e diligentemente li ammucchiava sotto il monumento ai caduti. Così raccontano gli storici del paese.), l’unica sua intemperanza da brillo era: fare le previsioni del tempo a voce alta, con suo cugino “Carraxiu”, mentre tornava a casa verso le due del mattino. I paesani non si scocciavano, anzi, prendevano appunti: non sbagliava mai!
Mi ricordo che il nostro cortile, un po’ più grande dello stadio S.Elia, era percorso da fili tesi: metà per mia madre che vi stendeva i panni, metà con le bottarghe ad asciugare. Oggi un chilo di bottarga nostra, di S.Giusta, costa un po’ meno di un bilocale a MIlano. La domenica mattina, dicevo, si metteva due bottarghe di muggine in una tasca dei pantaloni, mezza forma di pane fatto in casa nell’altra, lavato – stirato – e pettinato, rigorosamente scalzo e coi calzoni romboccati, usciva e girava a destra: girando a sinistra c’era la Basilica di S.Giusta, a venti metri. Se ne andava al bar de “Sa Panga“: l’unica piazzetta del paese, quella col monumento di fronte allo stagno. Partiva la raffica delle vernaccine e molti si sbronzavano alla terza. Non lui! Un morso di pane, uno di bottarga, e giù vernaccina. Leggenda vuole che una domenica mattina si trovò a Cabras con suo cugino e ordinò venti litri di vernaccia (anche a Cabras è molto buona). “E su stresciu?” (E il recipiente?”) chiese la signora del bar. “Ita stresciu?! – rispose nonno – Deu pigu doxi litrusu, fadibi miu ottu...” (Che recipiente? Io contengo 12 litri, mio cugino otto…). Un saggio. Un mito vero per tutta la provincia. Un grande teatrante. “Se avessi il culo come la tua faccia, mi vergognerei di cagare.” disse una volta a un deputato che era venuto in paese per la campagna elettorale. Nonno gli disse questa frase tranciante in pieno silenzio nel bar più popolato e uscì platealmente. Gassman non avrebbe saputo fare di meglio. Quel politicante non pigliò nemmeno un voto nella zona e venne trombato.
Al sindaco, che cercava di giustificare qualche magagna che riguardava lo stagno e gli sfuggiva da un po’, disse in piena processione del Corpus Domini: “O Luigi! Tu sei un pezzo di merda. Solo che della merda hai la puzza, ma non la sostanza! Non farti vedere in piazza o ti disfo.
E un giorno, a un vicino vedovo anche lui e invadente, che si piazzava in casa nostra sempre all’ora di pranzo… Visto che nonno aveva portato delle belle anguille grasse (le nostre erano le migliori del mondo) e il vicino lo metteva in questione e non se ne voleva andare… e nonno si era rotto le palle di avere sempre questo intruso a pranzo… verso l’una e mezza: quasi un’ora in ritardo sull’orario consueto del desinare, appena il vicino sgarrò e disse. “Beh, quasi quasi me ne vado… voi dovrete anche pranzare” (in sardo, naturalmente). Nonno ebbe il guizzo del genio e gli rispose: “No, nou, abarra puru: tanti, fi’ansa candu non t’inciànddasa nosu no pappàusu.”
(No, no, rimani pure: tanto, finché non te ne vai, noi non mangiamo.”
FULMINATO! Non si è più visto.
Bello, nonno Francesco.

bandito

lucio3

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Altro che veline!

Lei: ad ognuno il 20 per cento. Ma così Marina e Piersilvio finiscono in minoranza. I più giovani vogliono avere posti di responsabilità nelle aziende
Otto miliardi tra Silvio e Veronica
la lite di Arcore sull’eredità dei figli
di ETTORE LIVINI

Otto miliardi tra Silvio e Veronica la lite di Arcore sull’eredità dei figli

Silvio Berlusconi e Veronica
MILANO – Va bene la polemica sulle veline in lista alle europee. Ok le questioni di principio sul “potere senza pudore”. Dietro le quinte della telenovela di Arcore però – dove gli scontri Veronica-Silvio si alternano ai sorridenti ritratti di famiglia (allargata) sui giornali di casa – c’è anche una piccola questioncina da 8 miliardi, ville escluse: la divisione dell’impero del presidente del Consiglio.

L’argomento, per ovvie questioni di delicatezza, non è mai stato esplicitato da nessuno. Da anni però i più fidi consiglieri del premier, da Bruno Ermolli a Ubaldo Livolsi, sono al lavoro con il bilancino per trovare un punto di equilibrio – emotivo, manageriale e finanziario – tra le due “anime” (che non si sono mai troppo amate) di casa Berlusconi: Marina e Piersilvio, figli di primo letto del matrimonio con Carla dall’Oglio, da una parte; Barbara, Eleonora e Luigi, nati dalle nozze con Veronica Lario, dall’altra. E la quadratura del cerchio, ad oggi non è ancora stata trovata.

Le certezze sono solo due. La prima – evidente a tutti – è che la posta in palio è altissima: nelle disponibilità del Cavaliere, oltre alle ville sparse per il mondo, ci sono 3 miliardi di euro in azioni Mediaset, Mondadori e Mediolanum, 4 tra liquidità e riserve in Fininvest e qualche spicciolo – 752 milioni – parcheggiato nelle holding personali. La seconda certezza è che qualunque cosa succeda nessuno finirà sul lastrico. Una prima fettina del tesoro di famiglia, infatti, è stata già distribuita nel 2005 quando Berlusconi, per questioni di equità, ha aperto il capitale Fininvest ai tre figli di Veronica che sono andati ad affiancare nell’azionariato del Biscione Marina e Piersilvio con una quota del 7% a testa. Tutti così, un dividendo dopo l’altro, sono già riusciti a mettere da parte un piccolo tesoretto personale: Barbara e i fratelli hanno accumulato 315 milioni di disponibilità liquide. Marina ne ha in cassa un’ottantina. Piersilvio, più parsimonioso, ha sul conto in banca più o meno 200 milioni.

Il problema è cosa succederà ora. I soldi, va detto, non sono tutto. Anche se sulla spartizione dell’impero berlusconiano Silvio – che vuol dividerlo a metà: il 50% a Marina e Piersilvio e il 50% agli altri – e Veronica – che spinge per distribuire il 20% a testa, regalando il controllo ai propri figli – hanno idee diverse e poco conciliabili. La vera bomba ad orologeria che spiega forse il nervosismo di questi mesi è però un’altra: i piccoli Berlusconi crescono. I 18 anni li hanno passati da parecchio (senza il padre alla festa di compleanno, ha fatto sapere Veronica). E più che denaro si preparano a chiedere un posto nelle aziende di famiglia.

Su questo fronte la situazione è un po’ più complessa. Marina in Mondadori e Piersilvio in Mediaset – dopo essersi fatti le ossa sotto le ali di Maurizio Costa e Fedele Confalonieri – sono oggi in pratica i capi delle due società. Difficile insomma trovare un posto al sole per altri. Non solo. Nelle loro rare esternazioni pubbliche, i tre fratelli minori hanno dimostrato, in merito, di aver già le idee chiare. E non sempre si tratta di concetti in linea con lo status quo di Arcore. “Fosse stato per noi, avremmo venduto da tempo le tv di casa a Murdoch”, hanno dichiarato nel 2004 Barbara (24 anni e autocandidata a un posto in Mondadori) ed Eleonora (22). Il ventenne Luigi, che pareva volersi occupare solo di Milan e fede (“ogni volta che lo cerco al telefono mi dicono di richiamare perché sta pregando”, ha raccontato qualche anno fa il premier), ha iniziato a camminare con le sue gambe: studia alla Bocconi, gestisce i soldi delle sorelle, è entrato nel cda Mediolanum e – “per una questione di responsabilità”, ha spiegato – ha già fatto sapere di voler lavorare nel gruppo.

Non solo: il suo primo investimento autonomo (5 milioni) l’ha fatto in un fondo della Sator di Matteo Arpe, l’ex ad di Capitalia uscito dalla banca romana dopo uno scontro al calor bianco con Cesare Geronzi. Peccato che il 73enne presidente di Mediobanca sia il banchiere di fiducia del padre e il regista dell’ingresso di Fininvest in Piazzetta Cuccia, il salotto buono da cui il premier può monitorare con discrezione dossier caldissimi come Rcs-Corriere della Sera, Telecom e Generali.

Mettere assieme tutti questi tasselli per i consiglieri del Cavaliere non sarà semplicissimo. Veronica, che con la sua Finanziaria Il Poggio controlla immobili a Milano, Bologna, Olbia, Londra e New York, pare sistemata. La differenza d’età tra i due figli maggiori e i tre minori, in teoria, potrebbe consentire di trovare spazio per tutti. In fondo quando Barbara avrà l’età che ha oggi Marina (42 anni), la sorella maggiore sarà una splendida sessantenne che a quel punto, forse, potrebbe lasciarle senza troppi rancori il timone della Mondadori.

Il presidente del Consiglio, scosso dalle fibrillazioni familiari di questi giorni, ci conta, nella speranza che alla fine tutti i pezzi del puzzle vadano a posto senza troppi drammi. Intanto, visto il gelo a Macherio, ha iniziato a mettere qualcosa da parte anche per sè. E a gennaio, alla faccia della crisi e dei guai dinastici, si è regalato dividendi per 169 milioni.


°°° Ecco cosa c’è dietro le fibrillazioni in casa di Al Cafone: soldi, soldi, soldi e solamente SOLDI!
Soldi facili, fatti senza lavorare. Soldi sporchissimi, dato che solo sedici anni fa – ricordiamolo – burlesquoni stava finendo in galera per fallimento, debiti e bancarotta.

banca

gdf

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ber-mafioso

b-manette

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